Città del Vaticano , 09 August, 2022 / 10:00 AM
Quando don Giacomo Alberione pensò Famiglia Cristiana, nel 1932, lo pensò come un settimanale di formazione più che informazione. Una voce cattolica, di apostolato, dove il giornalismo era combinato agli esperti, permeato di una visione cristiana delle cose. Era un giornale nato in epoca fascista, eppure con quello spirito di libertà che solo le riviste cattoliche possono avere.
Papa Francesco, incontrando lettori e membri della redazione del settimanale lo scorso 21 maggio, ha chiesto loro di continuare a coltivare relazioni, di non essere autoreferenziali, di avere uno sguardo sempre fisso su una realtà. Di fare, insomma, i giornalisti.
I 90 anni di Famiglia Cristiana sono l’occasione per guardare al panorama dell’informazione cattolica. È un panorama di cui fa parte anche ACI Stampa, e ha l’obiettivo di dare uno sguardo cattolico sulle cose, che sia l’informazione religiosa o l’informazione generale. Non sempre è semplice.
Il rischio è quello dell’omologazione, perché alla fine i linguaggi sono quelli dell’informazione e si sta sempre in un mercato, volenti o nolenti. Dare uno sguardo controcorrente è un esercizio complesso, perché deve superare l’idea di essere controcorrente per forza, ma allo stesso tempo deve comprendere che non deve seguire le mode del momento, le mode del pensiero.
Come il giornalismo cattolico ha superato questa aporia? Lo ha fatto con l’informazione, con l’approfondimento, con il linguaggio. Lo ha fatto, soprattutto, a partire dal Concilio Vaticano II, quando c’era un evento mondiale che necessitava di essere guardato anche con i occhi cristiani e osservato da prospettiva cattolica.
C’è ancora spazio per una informazione cattolica nel mondo? Molti pensano di no, ed è la prima risposta che viene data, di istinto. E, come prove, si descrivono la crisi dell’editoria, e in particolare dell’editoria cattolica, il crollo delle vendite, la mancanza di lettori.
Tutto vero? Probabile che sia una lettura esagerata, e ingiusta. È vero, riviste storiche come 30 Giorni hanno chiuso i battenti. Ma ci sono riviste come Il Regno che hanno rischiato di essere spazzate via dal panorama informativo per la crisi del loro editore e si sono riorganizzate, continuando le pubblicazioni e dimostrando che un pubblico, per un lavoro serio e di approfondimento, c’è sempre. Ed è stato lo stesso che ha fatto il settimanale Tempi, anche lì capace di mostrare punti di vista controcorrente.
C’è, poi, un’altra prova che aiuta a comprendere come l’informazione cattolica non solo non sia morta, ma abbia anche bisogno di essere sviluppata ulteriormente, senza curarsi delle leggi del mercato. Questa prova è data dalla storia.
Perché da sempre, i settimanali, i quotidiani, le agenzie cattoliche sono stati scuola di libertà, punti di riferimento nel mezzo dei periodi più bui della storia. La Civiltà Cattolica nacque in pieno Risorgimento, così come L’Osservatore Romano, che rimase l’unico giornale in lingua italiana, durante il fascismo, a poter pubblicare i dispacci non censurati dal regime, e dunque punto di riferimento per tutti.
E poi ci sono i media cattolici nati al di là della Cortina di Ferro, in tempi difficilissimi. Quest’anno, due di queste riviste hanno compiuto anniversari importanti e sono ancora lì, un’altra ha compiuto cinquanta anni ma è scomparsa da un po’. Ma tutte hanno avuto un ruolo fondamentale di paladini di libertà.
Le due riviste che hanno compiuto settanta e sessanta anni sono la slovena Družina (Famiglia) e la croata Glas Koncila (Voce del Concilio). La rivista che non c’è più è “Cronache della Chiesa Cattolica lituana”, che era una rivista clandestina, cui lavorava Sigitas Tamkevičius, creato Cardinale poi da Papa Francesco.
Infine, c’è una agenzia tedesca che ha compiuto 70 anni: è la KNA, l’agenzia della conferenza episcopale tedesca. Le loro storie vanno raccontate, perché comprendere cosa può davvero fare il giornalismo cattolico anche in questi tempi.
(1 – continua)
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