Non è un bilancio che deve dare profitto, ma piuttosto deve mantenere e conservare il patrimonio ricevuto con gli “investimenti delle vedove”, come li chiama Papa Francesco. Eppure, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), che funge un po’ da “banca centrale vaticana” ma anche da fondo sovrano degli investimenti da quando si occupa di tutta la gestione patrimoniale vaticana, ci tiene a sottolineare nel bilancio che l’utile è di 45,9 milioni di euro, che alla fine è ottenuto grazie alla migliore gestione degli investimenti, e che, insomma, si sta cercando di mettere a profitto (vendendole o ristrutturandole) anche quelle proprietà immobiliari che, alla fine, per struttura, tipicità, locazione e contratti che non rendevano il giusto.
Da una parte, c’è un broker che è stato imputato in Vaticano (e condannato su alcuni capi di accusa) e che è deciso a difendere la sua reputazione. Dall’altra, la Santa Sede, che aveva dato a quello stesso broker in gestione delle quote immobiliari, e che poi ha deciso di darla ad un altro broker che però considera oggi in una combutta fraudolente per prendere dal Vaticano il massimo profitto possibile. Uno scenario a volte surreale, quello che ha portato l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, sul banco dei testimoni presso l’Alta Corte di Giustizia del Regno Unito.
Nella annual disclosure dell’Obolo di San Pietro presentata lo scorso 29 giugno, il dato che salta agli occhi è che l’Obolo di San Pietro ha contribuito per il 24 per cento alla missione apostolica del Santo Padre, ovvero per i lavori dei dicasteri. A fronte di 52 milioni di entrate, le uscite sono di 103,4 milioni, di cui addirittura 90 per la missione apostolica del Santo Padre, che include anche le spese di Curia, che ammontano a 370,4 milioni. Solo 13 milioni sono stati destinati in opere caritative, cui però si aggiungono le donazioni di Papa Francesco attraverso altri dicasteri della Santa Sede per un totale di 32 milioni, 8 milioni dei quali finanziati direttamente dall’Obolo.
Più utili netti (30,6 milioni), una donazione alla Santa Sede di poco più di 13 milioni di euro, 3,2 milioni di euro destinati a opere di beneficenza. L’Istituto delle Opere di Religione, la cosiddetta “banca vaticana”, continua la sua opera di assestamento, e presenta un rapporto annuale che vuole mostrare come l’Istituto sia all’avanguardia sul fronte della finanza cattolica e solido finanziariamente.
Si attendeva la luce verde del Comitato del Consiglio d’Europa MONEYVAL alle modifiche normative, che è arrivata il 28 maggio, perché l’Autorità antiriciclaggio vaticana definisse e delineasse il suo rapporto annuale. Che è uscito poi il 17 giugno, direttamente sul sito dell’Istituto, senza una comunicazione istituzionale, senza una conferenza stampa di presentazione – non se ne fanno più dal 2019 – come se le questioni finanziarie fossero diventate improvvisamente qualcosa non da tenere nascosto, ma di certo da non enfatizzare.
Il Consiglio di Sovrintendenza dello IOR cambierà presto composizione, allo scadere dei cinque anni dei suoi membri, ma di certo sarà di nuovo una composizione internazionale, rappresentativa anche dei luoghi dove la Chiesa ha una realtà finanziaria più sviluppata. Perché l’Istituto delle Opere di Religione, la cosiddetta “banca vaticana”, vuole portare avanti la sua missione al servizio della Chiesa, mantenendo il principio della “totale trasparenza finanziaria” che ha caratterizzato gli ultimi anni.
La Santa Sede ha ritoccato qualche punto della legge anti-riciclaggio, venendo incontro ad alcune delle raccomandazioni richieste dal comitato del Consiglio di Europa MONEYVAL, sotto la cui valutazione la Santa Sede si è sottoposta dall’inizio del percorso della legge antiriciclaggio. La notizia arriva in un comunicato del Consiglio d’Europa, diramata nella mattinata del 28 maggio.
Nessun risarcimento per l’ex revisore generale della Santa Sede Libero Milone e la famiglia del suo vice Ferruccio Panicco, deceduto nel corso del processo. Anzi, lo stesso Milone e la famiglia di Panicco sono stati condannati a pagare 110 mila euro come risarcimento alla Segreteria di Stato e all’ufficio del Revisore Generale.
Cosa succede se un dipendente della Santa Sede vede un illecito in materia finanziaria e vuole segnalarlo in maniera sicura e autonoma? Fino ad oggi, non c’era un procedura specifica per questo tipo di segnalazione, che va sotto il termine inglese di whistleblowing. L’ufficio del Revisore Generale vaticano ha però istituito ora una pratica, secondo le richieste della Convenzione di Merida, pubblicando una procedura specifica per tutte le possibili segnalazioni. La procedura entra in vigore dall’1 febbraio.
Dopo la stretta, l’aggiustamento. Dopo quattro anni, Papa Francesco modifica con due motu proprio la legge sugli appalti vaticana, dando in qualche modo maggiore autonomia agli enti e cercando di liberare dalle strette delle approvazioni e contro approvazioni burocratiche che rendevano difficile anche l’ordinaria amministrazione. Ancora una volta, dunque, il Papa riaggiusta una legge sul controllo finanziario, come già era successo quando dovette ridefinire le prerogative della Segreteria per l’Economia ridando alcune competenze all’APSA. Il Papa include anche l’impossibilità di operare per società o persone che hanno indagini, condanne anche non definitiva, ipotesi di riciclaggio. Sono dettagli tecnici, aggiunte di questioni che potevano essere già previste, e che puntano ad armonizzare la legge, più che a modificarla del tutto.
L’11 settembre 1887 viene costituita la commissione cardinalizia Ad Pias Causas. È una commissione segreta, che si riunisce in un ufficio chiamato “il buco nero” perché era il luogo dove c’era una volta la censura dello Stato pontificio e per una amabile ironia della sorta lavorava, come impiegato, quel Gioacchino Belli che ci ha deliziato con una serie di sonetti irriverenti. Ed è una commissione figlia della Questione Romana, perché serve ad amministrare quei beni, lasciti, opere pie che arrivano alla Santa Sede e che la Santa Sede cerca di nascondere alla scura della confisca dello Stato italiano.
Si completa con la nomina del presidente dell’APSA la Commissione delle Materie Riservate. Don Giordano Piccinotti, salesiano, nominato lo scorso 2 ottobre presidente della Amministrazione per il Patrimonio della Sede Apostolica (la cosiddetta “banca centrale” del Vaticano) prende il posto che già era del vescovo Nunzio Galantino quando era presidente dell’APSA. Papa Francesco aveva già sostituito con il nuovo prefetto della Segreteria per l’Economia Maximino Caballero Ledo il membro originario, padre Juan Guerrero Alves.
Suor Silvana Piro è il nuovo sottosegretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Prende il posto di don Giordano Piccinotti, che Papa Francesco ha nominato lo scorso 2 ottobre presidente del’APSA.
È il salesiano don Giordano Piccinotti il nuovo presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, la “banca centrale” vaticana. Succede al vescovo Nunzio Galantino, che ha terminato lo scorso agosto il quinquennio come presidente e che era stato da Papa Francesco in udienza la scorsa settimana. Piccinotti era numero 3 del dicastero dal gennaio 2012. È il primo presidente APSA non vescovo o cardinale.
Era nata come “La Speciale”, e serviva a gestire il patrimonio che si era creato con le compensazioni che la Santa Sede aveva avuto con la Conciliazione. Nel 1967, Paolo VI la aveva riorganizzata, dandole il nome di Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, APSA. Oggi, con le riforme economiche vaticane, ha assunto un po’ il ruolo della “banca centrale”, un po’ quello del fondo sovrano di investimenti, dove sono confluiti anche tutti i contributi di amministrazione della Segreteria di Stato. È l’evoluzione dell’APSA, che lo scorso 10 agosto ha presentato per il terzo anno consecutivo il suo bilancio, mettendo a nudo costi di gestione (aumentati di 3 milioni), utili (diminuiti), numero di immobili e una serie di dati e programmi per i prossimi tre anni.
Ora spetterà al presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone tirare fuori il bandolo della matassa del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Dopo cinque giorni di requisitoria dai toni durissimi, che a volte hanno persino rasentato l’offesa personale nei confronti personali, con giudizi taglienti e netti, il promotore di Giustizia Alessandro Diddi ha fatto le sue richieste di condanna. Ha detto che si è tenuto sempre nel limite più basso di quello consentito dalla legge, tranne che in un caso: quello che riguarda il Cardinale Angelo Becciu. Perché Becciu, alla fine – è il ragionamento di Diddi – non ha mai mostrato segni di rincrescimento, anzi è voluto andare persino allo scontro frontale con la magistratura, negando ogni accusa, e “legandosi il cappio al collo da solo”. E così, per il Cardinale Becciu vengono chiesti 7 anni e 3 mesi di reclusione, l’interdizione dei pubblici uffici, e gli viene anche comminata una multa di 10329 euro, mentre il presunto procurato danno alla Segreteria di Stato gli porta una richiesta di confisca di 14 milioni.
Ci sono due riflessioni che nascono dalla annual disclosure, ovvero il bilancio annuale dell’Obolo di San Pietro presentato il 30 giugno scorso. La prima: dopo che il bilancio dello IOR ha mostrato un dimezzamento dei fondi liquidi a disposizione, ci si trova di fronte all’organismo della carità del Papa che raddoppia gli introiti, ma vendendo parte delle proprietà immobiliari, e dunque diminuendo anche il patrimonio immobile. La seconda: lo scorso anno, si leggeva che l’Obolo aveva contribuito per 55 milioni ai 237,7 milioni di spese dei dicasteri vaticani del 2021, quelli che rientravano nel cosiddetto “bilancio di missione”; nel 2022, l’Obolo ha contribuito al 20 per cento delle spese dei dicasteri, inviando 77,6 milioni di euro. Questo significa che le spese dei dicasteri sono di 383,9 milioni, quasi 150 milioni in più dello scorso anno.
C’è un dato, tecnico, che può essere interessante per leggere il bilancio dell’Istituto per le Opere di Religione 2022, pubblicato oggi. Si chiama TIER 1, cioè la componente primaria del capitale di una banca. Guardando il rapporto IOR del 2019, ai tempi in cui la Segreteria di Stato chiese e si vide rifiutato una anticipazione per l’acquisto del famoso palazzo di Londra, il TIER 1 era dell’82,40 per cento. Nel rapporto 2022, invece, il TIER è del 46,14 per cento, sicuramente in aumento rispetto al 38 per cento del 2021, ma indicativo comunque di un dimezzamento del capitale.
Non ci sono sostanziali novità, nel rapporto annuale dell’Autorità di Sorveglianza e di Informazione Finanziaria pubblicato oggi. Nel rapporto viene delineato un sensibile aumento delle segnalazioni di transazioni sospette, vengono raccontate le attività di formazione, e viene data una certa enfasi al lavoro nelle organizzazioni internazionali, e cioè in MONEYVAL e in Egmont, che in realtà sembra tradire la necessità di mostrare che i rapporti ci sono e buoni.
Monsignor Alberto Perlasca, per 12 anni capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato, ha rigettato la definizione di super-testimone, sebbene sulle sue dichiarazioni si fossero basate molte delle ricostruzioni o delle teorie dei magistrati vaticani. Ma, dopo queste ultime udienze, la sua credibilità come testimone viene messa a dura prova. Così come restano dubbi su Gianfranco Mammì, direttore generale dell’Istituto delle Opere di Religione, che fu colui che diede il via alla procedura che ha portato al processo con una denuncia.