Città del Vaticano , 14 January, 2023 / 11:00 AM
Quanto e come è stato informato il Papa sugli sviluppi delle indagini che hanno portato al processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato? Viene da farsi la domanda dopo le udienze 43 e 44 del processo, che hanno visto il 13 gennaio gli interrogatori di Francesca Immacolata Chaouqui e Genoveffa Ciferri, e il 12 gennaio la prosecuzione dell’interrogatorio di Renato Giovannini e quello dell’avvocato Manuele Intendente.
Sono testimonianze di carattere diverso. Giovannini e Intendente, infatti, erano nella lista dei testimoni dell’accusa, mentre Chaouqui e Ciferri sono state chiamate direttamente dal tribunale, per chiarire la loro posizione dopo l’interrogatorio di monsignor Alberto Perlasca, per nove anni a capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato vaticana, prima indagato e poi testimone chiave di questo processo. Perché è dalle due puntate dell’interrogatorio del monsignore, con delle punte di incertezza che avevano fatto mettere in luce al presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone che poteva essere incriminato per falsa testimonianza, che era venuto fuori il ruolo di Ciferri nel “suggerire” le mosse da fare a Perlasca, e dietro Ciferri il costante contatto di Francesca Immacolata Chaouqui.
Quanto sa Papa Francesco?
La domanda riguardo la consapevolezza del Papa viene da alcuni dettagli che sono venuti fuori da queste udienze. Prima di tutto, è noto che il Papa aveva incontrato a Santta Marta Gianluigi Torzi, il broker cui era stato affidato in seconda battuta la gestione dell’immobile su cui la Segreteria aveva investito a Londra. Era il 26 dicembre 2018, e Torzi era in Vaticano per definire proprio la cessione delle sue quote. Ma Intendente ha fatto sapere che c’era stato un altro incontro cui aveva partecipato il Papa, e c’erano anche Gianluigi Torzi, lui in qualità di avvocato di Torzi, altri protagonisti della vicenda Londra, e l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato.
Tra le possibilità, c’era anche l’idea di trasferire le mille quote di Torzi sul palazzo, le uniche con diritto di voto, al fondo Centurion di Enrico Crasso, che già faceva investimenti per il Vaticano. Ma Papa Francesco avrebbe fatto sapere di non volere questo trasferimento, e due anni dopo, il 5 novembre 2020, nella lettera in cui definiva il trasferimento dei fondi dalla Segreteria di Stato all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, scrisse proprio esplicitamente che si dovesse dismettere ogni legame con il fondo Centurion.
Le questioni in gioco
La decisione del Papa era dunque quella di liberarsi da ogni tipo di gestione precedente, senza considerare se questa fosse stata positiva o meno. E qui si nota come il Papa intervenga profondamente nel processo. Non solo i quattro rescritti, di cui si è abbondantemente parlato, che hanno anche dato nuovi poteri investigativi agli inquirenti. Se le testimonianze fossero confermate, il Papa avrebbe partecipato a due incontri riguardo la gestione dell’immobile di Londra, e la sua presenza accrediterebbe il fatto che Papa Francesco era stato informato di ogni mossa. Nell’interrogatorio di Genoveffa Ciferri, poi, è stato sostenuto che monsignor Alberto Perlasca avrebbe consegnato il suo memoriale a Papa Francesco, prima di consegnarlo agli inquirenti, e che avrebbe ricevuto l’ok del Papa. E poi, infine, c’è il caso del baciamano concesso a Francesca Immacolata Chaouqui nell’estate del 2022. La donna, che era stata imputata nel secondo processo Vatileaks ed era stata condannata a dieci mesi (pena sospesa con la condizionale) per il concorso nella diffusione di documenti riservati con monsignor Vallejo Balda. Chaouqui si era resa protagonista di diverse intemerate contro il Cardinale Angelo Becciu, e lo stesso cardinale aveva fatto notare al Papa in una email che concedere il baciamano significava anche, indirettamente, sostenere le tesi della donna, considerando che il Papa è anche il primo magistrato dello Stato di Città del Vaticano.
Il Papa rispose che aveva dimenticato la questione, che non voleva entrare nel processo, e che aveva deciso lui di concedere il baciamano, perché magari poteva fare bene. Durante l’interrogatorio, Chaouqui ha detto che informa costantemente il Santo Padre di ogni cosa, senza però entrare nei dettagli.
Le udienze
Le domande sulla presenza e l’intervento del Papa nel processo sono, alla fine, un tema centrale da molte udienze. Il processo, in realtà, ha tre filoni di indagine: quello sull’investimento della Segreteria di Stato in un immobile di lusso a Londra, dato in gestione prima al broker Raffaele Mincione, poi al broker Gianluigi Torzi e poi ripreso in mano dalla Segreteria di Stato quando è stato appurato che Torzi aveva il pieno controllo del Palazzo, avendo tenuto per sé le uniche mille quote con diritto di voto; quindi, il peculato nei confronti del Cardinale Angelo Becciu per aver, nella sua posizione di sostituto, aver inviato fondi della Segreteria di Stato alla Caritas di Ozieri, sua diocesi di origine, secondo l’accusa favorendo la famiglia e in particolare il fratello che ne era presidente; e infine, la vicenda di Cecilia Marogna, la sedicente esperta di intelligence che è stata “contrattata” dalla Segreteria di Stato per aiutare in alcune operazioni in luoghi caldi, e in particolare per la liberazione di alcuni ostaggi, ma che invece avrebbe usato il denaro ricevuto per i suoi fini.
Sono tre storie molto diverse, che però sono confluite in un unico processo, e i cui dettagli rischiano di far perdere il nodo centrale della vicenda. La domanda è se, nella gestione di questi fondi, ci sia stato reato. Ma interrogatori e testimonianze spesso divagano, perdendosi in dettagli che a volte sanno di depistaggio, facendo perdere il nodo centrale della vicenda.
È successo, e spesso, in queste udienze. Sia in quella di Intendente e Giovannini, con in particolare quest’ultimo che si è trincerato dietro tanti non ricordo; sia in quella di Ciferri e Chaouqui, una udienza che a volte ha assunto toni drammatici per il modo aggressivo di rispondere e le costanti divagazioni, che hanno portato più volte il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone a intervenire per ristabilire l’ordine.
Ciferri
Vale la pena soffermarsi più a lungo sulle testimonianze di Ciferri e Chaouqui, che, come detto, non erano nella lista dei testimoni e sono state chiamate dopo che la stessa Ciferri aveva mandato un messaggio al promotore di Giustizia Alessandro Diddi, da lui prontamente riferito al tribunale, spiegando il ruolo che aveva avuto a fianco di monsignor Perlasca.
Ciferri era amica della famiglia di Perlasca, aveva conosciuto poi il monsignore in anni recenti, gli dava del lei ma lo chiamava anche confidenzialmente “volpetto” e aveva deciso anche di cedergli la sua casa e le sue proprietà a Greccio (“una montagna che fu calpestata da San Francesco”) in nuda proprietà. La donna ha un precedente penale per estorsione di 53 anni fa, ha collaborato come analista per il DIS, ha un appoggio a Londra.
È stata lei a contattare (sotto falso nome) la giornalista Maria Giovanna Maglie, che aveva scritto un articolo in difesa di Perlasca, per esporle i rischi che correva il monsignore, a suo dire quasi vittima di un omicidio. In realtà, il cardinale Becciu aveva inviato un medico per accertarsi delle sue condizioni, che gli aveva somministrato del valium. La stessa Ciferri ha poi detto di aver esagerato.
Maglie mette in contatto Ciferri con Chaouqui, e Chaouqui, denuncia Ciferri, mostra di avere una conoscenza approfondita non solo delle indagini, ma anche della vita dei giudici, sottolinea sempre che si deve proteggere il promotore di Giustizia Diddi, la guida nell’aiutare Perlasca a testimoniare, addirittura organizza la famosa cena al ristorante “Scarpone” di Perlasca con il Cardinale Becciu, dove Perlasca sembra addirittura convinto ci sarà una registrazione da parte della Gendarmeria.
E ancora, Ciferri sottolinea che Chaouqui mostra di vantare vari contatti nella Gendarmeria Vaticana, si riferisce sempre ad un certo Gianluca (presumibilmente Gauzzi Broccoletti, attuale comandante della Gendarmeria Vaticana), parla molto bene di Stefano De Santis, che è poi il gendarme che ha condotto le indagini sulla vicenda del Palazzo di Londra.
Infine, Ciferri sottolinea di aver voluto parlare con il Cardinale Becciu proprio per cercare di aiutare monsignor Perlasca, e che, dopo un colloquio particolarmente acceso nel suo appartamento, sarebbe uscita dicendo: “Io sarò sempre una sua nemica schierata”, sottolineando che di lì ad una settimana il cardinale avrebbe potuto perdere il cardinalato. Alla domanda del presidente del Tribunale del perché avesse definito un lasso di tempo così preciso, considerando che poi il cardinale verrà privato delle sue prerogative cardinalizie da Papa Francesco proprio una settimana dopo, Ciferri si limita a dire che lei “sapeva che in una settimana Perlasca avrebbe ceduto e avrebbe inviato il memoriale”. Ciferri, infatti, lamentava che Perlasca fosse completamente succube del Cardinale Becciu e che avesse operato per permettergli di liberarsi da quella oppressione e di poter finalmente dire la verità, senza pagare in prima persona.
Chaouqui
Che Perlasca dovesse parlare è l’unico punto in cui Chaouqui e Ciferri concordano. Chaouqui, appena saputo delle perquisizioni in Segreteria di Stato – lo racconta lei – contatta Perlasca, cerca di spingerlo a parlare, a dire la verità, perché lei vuole che il Santo Padre sappia. Per Chaouqui, l’ingresso della Gendarmeria nel Palazzo Apostolico è finalmente la vittoria sulla Segreteria di Stato, perché il Papa aveva provato una prima volta con la COSEA (Commissione sulla Struttura Economico Amministrativa della Santa Sede) di cui era membro nel 2014, poi aveva provato con la Segreteria per l’Economia e infine era riuscito con la Gendarmeria.
Chaouqui lamenta che, da membro della COSEA, faticava ad avere i dati di cui necessitava dalla Segreteria di Stato, che addirittura Perlasca avesse mandato di non parlarle, e che la Segreteria di Stato facesse resistenza alle necessarie riforme economiche.
Proprio per questo, lei spinge Perlasca a parlare, anche con parole forti (“io non minaccio, io uso parole dure perché spesso sono l’unica donna e ho visto che ottengo di più così che usando per favore”) e con reazioni spropositate, negando però di aver mai avuto un tono intimidatorio, anche se i messaggi agli atti sembrerebbero dire il contrario.
Quando entra in contatto con Ciferri (“ore di telefonate”, dice) propone una strategia, e addirittura suggerisce delle aree tematiche su cui deve essere improntato non il memoriale, ma piuttosto una serie di podcast (ne vengono registrati 26) che secondo Chaoqui sono il modo migliore di affrontare i temi con il Papa.
(La storia continua sotto)
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Il suo obiettivo è ristabilire la verità, dice, e anche riabilitarsi. Si sente anche umiliata, dice, è abituata a pregare in Basilica di San Pietro e ora deve entrare come una comune fedele, facendo la fila.
Ed è per questo che i messaggi con Becciu sono inizialmente cordiali, lei vorrebbe riabilitazione, si trova con una condanna sospesa e ha difficoltà a lavorare, dice, ma sa che Becciu sta cercando esperti esterni e che lei potrebbe svolgere quel lavoro. Ma poi sospetta lo stesso cardinale di sabotaggio nei suoi confronti quando le arriva una lettera del Papa che è una grazia che lei non ha chiesto, e in un linguaggio che non è quello del Papa. Allora scrive direttamente a Papa Francesco, che le dice di non aver mai scritto quella lettera. Nel suo racconto, è il momento in cui ristabilisce il contatto con il Papa.
E più volte sottolinea che il suo interesse è quello di mostrare al Papa la verità, e che a lei non interesse nemmeno quello che pensa il tribunale.
E no, dice Chaouqui, non aveva rapporti con i gendarmi, e anche il messaggio messenger in cui lodava Stefano De Santis viene da lei disconosciuto con l’accusa che quello era “un account controllato da Cecilia Marogna”.
Resta il fatto che Ciferri non ha detto subito a Perlasca di aver collaborato con Chaouqui, perché – ha spiegato – “la sua fama la precedeva” e per questo Perlasca non avrebbe mai accettato questa collaborazione. Ogni suggerimento era descritto come un suggerimento di un “anziano magistrato”, e solo dopo il primo interrogatorio di Perlasca al processo ha rivelato al monsignore che il magistrato era niente meno che la Chaouqui.
Restano anche messaggi, molto duri, inviati a Perlasca, in cui Chaouqui diceva di sapere tutto di lui, di quando alzava il gomito e di avere prove e documenti. Incalzata dalle difese, ha sottolineato di essere in possesso dei documenti di Segreteria di Stato nell’archivio COSEA, e in particolare quelli che analizzavano la possibile candidatura di Perlasca per entrare nei ranghi della Segreteria per l’Economia, che appunto lo accusavano di alcuni vizi.
La dichiarazione di Becciu
Lo stesso cardinale Becciu, in una dichiarazione spontanea alla fine del processo, si dice sorpreso che Chaouqui potesse ancora avere documenti dell’archivio, considerando che i documenti, specie “quelli delicati” vanno lasciati negli uffici una volta lasciati. Becciu ha detto che nemmeno da sostituto aveva la libertà di accesso e di parola al Santo Padre rivendicati da Chaouqui, e che lui in realtà aveva perorato la sua domanda di riabilitazione davanti al Papa, sottolineando che la condanna sarebbe comunque terminata in pochi mesi, ricevendo dal Papa in risposta un secco no, con il rinnovo verbale del divieto per Chaouqui di entrare in territorio vaticano. Circostanza che Becciu ha ricordato al Papa nella lettera che ha fatto seguito al baciamano della scorsa estate.
Due le occasioni che possono giustificare l’astio di Chaouqui nei suoi confronti, dice Becciu: il fatto che lui si sia opposto alla sua nomina in COSEA, anche se questa è arrivata senza passare dalla Segreteria di Stato; e il fatto che abbia votato a favore dell’arresto e del processo nei suoi confronti in una commissione che si era creata sulla questione.
Le prossime tappe
Chaouqui dovrà tornare a testimoniare il 16 febbraio. Ci sarà una testimonianza del Cardinale Parolin, ma va calendarizzata. Poi, ci sono altri testimoni minori. Più il processo va avanti, più crescono le domande. E intanto, la Santa Sede è impegnata su più fronti, se si considera la riapertura del caso Orlandi – che Chaouqui connette alla sua richiesta di revisione della sua sentenza – ma anche il processo che la Segreteria di Stato dovrà affrontare a Londra su contestazioni di Raffaele Mincione.
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