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Un servizio di EWTN News

Processo Palazzo di Londra, cosa è il Fondo Obolo in Segreteria di Stato

Un momento del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato vaticana

Due punti di interesse, nella prima parte di interrogatorio a Fabrizio Tirabassi, già officiale della Sezione Amministrativa della Segreteria di Stato vaticana. In un botta e risposta meno teso di quello che si è visto finora nel processo, Tirabassi ha spiegato il perché l’investimento in Angola, proposto dall’allora sostituto Angelo Becciu, non fosse andato in porto, cosa che ha portato poi all’investimento sul palazzo di Londra. E poi ha spiegato qualcosa dell’architettura finanziaria della Segreteria di Stato vaticana, e del modo in cui questa si è delineata nel corso degli ultimi anni.

Il processo, giunto alla 18esima udienza, è centrato intorno all’investimento della Segreteria di Stato vaticana su un immobile di lusso a Londra, ma si è allargato fino ad includere una serie di reati diversi, includendo anche il Cardinale Angelo Becciu, indagato anche per un presunto peculato a favore di una società gestita dalla Caritas della sua diocesi e per i rapporti con la esperta di intelligence Cecilia Marogna. L’udienza di oggi ha, di fatto, confermato la versione del Cardinale.

Ma andiamo con ordine. Interessante la questione della gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Tirabassi, che è stato assunto nel 1987 e si occupa della questione finanziaria dagli anni Novanta, ha sottolineato che la Segreteria di Stato aveva un bilancio a parte, separato da quello dei dicasteri, e che solo negli ultimi tempi era stato discusso e confrontato con la Segreteria per l’Economia, mentre prima la Prefettura degli Affari Economici aveva soprattutto una funzione di controllo sui bilanci.

Tirabassi ha detto che, quando è entrato in Segreteria di Stato, c’era un Fondo Obolo con ufficio dedicato alla raccolta delle offerte nella Segreteria di Stato vaticana, e che le donazioni erano gestite aprendo conti dedicati in varie banche e istituti corrispondenti (IOR, APSA; Credito Artigiano, Poste Italiana e altre), tanto che solo nell’Isituto per le Opere di Religione erano in essere circa “70-80 conti”.

A metà anni Novanta, questa architettura viene “smaterializzata”, per una gestione più snella. Resta un fondo Obolo, in cui convergono alla fine tutte le risorse.

“La Santa Sede – ha detto Tirabassi – era in difficoltà, l’indebitamento costava molto alla Segreteria di Stato. Quindi fu suggerita una nuova gestione della contabilità, smaterializzando i conti in essere e valorizzando la liquidità ottenuta dal patrimonio attivo”.

Comincia anche una nuova politica di investimenti, sempre più finalizzata al patrimonio immobiliare, e in particolare all’acquisizione di edifici per ospitare le nunziature, che sono uno dei costi più grandi. (Nota a margine: gli investimenti immobiliari saranno poi preponderanti con l’arrivo di monsignor Alberto Perlasca alla guida dell’amministrazione della Segreteria di Stao nel 2009).

Il Fondo Obolo è l’ultima risorsa per compensare il deficit, mentre la penultima è il contributo dell’Istituto delle Opere di Religione, che fino al 2012 / 2013 (ultimo anno con un attivo alto, superiore agli 80 milioni) contribuiva con 50 milioni di euro, importo drammaticamente sceso negli ultimi anni e ora assestatosi sui 30 milioni.

Si confermano, dunque, le parole del Cardinale Becciu sulla destinazione dell’Obolo anche per la Santa Sede. Così come si conferma la testimonianza del Cardinale Becciu sulle circostanze che hanno portato ad abbandonare l’investimento presso una piattaforma petrolifera in Angola.

La proposta fu avanzata da Antonio Mosquito, un imprenditore angolano conosciuto da Becciu quando questi era nel Paese africano come nunzio, e prevedeva la partecipazione della Segreteria di Stato ad un 5 per cento dei diritti di estrazione di un pozzo petrolifero in Angola.

La proposta fu discussa da monsignor Alberto Perlasca, capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato, e fu poi portata fino al tavolo dell’allora Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone, che chiese di valutare a fondo l’iniziativa. Si chiese dunque ad Enrico Crasso, il consulente finanziario storico della Segreteria di Stato. Questi si rivolse a Credit Suisse Londra, che presentò Raffaele Mincione come possibile gestore dell’investimento, perché conosciuto con una esperienza anche nel ramo petrolifero.

Mincione fece una “due diligence” (verifica) sull’investimento di circa un anno e mezzo. Inizialmente, la cosa sembrava positiva (ENI era il gestore del pozzo, e poi c’erano partecipazioni della compagnia angolana Somagol e di Total) e dunque Mincione suggerì di cominciare a costruire un fondo, l’Athena Commodities Fund, per gestire l’investimento.

Poi, però, ci si rende conto che il fondo non presenta le necessarie garanzie, mentre la Banca UBS ritira la propria partecipazione per preoccupazioni di tipo geopolitico. Tirabassi nota che era anche il periodo in cui Papa Francesco lavorava all’enciclica Laudato Si, e che dunque l’investimento della Segreteria di Stato in una compagnia di estrazione petrolifera rischiava di creare un danno reputazionale.

Ad ogni modo, “monsignor Perlasca era determinato ad andare avanti”, ha detto Tirabassi. Tutto cade perché “l’imprenditore angolano non era disponibile a fornire garanzie collaterali sul capitale investito, e venne deciso dalla natura dell’investimento di abbandonarlo. Se avesse fornito delle garanzie, suppongo, sufficienti a poter adeguatamente investire capitali in quella risorsa, probabilmente l’investimento sarebbe stato portato all’attenzione del Papa”.

L’Athena Fund sarà poi usato per acquisire le quote dell’immobile di Londra oggetto del processo. Ma questa è una storia che sarà approfondita nelle prossime udienza.

Il 30 maggio, sarà sentito il broker Enrico Crasso, e poi si andrà avanti in un calendario serrato fino a metà luglio, quando si chiuderà per la pausa estiva.

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