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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, verso Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan

Papa Francesco e il presidente della Repubblica Democratica del Congo Tshisekedi in Vaticano, 17 gennaio 2020

Si prepara il viaggio di Papa Francesco in Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan, e vale la pena guardare a come queste due nazioni hanno gestito le relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Osservatore privilegiato è sicuramente il nunzio in Repubblica Democratica del Congo, l’arcivescovo Ettore Balestrero, che con ACI Stampa delinea quali sono le sfide del viaggio.

La scorsa settimana, il Papa ha incontrato la presidente del Kosovo. La Santa Sede guarda con attenzione alla situazione nei Balcani, ma non ha mai riconosciuto il Kosovo per via di uno status internazionale controverso. La visita della presidente puntava anche a cercare di portare le relazioni con la Santa Sede ad un altro livello.

                                    FOCUS VIAGGIO RDC- SUD SUDAN

Il nunzio Balestrero sul viaggio di Papa Francesco

Papa Francesco arriverà in Repubblica Democratica del Congo il prossimo 31 gennaio, per un viaggio che aveva già previsto a luglio e che ha dovuto rimandare per il suo stato di salute. Nel programma del viaggio di luglio, era previsa anche una tappa a Goma, nel Nord Kivu, per dire Messa lì dove l’ambasciatore Luca Attanasio era stato ucciso, ma questo non succederà perché la situazione di sicurezza non lo consente. Eppure, ci sarà un momento molto importante nel viaggio, che è quello dell’incontro con le vittime del conflitto

Secondo l’arcivescovo Ettore Balestrero, Papa Francesco visiterà prima di tutto il Paese come “un padre, ad invitare i Cattolici a dare più spazio a Dio, a testimoniare la fede con coerenza e con gioia, a bandire ogni dicotomia fra la fede professata e la vita vissuta”.

Ma viene anche come “amico di tutti i congolesi”, per invitare “tutti i congolesi a

voltare pagina”. Il Papa, inoltre, potrebbe – è il pensiero del nunzio – invitare “la comunità internazionale a non lasciare da soli i Congolesi, a non considerare questo Paese come un ‘problema’, ma piuttosto come un’’urgenza morale’, che non si può dimenticare e nemmeno trascurare”.

Il ruolo della Chiesa in Repubblica Democratica del Congo è importantissimo. L’“ambasciatore del Papa” a Kinshasa ricorda che l 40 per cento delle istituzioni sanitarie nel Paese sono gestite da personale e istituzioni cattoliche e le scuole pubbliche gestite da personale cattolico sono frequentate da almeno sette milioni di studenti.

“Storicamente – dice il nunzio - la Chiesa ho accompagnato il consolidamento della coscienza democratica del Paese. Credo, dunque, che il Papa ringrazierà la Chiesa per questo lavoro e per i rischi, talvolta molto grandi, che deve affrontare. Credo che inviterà pure la Chiesa, per essere efficace, ad agire sempre in linea con la propria identità, e per essere ‘credibile’, ad esser profondamente ‘credente’.”

Particolarmente complessa la situazione nel Kivu e nell’Ituri, dove ci sono più di 60 milizie armate. In particolare, ricorda il nunzio, “attorno a Goma adesso c’è il conflitto con il gruppo M 23 (23 marzo) che ha provocato 550.00 sfollati in tre mesi; la frontiera invisibile tra i territori conquistati dalle milizie e quelli controllati dall’esercito nazionale passa proprio dove il Santo Padre avrebbe dovuto celebrare la Messa a Goma, e questo fa immediatamente comprendere perché non si sia più potuto prevedere una tappa del viaggio in quella zona”.

Quindi, “più a nord, c’è il conflitto con le ADF, nel quale l’azione delle truppe ugandesi e di quelle congolesi, più che respingere tali milizie, le ha spinte all’interno del Congo. Le ADF sono il maggiore beneficiario del conflitto con l’M23, nel senso che per mesi l’attenzione è stata puntata altrove; intanto, esse hanno rafforzato pure i loro legami finanziari e di risorse umane con l’ISIS e hanno reso le metodologie dei loro attacchi sempre più omogenee a quelle dell’ISIS. Come si vede, non è una situazione facile!”

Allo stesso tempo, il nunzio sottolinea gli esempi straordinari nella Chiesa Cattolica. “Ho assistito – racconta - le Suore che gestiscono un ospedale proprio nel territorio del conflitto. Avevano ordinato loro di evacuarlo, ma non lo hanno fatto, perché non potevano lasciare i loro pazienti da soli – c’erano donne che avrebbero dovuto partorire, e che sarebbero rimaste senza assistenza”.

Queste suore – aggiunge – “sono una profezia per il Congo, l’esempio di quello che si dovrebbe fare: sono rwandesi e congolesi e lavorano insieme per il bene di tutti”, mentre “i Vescovi si sforzano d’inviare sacerdoti di un’etnia in località di etnia diversa, proprio per favorire questo stare insieme e questa comprensione reciproca”.

L’arcivescovo Balestrero nota che le autorità hanno messo in piedi la sicurezza necessaria per il viaggio in una situazione complessa, e dice che si aspettano addirittura “due milioni di persone che parteciperanno alla Messa, il che manifesta quanto sia grande l’attesa e la gioia. È un sogno che diventa realtà!”

Tuttavia, rimarca, “l’impatto della visita dipende anzitutto dai cuori delle persone, dalla disponibilità di ciascuno di lasciarsi interpellare sul serio. La presenza del Papa è uno sprone, ma poi sono i congolesi che devono prendere l’iniziativa, facendo partire il cambiamento da loro stessi e dalla loro vita”.

Repubblica Democratica del Congo e Santa Sede, quali sono i rapporti diplomatici

Nelle relazioni tra Repubblica Democratica del Congo e della Santa Sede, sembra ora ci sia la primavera dopo un inverno che sembrava particolarmente rigido. L’arrivo del nunzio Ettore Balestrero, i rapporti più distesi con la presidenza Tshisekedi hanno portato alla possibilità di un viaggio di Papa Francesco nel Paese. Il Papa ci pensava da tempo, a onore del vero.

I rapporti diplomatici sono comunque di lunga data. Già nel 1930 fu istituita la delegazione apostolica del Congo Belga, che cambiò poi nome in delegazione apostolica del Congo Belga e Ruanda-Urundi nel 1946; delegazione apostolica del Congo e Ruanda Urundi nel 1960; e delegazione apostolica del Congo e Ruanda nel 1962.

La nunziatura apostolica nel Congo fu stabilita il 16 febbraio 1963, e dunque quest’anno festeggia il suo sessantesimo anniversario. La nunziatura prese il nome di nunziatura in Zaire nel 1977 e di nunziatura presso la Repubblica Democratica del Congo nel 1997.

L’inverno nelle relazioni aveva avuto un culmine nel 2018, quando la Chiesa Congolese aveva avuto un ruolo nell’organizzazione delle elezioni presidenziali e provinciali. Le elezioni erano state contestate dalla Conferenza Episcopale del Congo, ma confermate dalla Commissione Elettorale Nazionale Indipendente e confermate dalla Corte Costituzionale.

Al culmine di quella situazione, la Santa Sede richiamò a Roma l’arcivescovo Mariano Montemayor, nunzio apostolico, con una mossa decisa appena dopo l’incontro del 19 gennaio 2018 tra l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, e il vice primo ministro e ministro degli Affari Esteri e dell’Integrazione Regionale Leonard She Okitundu.

Ma prima di quelle elezioni c’era stata la repressione sanguinosa della marcia dei cattolici del 31 dicembre 2017, che la nunziatura apostolica, con un comunicato del 2 gennaio 2018, aveva giustificato le azioni nel quadro degli appelli a manifestare lanciati dal Comitato Laico di Coordinamento, sottolineando che la legge fondamentale della Chiesa Cattolica “garantisce ad ogni battezzato cattolico di costituirsi in associazioni e promuovere le iniziative che sono in armonie con la missione della Chiesa”.

Ma la Chiesa Cattolica aveva sempre perseguito una strada di dialogo, tanto che Papa Francesco aveva ricevuto l’allora presidente Joseph Kabila il 26 settembre 2016, appena una settimana dopo le manifestazioni dei cattolici del 19 e 20 settembre 2016, anche quelle violentemente represse dalla polizia congolese. In occasione di quell’udienza, Papa Francesco aveva sottolineato l’importanza della collaborazione tra differenti attori politici e i rappresentanti della società civile, nonché le comunità religiose, includendo la Chiesa Cattolica nella Repubblica Democratica del Congo.

(La storia continua sotto)

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Da allora, le relazioni tra le istituzioni congolesi e la Chiesa Cattolica erano state molto tese. Il 7 marzo 2017, l’episcopato cattolico congolese aveva denunciato le manovre volte a far ritardare l’applicazione dell’accordo del 31 dicembre 2016. Al tempo, si pensava ad un viaggio del Papa in Repubblica Democratica del Congo nel 2017, da fare passando anche dal Congo Brazzaville, ma il Papa, in una intervista al quotidiano tedesco Die Zeit il 9 marzo 2017, aveva detto che “si prevedeva di andare nei due Congo, ma con Kabilla non si può, non credo si possa andare”.

Il cambio di rotta si può notare anche nel numero di visite dei presidenti. Papa Francesco ha ricevuto Kabila una sola volta, mentre il presidente Tshisekedi è stato due volte in visita dal Papa, il 5 ottobre 2019 e il 17 gennaio 2020. In quell’occasione, si ratificò anche l’accordo quadro tra Santa Sede e Repubblica Democratica del Congo.

Oggi, il nunzio è l’arcivescovo Ettore Balestrero, e i rapporti sono molto più distesi.

Dalla fine dello scorso anno, ambasciatore della Repubblica Democratica del Congo presso la Santa Sede è Deogratias Ndagano Mangokube.

Le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Sud Sudan

Santa Sede e Sud Sudan festeggiano quest’anno i dieci anni di relazioni diplomatiche, che sono state stabilite nel 2013. Va ricordato, però, che il Sudan del Sud fu stabilito come Stato indipendente solo nel 2011, e dunque si può dire che nella quasi interezza della sua storia ha avuto relazioni diplomatiche con la Santa Sede.

Inevitabile, considerando che il lavoro dei missionari fu cruciale nell’arrivare ad una indipendenza del Paese.

Furono soprattutto i missionari comboniani a lavorare sul territorio, cercando di evangelizzare il Sud Sudan lungo tutto il XX secolo nonostante fosse teatro della guerra con il Sudan. Una guerra che distrusse molte chiese, rendendo molo difficile una normale azione pastorale.

Con la pace del 2005, la Chiesa del Sud Sudan ha cominciato a riorganizzarsi e i vescovi sono riusciti a tornare nelle loro sedi, lavorando nel diffondere coraggio e vigilare sullo svolgimento del processo di pace che ha portato al referendum per l’indipendenza del 2011.

L’indipendenza ha dato un'altra spinta all’evangelizzazione nel Paese, e tra l’altro va segnalato il lavoro del Consiglio Ecumenico delle Chiese, molto presene sul territorio e molto attivo anche nel difendere il processo di pace.

I cattolici in Sud Sudan sono dal 38 al 40 per cento della popolazione di 11 milioni di abitanti, divisi in una grande varietà di gruppi etnici.

Secondo l’arcidiocesi di Giuba, 6,2 milioni di residenti appartengono alla Chiesa Cattolica.

I primi cristiani nell’attuale Sud Sudan erano presenti già nel V secolo, ma la diffusione dell’Islam nell’allora regno di Nubia li portò all’espulsione nel 640. Fino al XIX secolo, la Chiesa cattolica non si ristabilì nel territorio, quando arrivò Daniele Comboni con i suoi missionari..

Il Sud Sudan è diviso in sette diocesi; sono tutti incorporati nella provincia ecclesiastica di Giuba. Arcivescovo di Giuba è Stephen Ameyu Martin Mulla, 59 anni.
La Conferenza episcopale cattolica comprende ancora i vescovi delle diocesi di Sudan e Sud Sudan, ma c'è un sottosegretariato separato per il sud.

                                                FOCUS PAPA FRANCESCO

La presidente del Kosovo da Papa Francesco

Il 21 gennaio, Vjosa Osmani, presidentte del Kosovo, è stata ricevuta da Papa Francesco.

L’udienza non era nella lista di udienze ufficiali di Papa Francesco, anche perché la Santa Sede non riconosce il Kosovo, e non lo farà finché il suo status internazionale smetterà di essere controverso. Tuttavia, la Santa Sede ha mostrato molta attenzione per la regione, tano che il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, la ha visitata nel giugno 2019.

La visita della presidente kosovara è stata annunciata da un comunicato ufficiale del governo. Osmani ha fatto visita a Papa Francesco in compagnia del marito Prindon Sandriu e della vice premier Donika Gërvalla.

Secondo il comunicato, Osmani ha informato il Papa della determinazione del suo Paese a coltivare e promuovere ulteriormente la pace, l’armonia e la convivenza tra i popoli.

Osmani ha sottolineato di aver “ringraziato in particolare il Santo Padre per la premura che sta dimostrando nei confronti del Kosovo, e lo ho ringraziato per la sua decisione cinque anni fa di elevare l’amministrazione apostolica al livello di diocesi”.

Secondo la presidente, l’obiettivo comune di Kosovo e Santa Sede è “l’ulteriore approfondimento delle relazioni con il Vaticano e l’espansione della cooperazione in molti campi”. Il Kosovo, ha aggiunto la presidente, aspira ad essere riconosciuto dalla Santa Sede.

Trattandosi di visita privata, non c’è stato un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede. Nel 2016 e il 2017, il presidente Hashim Thaçi fece visita al Papa, nel 2018 fu la volta del Primo Ministro Ramush Haradinaj, e nel 2019 venne in Vaticano il ministro degli Esteri Behgjet Pacolli.

La Santa Sede non ha riconosciuto il Kosovo, il cui status è particolarmente controverso. La Santa Sede ha però nominato un delegato apostolico nella persona del nunzio in Slovenia.

                                                FOCUS UCRAINA

Ucraina, una legge che mette al bando le confessioni religiose con legami con la Russia

Il 19 gennaio 2023, Denys Shmyhal, presidente del Consiglio Ucrainao, ha presenao alla Rada la proposta di legge 8371, che vuole bandire le organizzazioni religiose che fanno riferimento alla Russia.

La legge ha lo scopo di “assicurare indipendenza spirituale, evitare la divisione nella società in linee religiose, promuovere il consolidamento della società ucraina e proteggere gli interessi nazionali”.

Ci sono emendamenti alle leggi ucraine “Sulla libertà di coscienza e le organizzazioni religiose” e “Sulla registrazione presso lo Stato di entità legali, imprenditori individuali e organizzazioni pubbliche”.

Shmyhal si è detto sicuro che la legge sarebbe stata approvata. Secondo il parlamentare Fedir Venislavsky, che milita nel partito “Servitore del Popolo” di Volodymir Zelensky, questa legge “è una priorità per la sicurezza nazionale ucraina, e le questioni della sovranità statale e l’integrità territoriale prevalgono su una possibile valutazione negativa delle proibizioni delle organizzazioni religiose che hanno centri di governo nel Cremlino. Per questo, prevedo che la legge passerà in maniera abbastanza velocemente, credo prima della fine dell’inverno, e c’è ogni chance che questa legge sia approvata già in prima lettura”.

La legge si riferisce in particolare alla Chiesa Ortodossa Russa legatta al Patriarcato di Mosca. La legge infatti si formula come un “addendum” all’articolo 5 sulla “Separazione della Chiesa dallo Stato” della legge ucraina “Sulla libertà di coscienza delle organizzazioni religiose”, in modo da colpire: le organizzazioni religiose le cui attività non sono consentite; i centri di influenza delle organizzazioni religiose; e un centro di gestione che si trovi fuori dall’Ucraina in uno Stato che porti una aggressione contro l’Ucraina..

Quindi, la strategia del governo punta ad allargare i poteri dell’esecutivo centrale che implementa la politica di Stato nella regione.

Infine, si punta ad eliminare le violazioni, partendo dalle “relazioni canoniche” – e qui la legge diventa critica, perché considera una relazione di tipo religioso come una relazione politica.

Lo strumento è quello di appellarsi al tribunale con azioni amministrative perché siano terminate le attività delle organizzazioni religiose in caso falliscano di rispettare l’ordine di eliminare le violazioni.

Il rischio è comunque quello di una totale arbitrarietà burocratica. La legge non è un bando diretto della Chiesa Ortodossa Russa, ma il modo in cui questo può essere applicato e la larghezza dei termini, potrebbe in qualche modo dare spazio ad una vera e propria repressione.

In pratica, alla Chiesa Ortodossa sarà richiesto di dissociarsi dalla Chiesa Ortodossa Russa in questioni canoniche, legali, organizzative.

                                                FOCUS AMERICA LATINA

Il Cardinale Stella a Cuba

Il Cardinale Beniamino Stella, già nunzio apostolico a Cuba tra il 1993 e il 1999, ha visitato il Paese a partire dal 21 gennaio come inviato del Papa per la commemorazione del 25esimo anniversario della storica visita apostolica di Papa Giovanni Paolo II a Cuba.

Giovanni Paolo II, primo Papa a visitare la isla, fu a Cuba dal 21 al 25 gennaio 1998. Il Cardinale Stella era già stato a Cuba nel 2015, alcuni mesi prima del primo viaggio di Papa Francesco nel Paese, in cui si incontrò con i membri della Conferenza Episcopale locale e i sacerdoti, diaconi e seminaristi delle varie diocesi cubane. Ebbe anche incontri con le autorità del Paese e celebrò Messa nelle cattedrali di Santiago di Cuba, Camagüey e La Habana.

Benedetto XVI visitò Cuba nel marzo 2012, mentre Papa Francesco vi andò nel settembre 2015, e poi nel febbraio 2016, per una breve sosta per lo storico primo incontro tra un Papa e il Patriarca di Mosca.

Lo scorso dicembre, Papa Francesco inviò una lettera ai vescovi cubani per ricordare il viaggio di Giovanni Paolo II, e nella lettera ricordò che proprio il Cardinale Stella fu “testimone privilegiato di quell’evento”.

                                                FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede all’OSCE nel giorno della memoria

Il 26 gennaio, durante il 1408esimo incontro del Consiglio Permanente dell’OSCE, monsignor Janusz Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede all’OSCE, ha risposto ad un discorso del presidente della International Holocaust Remembrance Alliance Ann Barnes.

Monsignor Urbanczyk ha sottolineato che, proprio in particolare nella Giornata della Memoria, si ricorda “l’indicibile crudeltà dell’Olocausto, la deportazione pianificata, l’annichilimento e lo sterminio del popolo ebreo”, e anche le “migliaia dopo miglia uccise dalla brutale macchina della persecuzione nazista, vittime dei più atroci crimini contro l’umanità, che hanno sofferto terribilmente a causa della totale mancanza di riguardo della loro inerente dignità di esseri umani dai loro persecutori nazisti.

Monsignor Urbanczyk ha ricordato che il Papa ha sottolineato che “non ci può essere impegno nel costruire la fraternità insieme senza prima distruggere le radici di odio e violenza che hanno alimentato l’orrore dell’Olocausto”, e che dunque è cruciale ricordare, lavorando, come ha detto il Papa, per per preparare un futuro “realmente umano”, per cui “non basta rigettare il male”, ma occorre “costruire insieme il bene comune”.

Il rappresentante della Santa Sede all’OSCE nota che “non è un compito semplice”, in società ancora colpite dalle cicatrici “dell’odio, della violenza e del rigetto dei diritti umani e dignità”. Quindi, sottolinea che si deve anche ricordare quanti hanno protetto i perseguitati a rischio delle loro vite, combattendo le orrende atrocità che li circondavano”.

La Santa Sede ha ribadito infine la sua “inequivocabile condanna di vecchie e nuove forme di antisemitismo, sottolineando che il ricordo e l’educazione riguardo questa calamità sono di estrema importanza”.

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