Città del Vaticano , 22 July, 2022 / 11:00 AM
Nessuna possibilità di appello per l’ex presidente dello IOR Angelo Caloia e per l’avvocato Gabriele Liuzzo, procuratore generale dello stesso istituto. La Corte di Appello dello Stato di Città del Vaticano ha infatti confermato la sentenza di colpevolezza per i reati di riciclaggio e appropriazione indebita aggravata che era giunta in primo grado il 21 gennaio 2021, dopo 23 udienze. La sentenza è stata comunque riformata, perché alcune ipotesi di appropriazione indebita si sono estinte per prescrizione.
Il processo di appello, in Vaticano, è prima di tutto un processo documentale, in cui si verifica se sono stati presi in considerazione tutti i documenti e se ci sono altre prove documentali trascurate in primo grado. Per questo, le udienze non sono pubbliche come quelle di primo grado, dove c’è anche la partecipazione dei giornalisti che possono così assistere agli interrogatorio.
La corte di appello è composta dai prelati Alejandro Arellano Cedillo (che è anche decano della Rota Romana) e Vito Angelo Todisco e dall’avvocato Massimo Massella Ducci Teri.
II processo era iniziato con accuse dei reati di peculato e autoriciclaggio commessi – si legge in un comunicato vaticano – “in relazione al processo di smobilizzazione dell’ingente patrimonio immobiliare” posseduto dall’Istituto per le Opere d Religione (IOR) e le sue società controllate, SGIR e la Palme.
L’accusa sosteneva che nella dismissione delle proprietà gli imputati “avevano disperso somme di denaro per un ammontare di oltre 57 milioni di euro delle quali si erano appropriati in misura pari a 16 milioni di euro”.
In primo grado, Caloia e Liuzzo erano stati condannati a pene tra 8 anni e 11 mesi di reclusione e a 12,5 milioni di multa. Lamberto Liuzzo era invece stato condannato alla confisca di 16,8 milioni di euro, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, a 8 mila euro di multa e 5 anni e 2 mesi di reclusione.
In appello, la pena complessiva di Caloia e Liuzzo è stata riquantificata in 8 anni e 6 mesi di reclusione e il pagamento di 12,5 milioni di multa.
Nell’esprimere la sentenza, la Corte di Appello la ha definita “irrevocabile”, e ha così concluso il procedimento iniziato nel 2014. L’Ufficio del Promotore è dunque chiamato ad eseguire la sentenza di condanna, con il compito di recuperare parte delle ingenti somme oggetto di confisca sequestrate all’estero.
Più in dettaglio, Caloia e Liuzzo avrebbero venduto, di intesa con Lelio Scaletti, deceduto direttore generale dello IOR, circa 29 immobili di proprietà dell’istituto e di una società controllata tra il 2002 al 2007. Gli immobili sarebbero stati venduti a prezzo inferiore al valore di mercato, e avrebbero permesso ai dirigenti IOR di appropriarsi di 59 milioni, riciclati poi in svizzera con l’aiuto di Lamberto Liuzzo, figlio dell’avvocato dello IOR. “I periti – si legge nel comunicato - hanno stimato nella misura di circa 34 milioni di euro la differenza tra quanto incassato dallo IOR e dalla SGIR ed il valore di mercato degli immobili”.
All’esito, il Tribunale ha ritenuto provato che in alcuni casi gli imputati si sono effettivamente appropriati di parte del denaro pagato dai compratori, o comunque di denaro dello IOR e della SGIR, per un importo complessivo di circa 19 milioni di euro.
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