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Cantalamessa propone la riflessione sulla Porta della fede e il dialogo interreligioso

La “Porta della fede”,  e il dialogo interreligioso. Di questo ha parlato questa mattina il cardinale Raniero Cantalamessa nella prima Predica di Avvento per il Papa e la Curia.

È fuori dubbio, che il mandato di Cristo di fare discepoli tutti i popoli, «conserva la sua perenne validità, ma va compreso nel suo contesto storico». Come riporta l' Osservatore Romano il Predicatore della Casa Pontificia ha preso spunto da san Francesco che «prospettava due modi di andare verso i Saraceni e gli altri infedeli», come scriveva nella Regola non bollata. Il primo era non fare liti, ma essere soggetti «ad ogni creatura umana per amore di Dio», confessando di essere cristiani. L’altro modo era che quando «vedranno che piace al Signore, annunzino la Parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo».

La domanda è : «Se la fede che salva è la fede in Cristo, che pensare di tutti quelli che non hanno alcuna possibilità di credere in lui?».  A parte il «diverso modo di intendere la Chiesa, tutti i cristiani condividevano l’assioma tradizionale: “Fuori della Chiesa non c’è salvezza”: Extra Ecclesiam nulla salus». Ora però, ha evidenziato, «non è più così». Da qualche tempo è in atto «un dialogo tra le religioni, basato sul reciproco rispetto e sul riconoscimento dei valori presenti in ognuna di esse».

Non si può credere che «Gesù è Dio, e limitare poi la sua rilevanza a un solo ristretto settore».

La salvezza arriva anche tramiti diversi canali, e il predicatore ha citato in proposito la Scrittura, la quale afferma che «chi non ha conosciuto Cristo, ma agisce in base alla propria coscienza (Rm 2, 14-15) e fa del bene al prossimo (Mt 25, 3 ss.) è accetto a Dio».

Uno di questi mezzi «straordinari di salvezza è la sofferenza». Dopo che Cristo «l’ha presa su di sé e l’ha redenta, è anch’essa, a modo suo, un universale sacramento di salvezza». Misteriosamente, «ogni sofferenza — non solo quella dei credenti —, compie, in qualche modo, “quello che manca alla passione di Cristo” (Col 1, 24)». Ed è per questo che «La Chiesa celebra la festa dei santi Innocenti, anche se neppure essi sapevano di soffrire per Cristo!». A tal proposito, il cardinale ha detto che «noi crediamo che tutti coloro che si salvano si salvano per i meriti di Cristo». Non è, quindi, «superfluo» continuare «a proclamare il Vangelo a ogni creatura». Tutt’altro! È il motivo che «deve cambiare, non il fatto». In questa prospettiva, si deve «continuare ad annunciare Cristo; non tanto però per un motivo negativo, perché altrimenti il mondo sarà condannato, quanto per un motivo positivo: per il dono infinito che Gesù rappresenta per ogni essere umano», ha concluso.

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