Reggio Emilia, 30 May, 2022 / 6:00 PM
Sotto chili e chili di massiccio intonaco da muro steso nel secolo XVII e una pesante ridipintura ottocentesca color bronzo si celava un’esile Cristo morente ligneo, databile al sec. XV.
La scoperta è stata resa possibile dal restauro che la venerabile Confraternita dell’Immacolata Concezione e San Francesco d’Assisi, che ha sede nell’artistica e antica chiesa di San Giovannino, ha affidato a Roberta Notari.
L’intervento, assai impegnativo e delicato, è stato condotto dalla restauratrice con grande perizia sotto la direzione della competente Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio.
L’opera venne donata nel 1896 alla Confraternita dal priore Lodovico Cherubini (1845-1917), come si evince da una targhetta metallica apposta sulla croce.
L'opera è stata presentata nella chiesa di San Giovannino, occasione preziosa per ammirare l’efficace Compianto sul Cristo Morto, in terracotta, nonché gli splendidi dipinti e affreschi del secolo XVII, di cui pure è in previsione il restauro.
Sotto il pesante intonaco il restauro ha resituito uno splendido Cristo di particolare espressività. Inoltre è stato possibile individuare tracce dell’originaria policromia. Sono stati proprio i tasselli di pulitura a far intuire la presenza e quindi scoprire l’antico Cristo. Il paziente lavoro di bisturi e di scalpello, opportunamente documentato, ha permesso ai presenti di rivivere passo passo questo splendido percorso di recupero di una straordinaria opera d’arte.
Le immagini hanno ulteriormente dimostrato la estrema difficoltà del restauro, ma anche la piena soddisfazione per il recupero di un gioiello che viene ulteriormente ad impreziosire quel magnifico e purtroppo poco conosciuto gioiello d’arte che è la chiesa di San Giovannino.
La chiesa ha una origine antica e nobile. Il documento più antico che ne ne parla è un privilegio di Papa Lucio II del 2 aprile 1144.
Nel 1502 la chiesa risultava da tempo distrutta fu ricostruita da Girolamo Casotti, figlio di Antonio. I lavori durarono fino al 1563 circa nella condizioni attuali e nel '600 vennero realizzati gli affreschi che ancora oggi splendono.
Come molte altre chiese nel periodo napoleonico fu confiscata e venduta ad un tale Luigi Trivelli che alla fine la usò come deposito di rifiuti.
Fu il conte Ferrante Palazzi Trivelli a fine '800 a consegnarla "a tempo indeterminato e con patto di irrevocabilità” alla Confraternita dell’Immacolata o di S. Francesco, che la gestisce tuttora. La Confraternita aveva da poco perso il suo oratorio e nel 1896 con una solenne processione trasportò le statue del Sepolcro del Mazzoni e l’immagine “taumaturgica” del Volto Santo in S. Giovannino. Qui sviluppò il culto a S. Antonio da Padova e in suo nome venne istituita“l’Opera del pane per i poveri”.
Subito prima della II guerra mondiale la Confraternita, riuscì a restaurare tutte le pitture dell’interno, ad opera di Anselmo Govi, ed introdusse nella chiesa anche il Culto della Madonna di Pompei.
Gli affreschi sono tutti degli inizi del Seicento. Nel catino al di sopra del coro Paolo Guidotti, lucchese, dipinse una Resurrezione. L’affresco della cupola è stato eseguito da Sisto Badalocchio, parmense, nel 1613.
Nel presbiterio sono esposti due quadroni del Tiarini che raffigurano il martirio di S. Giovanni, da cui il Santo sopravvisse, e la morte del Santo.
Significative anche le 7 statue in terracotta dipinta a dimensioni naturali eseguite dal Mazzoni nella seconda metà del Quattrocento. Esse costituivano un “Sepolcro” cioè un compianto su Cristo morto che nella settimana santa veniva esposto ed addobbato con grande varietà e ricchezza. "Il loro culto era grande- spiegan Zeno Davoli-tanto che la Confraternita aveva costruito appositamente un piccola cappella accanto al proprio oratorio per custodirle".
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