Città del Vaticano , 01 April, 2023 / 4:00 PM
A un mese dal viaggio del Papa in Ungheria, il Primo Ministro ungherese Viktor Orban è stato brevemente in Vaticano. Il motivo non era un bilaterale o un incontro di preparazione al viaggio, ma piuttosto personale: voleva rendere omaggio al Cardinale Karl-Joseph Rauber, scomparso lo scorso 26 marzo a Rottenburg am Neckar, che è stato però sepolto nel Campo Santo Teutonico, l’antica istituzione tedesca nelle mura vaticane.
Il “Ministro degli Esteri” Gallagher è a San Marino, dove sarà l’oratore della cerimonia di insediamento dei nuovi capitani reggenti.
In Iraq, c’è il rischio che i leader cattolici vadano a boicottare le elezioni. Il Cardinale Alencherry ribadisce allo Stato indiano che questi non può entrare nelle questioni di fede.
PRIMO PIANO
Il Primo Ministro ungherese Viktor Orban in Vaticano
Il 31 marzo, con una piccola delegazione, il Primo Ministro ungherese Viktor Orban è stato in Vaticano con una piccola delegazione, che includeva anche Zoltan Balogh, capo del Sinodo della Chiesa Riformata Ungherese e primo segretario per i cristiani perseguitati del governo, e il successore di Balogh Tristan Azbej. Il motivo della visita era la tumulazione nel Campo Santo Teutonico del Cardinale Rauber, scomparso lo scorso 26 marzo ad 88 anni.
Diplomatico di lungo corso, Rauber era stato nunzio in Ungheria dal 1997 al 2003, e aveva visto crescere in consensi il partito di Orban, Fidesz, che in quegli anni cominciava a prendere vigore e ad entrare nelle coalizioni di maggioranza. Orban sentiva di avere un grosso debito nei confronti del Cardinale, motivo per cui ha voluto presenziare alla tumulazione.
La visita di Orban avviene a circa un mese dalla visita del Papa in Ungheria, prevista – se le condizioni di salute del Papa reggessero, dal 28 al 30 aprile.
La Santa Sede avrà presto un rappresentante residene in Vietnam
Non c'è stata la visita prevista a Papa Francesco per via del ricovero ospedaliero del ponteficie (il Papa è già uscito e presiderà i riti della Settimana Santa), ma sono positivi i risultati del X incontro del Gruppo di Lavoro Congiunto tra Vietnam e Santa Sede. I due Paesi non hanno formalizzato relazioni diplomatiche, ma la Santa Sede ha stabilito da tempo un rappresentante non residente, e presto - secondo il comunicato finale dell'incontro - ci sarà un rappresentante della Santa Sede residente ad Hanoi, un passo ulteriore verso le piene relazioni diplomatiche.
Si legge nel comunicato diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede che "il 10° incontro del Gruppo di lavoro congiunto tra il Vietnam e la Santa Sede ha avuto luogo in Vaticano il 31 marzo 2023, e che questo è stato "presieduto congiuntamente da S.E. la Signora Le Thi Thu Hang, Vice-Ministro degli Affari Esteri, Capo della Delegazione vietnamita, e da Monsignor Mirosław Wachowski, Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati, Capo della Delegazione della Santa Sede".
Il comunicato sottolinea che "le due Parti hanno avuto un’ampia e completa condivisione circa i rapporti Vietnam – Santa Sede, includendo questioni riguardanti la Chiesa cattolica in Vietnam" e hanno "riconosciuto che le relazioni Vietnam – Santa Sede hanno avuto recentemente degli sviluppi positivi e vi è sempre stato un costante e costruttivo scambio di visioni".
In un passaggio particolarmente importante, perché il tema della libertà religiosa è stato cruciale nei dialoghi e a volte ha creato delle piccole tensioni, il comunicato sottolinea che "le due Parti hanno riaffermato la libertà della Chiesa di portare avanti la sua missione per il bene dell’intera società, nell’ambito della legalità. Altresì, entrambi hanno concordato che la Comunità cattolica in Vietnam continuerà ad essere ispirata dal Magistero della Chiesa riguardante la vocazione ad essere, nello stesso tempo, buoni cattolici e buoni cittadini".
Quindi, "le due Parti hanno riconosciuto il progresso delle relazioni Vietnam – Santa Sede, inclusi contatti e consultazioni regolari, lo scambio di delegazioni ad alto livello e le frequenti visite pastorali in Vietnam del Rappresentante Pontificio non residente, l’Arcivescovo Marek Zalewski!".
Infine, praticamente annunciando la nomina di un rappresentante permanente, si legge che "in particolare, considerando lo statuto di un Rappresentante Pontificio Residente in Vietnam, le due Parti hanno raggiunto un consenso essenziale sull’accordo".
La delegazione ha potuto anche salutare l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, prima della sua partenza per San Marino.
Comincia il viaggio di Gallagher a San Marino
L’1 aprile, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, sarà Oratore ufficiale della cerimonia di insediamento dei Capitani Reggenti di San Marino.
Il “ministro degli Esteri” vaticano è arrivato nel piccolo Stato indipendente sui monti romagnoli il 31 marzo, e la prima tappa è stata una visita alla nunziatura apostolica, dove è stato accolto dall’arcivescovo Emil Paul Tscherrig, nunzio apostolico.
Quindi, Gallagher ha avuto a Palazzo Begni un bilaterale con il suo omologo sanmarinese, il Segretario di Stato per gli Affari Esteri Luca Beccari.
Secondo le comunicazioni di San Marino, si è trattato di un colloquio “cordiale e fruttuoso” che si è concluso con gli impegno di rafforzare le consultazioni tra i due Stati su temi di politica internazionale.
Gallagher e Beccari hanno concordato sul fatto che il dialogo sia centrale nelle questioni internazionali, e hanno poi fatto una disamina delle sfide geopolitiche atuali e di come i piccoli Stati possano apportare il loro contributo.
Infine, l’arcivescovo Gallagher in qualità di Oratore Ufficiale e le delegazioni sono state ricevute in udienza dei Capitani Reggenti.
(La storia continua sotto)
Le Migliori Notizie Cattoliche - direttamente nella vostra casella di posta elettronica
Iscrivetevi alla newsletter gratuita di ACI Stampa.
FOCUS UCRAINA
La Santa Sede all’OSCE, come affrontare la deportazione dei bambini in Russia
La guerra in Ucraina ha messo in luce anche la drammatica situazione dei bambini deportati in Russia, strappati alle loro famiglie e mai più restituiti, in numeri che ancora non sono calcolabili. La Santa Sede è intervenuta sul tema con una dichiarazione di monsignor Janusz Urbanczyk, rappresentante permanete della Santa Sede all’OSCE, al Consiglio Permanente dell’organizzazione.
Nel suo intervento, Urbanczyk ha riaffermato l’impegno della Santa Sede a “proteggere globalmente e promuovere i diritti dei bambini in ogni parte del mondo, senza eccezioni”, e dunque, in virtù di questo impegno, c’è preoccupazione di là delle mura riguardo il presunto sfollamento forzato di bambini ucraini non accompagnati nei territori occupati dell’Ucraina o verso il territorio della Federazione Russa.
Gli Stati OSCE hanno chiesto l’attivazione del cosiddetto “Meccanismo di Mosca”, che permette allo Stato che ne chiede l'attivazione di istituire una missione ad hoc di esperti indipendenti affinché svolga indagini su problemi umanitari sul territorio proprio o di un altro Stato”, la Santa Sede ha deciso di non aderire alla richiesta.
Allo stesso tempo, ha ribadito la sua profonda preoccupazione ed espresso forte disapprovazione per la deportazione di bambini non accompagnati.
La Santa Sede sottolinea ancora una volta la necessità di rispettare la dignità dei bambini, considerando che l’infanzia è “un passaggio essenziale della vita di tutti i bambini” e che dunque “i bambini non dovrebbero essere mai usati come pegni di guerra per propaganda politica da nessuna parte del conflitto” e non dovrebbero “mai essere vittime di rieducazione e deportazione forzata”.
La Santa Sede ha quindi richiamato tutti gli Stati all’obbligo di “evitare di evacuare bambini in territori stranieri senza una adeguata ragione medica e il consenso scritto di quanti sono responsabili della loro cura”.
La Santa Sede ha anche ribadito l’importanza della riunificazione famigliare, ricordando che questo spostamento dei bambini “sicuramente colpirà e traumatizzerà le loro vite già vulnerabili”
Monsignor Urbanczyk ha chiesto che venga rispettata “la protezione fondamentale data ai civili”, e in particolare ai bambini, perché “la guerra mette a rischio il futuro dei bambini e toglie loro vite.
La Santa Sede continuerà a portare aiuti, conclude Urbanczyk, ma “è anche importante continuare a credere e favorire il dialogo in sforzi tangibili per terminare il conflitto, raggiungere un cessate il fuoco e cominciare i negoziati di pace”.
Ucraina, un rapporto ONU sulla situazione degli Ortodossi
Il 24 marzo, l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha pubblicato un rapporto sulla situazione dei diritti umani in Ucraina per il periodo dal 1 agosto 2022 al 31 gennaio 2023.
Nella sezione sulla libertà religiosa si parla di discriminazione nei confronti della Chiesa Ortodossa Ucraina, che è legata al patriarcato di Mosca e sotto il metropolita Onufrij.
In particolare, il rapporto si riferisce ai disegni di legge n. 8221, n. 8262 e n. 8371, considerati discriminatori della Chiesa ortodossa ucraina, e alle cosiddette "misure di sicurezza" da parte del Servizio di sicurezza dell'Ucraina ( SBU) contro la Chiesa ortodossa ucraina.
Il rapporto sottolinea che “la SBU ha effettuato perquisizioni (alcune delle quali sono state descritte come "misure di sicurezza") in diversi monasteri, uffici, istituzioni educative e altre proprietà della Chiesa ortodossa ucraina nelle regioni di Kyiv, Rivne, Zhytomyr, Ivano-Frankivsk, Chernivtsi, Dnipro, Khmelnytsky, Cherkasy, Volyn, Kherson, Ternopil, Poltava e Zakarpattia", e mette in luce come “alcuni membri del clero della Chiesa ortodossa ucraina sono stati interrogati con un rilevatore di bugie e nei loro confronti sono stati mossi almeno tre sospetti, tra cui quello di 'violazione dell'uguaglianza dei cittadini sulla base della nazionalità, religione, attacco a l'integrità territoriale e l'inviolabilità dell'Ucraina”, nonché per “negazione dell'aggressione militare della Federazione Russa contro l'Ucraina”.
OHCHR ha espresso preoccupazione che queste azioni siano discriminatorie, e ha voluto ricordare che è necessario “garantire che tutte le persone sottoposte a procedimento penale godano di tutti i diritti a un processo equo".
Un nuovo ambasciatore russo presso la Santa Sede
Papa Francesco aveva dimostrato di apprezzare Alexander Avdeev, ambasciatore della Federazione Russa presso la Santa Sede dal 2013. Ora, però, dovrebbe interfacciarsi con un possibile nuovo ambasciatore. Secondo l’ADN Kronos, sarebbe stato già designato Alexei Paramonov, direttore per l'Europa del ministero degli Esteri russo ed ex console a Milano che nei giorni scorsi in un'intervista a Ria Novosti ha parlato di conseguenze irreparabili per il rapporto bilaterale tra Roma e Mosca nel caso di ulteriori sanzioni.
Mancherebbe solo l’ok di Putin, ma poi il Vaticano dovrebbe dare l’agreamant.
FOCUS SEGRETERIA DI STATO
La lezione sulla democrazia dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher
Il 27 marzo, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha tenuto una lectio magistralis su “Democrazia secondo la saggezza dei Papi nell’attuale scenario internazionale”. La lectio era parte del convegno “Democrazia per il bene comune. Quale mondo vogliamo costruire?” organizzato dalla facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana.
Nel suo discorso, l’arcivescovo Gallagher ha messo in luce come la sovranità popolare sia guidata da una negative politics, ovvero dalla “delegittimazione delle proposte dell’altro, quali che siano, per massimizzare i propri obiettivi individuali e il consenso, ma poco si nota degli sforzi per cercare unità”.
Le risposte al bisogno di felicità sembrano essere i soli “individualismo e utilitarismo” che “consolidano strutture di falsa democrazia”.
Eppure, ha notato l’arcivescovo, c’è una ampia tradizione cristiana che ha elaborato la dottrina democratica, a parire dalla Charta Caritatis del 1119, sottolineando che “la democrazia è proprio il servizio all'unità sinfonica di un popolo, il frutto di un impegno per creare l'unità”.
La mobilità umana – si è chiesto l’arcivescovo – incide sulla tenuta dei rapporti tra le persone? Difficile da definire, considerando anche il coro circuito creato dall’accelerazione dell’epoca, che va in controtendenza con un processo democratico che è necessariamente “pluristratificato”, perché “garantire che le argomentazioni di ciascuno siano incanalate nella rappresentatività è qualcosa che prende tempo”.
Secondo il “ministro degli Esteri” vaticano, "nella politica moderna, ancor più che nel passato, non è la forza dell’argomento migliore a decidere delle politiche future, ma il potere dei rancori, dei sentimenti istintivi, di metafore ed immagini suggestive".
E così, politici e gruppi “vincono le elezioni perché sono cool” e non solo sulla base di programmi e tesi articolate, così che si verifica un "sacrificio di tutte le energie politiche e individuali all’altare della competizione socio-economica".
Pio XII, ha ricordato l’arcivescovo, denunciò come "la crisi dei totalitarismi era causata dall'aver separato la dottrina e la pratica della convivenza sociale dal riferimento a Dio e dall'aver calpestato il carattere sacro della persona umana, centro d'imputazione dell'ordine sociale", e così la democrazia venne assimilata nella Dottrina Sociale della Chiesa. Di democrazia hanno parlato anche Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e anche Papa Francesco già da cardinale, quando, nel 2011, si occupava di degenerazione della politica, svuotamento della democrazia e crisi delle élite.
Gallagher ha ricordato che il Papa in Grecia, nel 2021, era arrivato a sottolineare come il rimedio per una rivitalizzazione della democrazia non passa attraverso la ricerca ossessiva di popolarità, nella sete di visibilità e proclamazione di promesse impossibili o nell’adesione ad astratte colonizzazioni ideologiche, ma sta nella buona politica in quanto responsabilità somma del cittadino e 'arte del bene comune.
Il “ministro degli Esteri” vaticano ha poi precisato che “la democrazia non esclude affatto le opposizioni politiche, economiche, sociali, religiose, ideologiche: al contrario essa ne vive". Ma si è anche chiesto: "Una maggioranza può unirsi intorno a un programma di sterminio di tutti coloro che si oppongono o si sono opposti alla vittoria del pensiero e della passione maggioritaria. In questo caso siamo ancora in democrazia?".
L’arcivescovo Gallagher ha quindi messo in luce tre malattie della democrazia:
il deperimento o la corrosione prodotta dalla rottura del nesso vitale che deve unire consenso e verità; le degenerazioni oligarchiche e, diremmo, lobbistiche della democrazia; derive assistenzialistiche e burocratiche dello Stato sociale.
Concludendo, l’arcivescovo Gallagher ha notato che “se il buon governo venisse a mancare, si impadronirebbe la tirannide, con l’assenza di qualsiasi regola di vita sociale: regnerebbe solo violenza, distruzione di edifici e di campi, incendi e morte”.
Inizio della missione del nunzio in Guinea Bissau
L’arcivescovo Waldemar Sommertag ha iniziato la sua missione di nunzio in Guinea Bissau lo scorso 13 marzo, quando è arrivato all’aeroporto. La sede del nunzio è in Senegal, e la nunziatura copre anche Capo Verde e Mauritania.
Il 14 marzo, Sommertag ha presieduto la Messa nella cattedrale di Nossa Senhora de Candelâria, mentre il 15 marzo, dopo aver incontrato l’ambasciatore Marcello Canfom, capo del protocollo del Presidente della Repubblica e Direttore generale del Protocollo di Stato, Sommertag è stato ricevuto da Suzi Carla Barbosa, ministro degli Affari Esteri della Cooperazione Internazionale e della Comunità.
A lei, il nunzio ha consegnato copia delle lettere credenziali, mentre le lettere credenziali sono state consegnate il pomeriggio al presidente della Repubblica Umaro Sissoco Embalò.
Nel colloquio che ha fatto seguito alla consegna delle lettere credenziali, il presidente ha sottolineato le buone relazioni diplomatiche tra Guinea Bissau e Santa Sede e ha espresso riconoscenza al Papa per gli sforzi che compie in favore dell’umanità e dei più poveri. Il nunzio ha assicurato le preghiere di Papa Francesco e ribadito l’impegno della Chiesa per sostenere concretamente lo sviluppo integrale dei cittadini.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede a Ginevra, contro la discriminazione razziale
Il 29 marzo, l’arcivescovo Fortunatus Nwachukwu, Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite a Ginevra, ha preso la parola alla 52esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra.
Nel suo intervento, ricordando il 75esimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ha notato che “mentre sono stati fatti progressi negli sforzi internazionali per eliminare la discriminazione di tutti i tipi”, è “scoraggiante di vedere quante istanze di discriminazione e profilazione razziale esistono ancora, nonostante i meccanismi di protezione nazionali e internazionali”.
La pandemia del COVID ha accentuato la situazione, perché “ci sono state istanze di discriminazione razziale sia nei confronti di migranti che di rifugiati”, e questi sono stati a volte trattatati in maniera ingiusta da ufficiali di frontiera, organizzazioni di aiuto umanitario e comunità ospiti”.
E così, denuncia il nunzio, tutte queste persone che “già soffrono la durezza della guerra”, sono anche oggetto di discriminazione “ causa del colore della loro pelle”, mentre – e “non ci sarebbe bisogno di dirlo” – i rifugiati vogliono essere accolti, protetti, promossi e integrati.
L’arcivescovo Nwachukwu ha notato che la Santa Sede “è particolarmente preoccupata riguardo una nuova e sottile forma di discriminazione spesso collegata alla razza e specialmente alla cultura tradizionale”, e cioè la colonizzazione ideologica denunciata da Papa Francesco che “piuttosto che rispettare i valori e le culture della popolazione locale”, si impongono ideologie, specialmente nelle “località del Sud globale”, a volte addirittura “negando il supporto finanziario o l’aiuto umanitario se la nazione non adotta e implementa la sua posizione”.
L’arcivescovo ha concluso che “mentre il dialogo autentico sui valori e le prospettive diverse dovrebbe essere sempre benvenuto, nessuna nazione dovrebbe mai essere forzata a scegliere tra l’abbandonare i suoi valori o il rifiutare il supporto internazionale, che è necessario per la promozione del bene comune nella nazioni in via di sviluppo”.
La questione Nicaragua discussa all’Organizzazione degli Stati Americani
Il 29 marzo, monsignor Juan Antonio Cruz Serrano è intervenuto presso la sessione ordinaria del Consiglio Permanente della Organizzazione di Stati Americani, di cui è osservatore. Il tema era la situazione in Nicaragua.
La Santa Sede – ha detto l’Osservatore – “apprezza gli sforzi della comunità internazionale per favorire il dialogo e creare vie di comprensione per le persone più vulnerabili e le loro necessità”. In particolare, la Santa Sede si è detta grata agli Stati Uniti di America per aver agevolato “il trasporto e l’ingresso nel suo territorio dei 222 prigionieri liberati nello scorso 9 febbraio, come anche degli altri Paesi cui è stata offerta la cittadinanza”.
Come si ricorderà, il governo del Nicaragua aveva espulso 222 prigionieri, e aveva anche dato l’opportunità al vescovo di Matagalpa Rolando Àlvarez, arrestato ad agosto, di lasciare il Paese. Il vescovo aveva invece accettato di andare a giudizio ed è stato condannato a più di venti anni di carcere per tradimento. Il regime nicaraguense ha poi diffuso le foto di una visita dei famigliari del vescovo allo stesso Àlvarez in carcere, e ha autorizzato una processione, ma questo non ha alleviato l’immagine di Ortega, che da mesi ha reso la Chiesa oggetto di attacchi.
Proprio la situazione del vescovo di Matagalpa è stata affrontata dal rappresentante della Santa Sede. Àlvarez – ha detto monsignor Cruz Serrano – “dopo essere stato agli arresti domiciliari da agosto 2022, ed aver rifiutato di imbarcarsi sull’aereo il 9 febbraio, è stato condannato il successivo 10 febbraio a 26 anni di carcere”.
Non solo. Monsignor Cruz Serrano ha ricordato che il Nicaragua ha inviato alla Santa Sede la comunicazione della “sospensione” delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede, chiedendo “l’immediata chiusura delle rispettive sedi diplomatiche”.
L’Osservatore della Santa Sede alla OSA sottolinea che “la Santa Sede contesta questa decisione e chiede lo stabilimento di un canale di comprensione reciproca basato sul dialogo costruttivo e rispettoso”.
Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra, l’ecologia integrale
Lo scorso 28 marzo, è intervenuto alla 52esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani anche Dom Vicente Ferreira, vescovo eletto di Livramento de Nossa Senhora e segretario della Commissione Speciale per l’Ecologia Integrale e le Miniere della Conferenza Episcopale del Brasile.
Il presule è intervenuto nell’ambio dell’adozione da parte del Brasile delle raccomandazioni del Rapporto di revisione periodica universale.
Dom Ferreira si è detto soddisfatto che il Brasile sostenga “tutte le raccomandazioni relative al diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile, al diritto all’acqua e a quelle relative alle attività minerarie”.
Si tratta di raccomandazioni – ha aggiunto - “di primaria importanza considerando le misure, le leggi e le politiche regressive adottate negli ultimi anni”.
Il vescovo ha poi denunciato “la mancanza di trasparenza e di partecipazione pubblica nei processi di autorizzazione delle industrie estrattiva”. Questo, a suo avviso, ha “facilitato le attività minerarie ed estrattive illegali”, le quali hanno causato “diffuse violazioni dei diritti umani e conseguenze permanenti per l’ambiente, le popolazioni indigene e le comunità afro”.
Tra gli esempi raccontati da Ferreira, i guasti alle infrastrutture che stanno avendo luogo dal 2015, e che includono “lo straripamento e la rottura di una diga per l’estrazione dell’oro a Godofredo Viana, nel Maranhão, una perdita che ha causato alti livelli di alluminio nella zona di Barcarena, o la rottura di dighe a Mariana e Brumadinho”.
E poi, “la contaminazione da mercurio che ha colpito le terre delle popolazioni indigene Munduruku e Yanomami o la contaminazione da cianuro del fiume a Pedra Branca do Amapari, nell’Amapá”.
Dom Ferreira ha notato che “molte comunità colpite da disastri minerari sono ancora in attesa di un pieno risarcimento. Alcune non sono ancora state riconosciute come vittime e rimangono escluse dai programmi di aiuto e di risarcimento di emergenza. Nella maggior parte di questi casi, i danni sono irreparabili. Il Brasile deve quindi fornire garanzie di non ripetizione e mettere in atto misure per evitare che tali disastri si ripetano”.
FOCUS EUROPA
Una presa di posizione insolita del nunzio in Croazia
Il 29 marzo, la nunziatura in Croazia ha preso una posizione inusuale, commentando una conferenza stampa vescovo Đuro Hranić di Đakovo-Osijek. Questi, ha fatto sapere la nunziatura, non avrebbe mostrato la necessaria e raccomandata empatia verso le vittime in un processo di abusi, credendo prima al sacerdote accusato e poi alla madre di una delle vittime.
L’antefatto: il 21 marzo, il vescovo Hranić ha tenuto una conferenza stampa riguardo le accuse di copertura su un caso di abusi sessuali che riguardava un parroco di Sotin, Zlatko Rajčevac.
Il vescovo ha respinto le accuse di copertura degli abusi. Ha invece sottolineato di aver riportato il caso all’ufficio del procuratore generale. Non avrebbe, tuttavia, trasferito il parroco considerando che “era già vecchio e malato” e “il suo intero mondo sarebbe crollato”.
La nunziatura ha confermato che il vescovo ha formalmente rispettato tutte le procedure e le leggi contemplate nel caso di abusi dei minori, avendo anche inviato una indagine con relazione al dicastero competente in Vaticano.
Allo stesso tempo, la nunziatura ha ribadito che “il focus deve essere sulle vittime e che sarebbe auspicabile che si possa sollevare chiunque sia accusato di questo crimine dai suoi doveri finché non sia fatta luce sui fatti”.
La nunziatura ammette che comunque l’attuale legislazione “lascia la discrezione della decisione al vescovo”, ma in questo caso il vescovo Hranić non ha mostrato “l’empatia necessaria e raccomandata nei confronti delle vittime”.
Non ci saranno azioni contro il vescovo, perché il suo operato ha avuto luogo nella cornice delle procedure legali, e che l’empatia può “solo essere desiderata, ma non può essere imposta, e la sua assenza non può essere sanzionata”.
La nunziatura ha anche sottolineato di voler soprattutto “esprimere vicinanza e chiedere perdono a tutte le vittime, conosciute e sconosciute, che sono state esposte al comportamento inappropriato dell’ora deceduto don Rajčevac,”, e rimarca che “si deve ammettere che non abbiamo appreso dagli errori del passato”.
FOCUS ASIA
Chiesa in India, avvertimento allo Stato di non mischiarsi negli affari religiosi
Il Cardinale Mar George Alencherry, arcivescovo maggiore della Chiesa Siro-Malabarese, ha presentato un esposto all’alta corte dello Stato Indiano del Kerala per affermare che né il governo dello Stato né il suo segretario capo ha alcun obbligo legale di agire come mediatori in dispute riguardanti la Santa Messa unificata, e che dunque non dovrebbero fare alcuna pressione sulla Chiesa.
Tuttavia, la Chiesa siro-malabarese non ha da porre obiezioni su qualunque azione governativa volta a mantenere la legge e l’ordine, sebbene specifichi che “non si può rendere la decisione presa dal Sinodo e approvata dal Papa un soggetto di negoziazione o mediazione sotto il preteso di ristabilire la legalità o mettere in ordine problemi”.
Il Cardinale ha notato che i tribunali civili sono stati esclusi dalle decisioni su fatti religiosi secondo la sezione 9 del Codice di Procedura Civile in vigore già dal 1908.
L’esposto del Cardinale arrivava in risposa a una petizione di Antony Joseph e Tomy Joseph di Kochi, i quali volevano direttive del governo per poter intervenire nella disputa sull’introduzione della Messa unica nella chiesa.
Nell’esposto (affidavit) il Cardinale Alencherry ha sottolineato che “la Messa è la più grande e sacra preghiera dei fedeli cristiani. Per questo, le leggi di culo, specialmente le modalità di culo, dovrebbero essere svolte strettamente secondo i libri liturgici”, e aggiunge che la questione del culto cade “esclusivamente nell’ambio della gerarchia della Chiesa Siro Malabarese”, e che il potere esecutivo dello Stato non si estende olre le competenze legislative dello Stato stesso.
Terrasanta, il vescovo Marcuzzo condanna gli attacchi alle scuole cristiane
In dichiarazioni rese ad Asia News, il vescovo Giacinto-Boulos Marcuzzo, già vicario patriarcale di Gerusalemme dei Latini e ancora oggi residente nella Città Santa, ha messo in luce il “clima di tensione” che si vive in Terrasanta, mettendo in fila prima gli spari contro la scuola delle suore francescane, poi il raid dalle suore salesiane con il saluto ‘Ramadan Kareem’ e l’esortazione a diventare musulmani”, e infine “quando si sono presentati in una chiesa durante la messa e al vice parroco, un sacerdote maronita, hanno chiesto di recitare il Corano”.
Tre episodi in pochi giorni, in prossimità della Pasqua, che non fanno altro che accrescere il clima di tensione, tanto che il 29 marzo i vescovi di Terrasanta hanno pubblicato una nota speciale chiedendo la fine della diffusione delle violenze.
Gli attacchi sono giunti in un clima di tensione, mentre in tutto Israele si protestava per la riforma della giustizia proposta dal primo ministro Nethanyahu, e c’erano tensioni e scontri tra israeliani e palestinesi in Cisgiordania e Gaza alimentati da gesti provocatori come la camminata di Itamar Ben-Gvir alla Spianata delle moschee.
Ci sono anche attacchi a luoghi di culto e centri cristiani per mano di estremisti ebraici, come quello avvenuto lo scorso 19 marzo alla Tomba di Maria – episodio non isolato, ma preceduto dal raid ai primi di febbraio contro la Chiesa della flagellazione e alla profanazione di un cimitero sul monte Sion e gli attacchi ad una chiesa nei pressi del Cenacolo, alla Basilica di Nazareth e ad edifici cattolici e greco-ortodossi”. Il vescovo Marcuzzo ha messo in luce che c’è stata una “importante presa di posizione di due autorevoli imam della città che hanno condannato con forza questi gesti”.
Iraq, rischio boicottaggio delle elezioni da parte di un gruppo di cristiani
I cristiani potrebbero boicottare le prossime elezioni irachene, se non verranno prese in considerazione le loro richieste per la tutela della rappresentanza politica garantiti a candidati cristiani in Parlamento e nelle istituzioni politiche nazionali e locali.
Lo hanno annunciato, in una lunga dichiarazione, i vescovi che compongono il cosiddetto Consiglio di Ninive, un organismo che include diverse sigle cristiane presenti in Iraq.
Nella nota dei vescovi, si legge che l’Iraq è sempre stato contraddistinto da una pluralità “etnica e religiosa, che comprende anche la componente cristiana”, cui dovrebbero essere destinati cinque seggi del Parlamento – ma il voto per questi seggi può essere svolto anche da non cristiane, e questo permette alle forze politiche più grandi di pilotare anche l’assegnazione delle quote di seggi riservate alle componenti di minoranza.
I vescovi hanno proposto di “istituire un Registro di elettrici e elettori cristiani abilitati a esprimere il proprio voto per assegnare i cinque seggi parlamentari riservati alla componente cristiana”, cosa che sarebbe “in piena armonia con la Costituzione Irachena e con i pronunciamenti della Corte Suprema riguardo le procedure elettorali. Se questo non accadrà si può decidere sia “di chiedere la cancellazione della quota di seggi loro riservata nell’attuale legge elettorale”, per impedire che anche quei seggi riservati a candidati cristiani vengano di fatto occupati da persone che non rappresentano effettivamente le esigenze delle comunità cristiane irachene; oppure potrebbe essere svolto un boicottaggio elettorale.
La dichiarazione è stata sottoscritta dal domenicano Najib Mikhael Moussa, Arcivescovo caldeo di Mosul, da Mar Nicodemus Daoud Matti Sharaf, Vescovo siro ortodosso di Mosul, da mar Isaac Yousif, Vescovo della Chiesa assira d’Oriente, da Mar Benedictos Younan Hano, Arcivescovo siro cattolico di Mosul, e da Mar Chamoun Daniel, Vescovo della Antica Chiesa d’Oriente.
La nostra missione è la verità. Unisciti a noi!
La vostra donazione mensile aiuterà il nostro team a continuare a riportare la verità, con correttezza, integrità e fedeltà a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
Donazione a CNA