Città del Vaticano , 07 May, 2022 / 4:00 PM
In attesa di definire i contorni del viaggio a Kyiv dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, Papa Francesco è tornato a parlare di Ucraina. Lo ha fatto anche in una intervista, i cui toni hanno suscitato la reazione sia del Patriarcato di Mosca che del nunzio apostolico in Ucraina.
Intanto, una risoluzione del Parlamento Europeo che dovrebbe difendere la libertà religiosa, in realtà crea una ulteriore sacca di discriminazione per i leader religiosi.
FOCUS UCRAINA
Papa Francesco – Kirill, le reazioni di Mosca
Non sono passate inosservate le parole che Papa Francesco ha dedicato alla sua videoconferenza con il Patriarca di Mosca Kirill nell’intervista concessa al Corriere della Sera il 3 maggio. Il Papa aveva detto che, dopo aver ascoltato per venti minuti il patriarca spiegare le ragioni della guerra, lo avrebbe interrotto per sottolineare che “non siamo chierici di Stato”, e che non si deve essere “il chierichetto di Putin”.
Parole che ovviamente hanno suscitato la reazione piccata dal Patriarcato di Mosca, che ha pubblicato una nota molto dura sul sito ufficiale del Patriarcato.
Nella nota, si definisce “deplorevole” che il Papa “abbia scelto il tono sbagliato per trasmettere il contenuto del colloquio”, toni che improbabilmente “contribuiscono all’instaurazione di un dialogo costruttivo tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa Russa, che è particolarmente necessario in questo momento”.
Il Dipartimento di Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca ha dunque per la prima volta reso noto le parole del Patriarca Kirill il 16 marzo.
Il Patriarca aveva detto: “Grazie per l'opportunità di organizzare questo incontro. Quando ci siamo incontrati a Cuba nel 2016, ti ho detto che ci stiamo incontrando al momento giusto e nel posto giusto. E sebbene ora la nostra comunicazione avvenga utilizzando mezzi di comunicazione a distanza, sono convinto che stiamo comunicando di nuovo al momento giusto. Con il vostro permesso, vorrei condividere con voi la mia visione della difficile situazione attuale. Certo, viviamo in diversi campi dell'informazione: i media occidentali non hanno parlato o praticamente non hanno parlato di alcuni fatti sui quali vorrei attirare la vostra attenzione”.
Inoltre, si legge ancora nella nota, il patriarca Kirill ha osservato che il conflitto è iniziato nel 2014 con gli eventi del Maidan a Kiev, che hanno portato a un cambio di potere ucraino. Kirill ha ricordato anche che ad Odessa “si è svolta una manifestazione pacifica di residenti di lingua russa, che ha difeso il loro diritto di usare la loro lingua e cultura madre. Questo incontro pacifico è stato attaccato dai rappresentanti dei gruppi nazisti: hanno cominciato a picchiare i manifestanti con i bastoni. La gente iniziò a cercare rifugio nel vicino edificio della Casa dei Sindacati. E in quel momento accadde qualcosa di terrificante: questo edificio fu chiuso a chiave e poi dato alle fiamme. Le persone hanno cercato di scappare saltando dal secondo o terzo piano e, ovviamente, si sono schiantate. Coloro che si avvicinavano alle finestre, non osando saltare fuori, venivano colpiti dal basso. Abbiamo seguito tutto questo in televisione quasi in diretta”.
Il Patriarca Kirill ha poi ricordato al Papa che “alla fine dell'era sovietica, la Russia ha ricevuto l'assicurazione che la NATO non si sarebbe spostata di un centimetro verso est. Tuttavia, questa promessa è stata infranta, anche le ex repubbliche baltiche sovietiche hanno aderito alla NATO. Di conseguenza, si è sviluppata una situazione molto pericolosa: i confini della NATO si trovano a 130 chilometri da San Pietroburgo, il tempo di volo dei missili è di pochi minuti. Se l'Ucraina fosse ammessa alla NATO, anche il tempo di volo per Mosca sarebbe di diversi minuti. La Russia non può permettere che ciò avvenga”.
Infine, il Patriarca aveva detto che “questa situazione è associata a un grande dolore per me. Il mio gregge è su entrambi i lati del confronto, sono per lo più persone ortodosse. Parte dell'opposizione riguarda il tuo gregge. Pertanto, vorrei, astraendo dalla componente geopolitica, sollevare la questione di come noi e come le nostre Chiese possono influenzare lo stato delle cose? Come possiamo contribuire alla pacificazione della guerra con un obiettivo comune: raggiungere il rafforzamento della pace e della giustizia? È molto importante nelle circostanze attuali evitare un'ulteriore escalation".
Il Patriarcato di Mosca ha voluto, dunque, mostrare che c’era stata una sollecitudine extra politica, pur in un dialogo votato alla comprensione delle decisioni russe.
Il nunzio in Ucraina Kulbokas spiega le parole del Papa
Il 26 aprile, il portale cattolico lituano Bernardinai ha pubblicato una intervista al nunzio apostolico in Ucraina Visvaldas Kulbokas.
Nell’intervista, l’arcivescovo Kulbokas ammette di non aver mai immaginato che sarebbe stato un nunzio in Paese di guerra. L’ambasciatore del Papa è rimasto a Kiev insieme al rappresentante polacco mentre il resto del corpo diplomatico si era trasferito a Leopoli, rimanendo in una città sotto assedio per due mesi.
Oggi, Kiev sembra più libera, ma “la città non è ancora del tutto tranquilla, perché nessuno sa come andranno le cose. Stiamo leggendo rapporti secondo cui nel centro stesso della città, dove si trovano la sede del governo, la presidenza e il Parlamento, ci siano mine e aree non sicure".
L’articolo sottolinea che l’arcivescovo Kulbokas, insieme ad un membro del clero ortodosso russo, delegato del Patriarca Kirill, con il consenso del Vaticano, provarono a portare aiuti umanitari a Mariupol ma furono fermati dall'Esercito russo.
Il nunzio ha poi spiegato la posizione del Papa, giudicata ambigua perché non fa mai menzione della Russia. “Certo – ha detto l’arcivescovo Kulbokas - resta un certo dilemma. Forse un altro Papa si sarebbe comportato diversamente. Ogni Papa ha il diritto di scegliere come parlare su queste cose. Ma il Santo Padre ha fatto una scelta molto chiara, e questa vale in tutti i casi. (...) Tempo fa ho ricevuto la domanda opposta: e perché il Santo Padre non condanna il Presidente degli Stati Uniti che sostiene l'aborto? Poi ho dovuto spiegare molto (anche agli ucraini) che il Santo Padre condanna il peccato e sull'individuo [NdR. Il peccatore] ne parla in conversazioni personali, ma non in pubblico. E ciò perché quando si parla su queste materie in pubblico, l'aspetto morale inizia ad assumere un aspetto politico. Altri politici potrebbero usarlo come argomento politico mettendo il Papa a favore o contro le persone”.
Il nunzio ha spiegato che se il Papa nominasse persone politiche, potrebbe essere strumentalizzata. Invece, su una possibile visita del Papa a Kiev, il nunzio ha detto che “forse la situazione cambierebbe se Francesco venisse in Ucraina. Questa dimensione, questo spazio emotivo, drammatica di una sua visita sarebbe importante. Questo è uno degli aspetti per i quali personalmente vorrei che il Santo Padre venisse in Ucraina anche se non sarebbe facile organizzare tale evento”.
L’arcivescovo ha poi auspicato una comunicazione della Santa Sede “meno debole e migliorata”, e ha messo in luce che “anche se il Papa non ha mai nominato l'aggressore quando condanna la guerra, l'invasione, le pretese espansionistiche, ecc. in realtà parla sui responsabili e sugli autori di tutto ciò: vale dire Putin e la sua Russia”.
Cardinale Parolin: sì, il Papa è pronto a volare a Mosca
A margine delle presentazione del libro di Cesare Catananti “La scomunica ai comunisti” il 4 maggio, il Cardinale Piero Parolin, segretario di Stato vaticano, ha ribadito che il Papa è pronto a volare a Mosca, nell’ambito delle iniziative della Santa See che ha fatto “tutto il possibile per fermare la guerra” in Ucraina.
“Io penso - ha detto il porporato - che a questo punto non ci siano altri passi da fare, si è offerta la disponibilità da parte del Santo Padre di andare a Mosca, di incontrare personalmente il presidente Putin. Aspettiamo che siano loro che cosa vogliono, che cosa intendono fare. Più di così non credo che da parte del Santo Padre ci siano ulteriori passi da fare”.
(La storia continua sotto)
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Il 9 maggio la fine della guerra in Ucraina?
Il primo ministro ungherese Viktor Orban avrebbe detto che i russi hanno un piano per porre fine alla guerra entro lunedì 9 maggio. Lo ha rivelato lo stesso Papa Francesco nell’intervista al Corriere della Sera del 3 maggio. Parole che non sono passate inosservate, tanto che Lyubov Nepop, ambasciatore di Ucraina in Ungheria, ha chiesto un'udienza con il Ministro degli esteri ungherese Péter Szijjártó per avere chiarimenti.
FOCUS EUROPA
Parlamento Europeo, una risoluzione antidiscriminazione che discrimina le fedi
Il 3 maggio, è stata votata al Parlamento Europeo una risoluzione sulla persecuzione delle minoranze sulla base del credo e della religione.
Al punto 22, si legge che il Parlamento “esprime profonda preoccupazione riguardo il cattivo uso e la strumentalizzazione del credo e della religione di imporre politiche discriminatorie, leggi o restrizioni che contraddicono o minano i diritti delle persone LGBTIQ, e restringano l’accesso a servizi base, come l’educazione e la salute, inclusi i diritti sessuali riproduttivi, la criminalizzazione dell’aborto in tutti i casi, la criminalizzazione dell’aborto”.
In pratica, nessuna persona di fede può usare un discorso religioso per contraddire la nuova religione dei diritti umani, che includono anche l’aborto e i diritti LGBT.
Alla vigilia del voto, padre Manuel Barrios Prieto, segrettario generale della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea, ha diffuso una nota molto dura.
“Il diritto alla libertà d pensiero, coscienza e religioso, così come l’inerente diritto alla vitta, sono diritti umani fondamentali per la legge internazionale. Vanno oltre il consenso politico, dato che la loro fonte diretta è l’inalienabile dignità di ogni essere umano”.
Per il segretario generale della COMECE, “è responsabilità e dovere delle autorità politiche, incluso il parlamento Europeo, di proteggere, difendere e promuovere” questi diritti “in tutto il mondo, così come tutti gli altri diritti umani internazionalmente riconosciuti e delineati nella Carta Internazionale dei Diritti Umani”.
Pertanto, “qualunque tentativo di minare il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione, e il diritto alla vita, attraverso interpretazioni abusive che restringono il loro scopo legittimo e le rendono soggetti a cosiddetti diritti umani creati da poco e non consensuali, è una seria violazione della legge internazionale che discredita l’Unione Europea di fronte alla comunità internazionale e davanti a milioni di cittadini europei”.
Alla fine, ha detto Barrios Prieto, “trattare questi diritti come diritti di seconda classe” contraddice diverse carte internazionale, mentre la mozione “non può essere di aiuto per milioni di credenti religiosi che sono vittime di persecuzione a causa della fede, in particolare le donne vulnerabili, dato che la loro situazione sarà oscurata e resa invisibile dalla prioritizzazione di interessi politici”.
La Svizzera ha una ambasciata residente presso la Santa Sede
La visita del presidente Cassis in Vaticano per il giuramento della Guardia Svizzera Pontificia è coincisa con l’inaugurazione dell’ambasciata svizzera presso la Santa Sede, la cui sede sarà ristrutturata e dovrebbe essere operativa in pochi mesi. Attualmente, l’ambasciatore svizzero presso la Santa Sede risiede a Lubiana ed è anche accreditato presso il Vaticano. Denis Knobel, l’attuale ambasciatore presso Slovenia e Santa Sede, terrà il suo incarico “vaticano”, mentre il governo nominerà un nuovo ambasciatore per la Slovenia.
Cassis ha detto che l’apertura dell’ambasciata è anche frutto della sollecitazione dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, che, nell’incontro in occasione del centenario delle relazioni diplomatiche del 1920 gli aveva detto che era ora di elevare le relazioni diplomatiche.
Svizzera e Santa Sede hanno cominciato un lavoro di cooperazione nel 1917, al termine della Prima Guerra Mondiale. Fu Benedetto XV che individuò nel governo svizzero un partner ideale per poter aiutare le vittime di guerra. Più di 67 mila feriti furono curati in territorio elvetico.
Questa cooperazione nacque dall’idea dell’arcivescovo di Parigi, il Cardinale Leon-Adolphe Amette, che aveva suggerito a Benedetto XV di rivolgersi a Olanda e Svizzera per avere un luogo neutrale dove curare i feriti. Benedetto XV – rivela lo storico Lorenzo Planzi – si concentrò prima di tutto sulla Svizzera, lì dove erano state firmate le Convenzioni di Ginevra del 1864.
Svizzera e Santa Sede misero così in atto una cooperazione umanitaria, aprendo ospedali e centri di accoglienza a Leysin a Davos, sul Lago dei Quattro Cantoni.
I due Paesi avevano avuto momenti difficili durante il kulturkampf, la campagna liberale promossa dall’imperatore prussiano Bismarck per separare Chiesa e Stato. Alla denuncia dei modi violenti degli svizzeri contro il clero cattolico di Pio IX nel 1873 fece seguito la decisione nel Governo Federale di rompere i rapporti tra Santa Sede e Svizzera, chiudendo la nunziatura di Lucerna.
Solo nel 1920, un nunzio apostolico torna in Svizzera, con sede questa volta a Berna, e questo proprio grazie alla cooperazione tra Santa Sede e Svizzera durante la Prima Guerra Mondiale.
FOCUS VIAGGI PAPALI
Un invito per il Papa in Gabon?
Lo scorso 26 aprile, il presidente del Gabon Ali Bongo è stato in visita da Papa Francesco come parte del suo viaggio di tre giorni in Europa. La visita serviva anche a ristabilire i rapporti con la Santa Sede, dopo che si erano incrinati a causa delle reazioni governative forti per rafforzare le restrizioni del lockdown, arrivate persino a fare irruzione nelle Chiese.
Due i temi diplomaticamente interessanti della visita. La prima è che il presidente Ali Bongo ha chiesto di stabilire una nunziatura apostolica a Libreville. Al momento, la nunziatura in Gabon è legata alla nunziatura del Congo, e la sede della nunziatura è a Brazzaville. La richiesta del presidente è quella di avere una nunziatura anche nella capitale, non necessariamente guidata da un nunzio, ma comunque presenza visibile del legame con la Santa Sede.
L’altra questione di interesse è l’invito a Papa Francesco per visitare il Paese. Si parla già di un possibile viaggio del Papa a Brazzaville nel 2023, dunque l’auspicio è che il Papa possa passare anche da Libreville.
FOCUS SEGRETERIA DI STATO
Il Cardinale Parolin al Cottolengo
Lo scorso 1 maggio, il Cardinale Pietro Parolin è stato alla Piccola Casa della Divina Provvidenza, meglio conosciuta come “Il Cottolengo”, a Torino, dove ha visitato 15 profughi ucraini con disabilità.
Nel suo intervento, il Cardinale ha sottolineato come “anche la nostra dottrina riconosce il diritto alla difesa armata di un Paese che viene aggredito, ma solo se insieme si fa di tutto per costruire la pace con un’attività diplomatica”, e ha aggiunto che “la storia insegna che la pace che si raggiunge con le armi non è stabile quanto quella ottenuta con la diplomazia”.
Parlando dell’assistenza fornita ai bisognosi, il Cardinale ha sottolineato che “per noi cattolici, curare chi ha bisogno è un imperativo: le Rsa sono spesso demonizzate, ma non bisogna generalizzare. Quando le cure domiciliari non sono possibili, ci vogliono posti come questo”.
Il Cardinale Parolin a La Stampa
Il 30 aprile, il quotidiano La Stampa ha pubblicato una lunga intervista al Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Il tema, ovviamente, era la guerra in Ucraina.
Nell’intervista, il Segretario di Stato vaticano ha notato che “la disponibilità alla risoluzione pacifica dei conflitti è spesso inversamente proporzionale alla forza militare di cui si dispone”.
Per quanto riguarda il ruolo delle religioni, il Cardinale ha sottolineato come “le posizioni pubbliche assunte dal Consiglio Ucraino delle Chiese e delle Organizzazioni Religiose dimostrano la totale sintonia tra i leader religiosi del Paese nel formulare condanna contro l’aggressione militare sofferta dall’Ucraina e nell’esprimere vicinanza alla popolazione, sollecitando anche aiuto militare a scopo di difesa”.
Il Cardinale si è anche espresso riguardo la tesi, portata avanti in primis dal Patriarcato di Mosca, che si tratti di una guerra tra due sistemi di valori, considerando che il mondo occidentale sta portando avanti una visione antropologica dell’uomo agli antipodi con quello della legge naturale.
“È innegabile – ha detto il Cardinale - che il mondo attuale stia tentando di promuovere un’antropologia che si discosta dalla visione cristiana e che si rispecchia nei nuovi diritti fondati su un approccio esclusivamente individualista. La stessa Chiesa cattolica riconosce il grave rischio che ciò comporta per la difesa e la promozione della dignità umana e non può non essere preoccupata al riguardo. Tuttavia, il modo di contrastare questo fenomeno da parte dei cristiani mai può essere violento, e meno ancora armato, ma deve ispirarsi a quello che Gesù stesso ha insegnato, una proposta sempre più credibile della verità evangelica sul mondo, sull’uomo e su Dio”.
La Santa Sede, ha aggiunto il Cardinale, “continua l’impegno per ristabilire la pace in Ucraina, a tutti i livelli. Rimane disponibile a facilitare qualsiasi negoziato tra le parti che possa mettere fine all’aggressione militare e proteggere la vita dei civili, che si trovano nelle zone di combattimento, anche attraverso corridoi umanitari. Le parole chiave per la Santa Sede sono: rispetto per la vita umana e disponibilità al negoziato”.
L’arcivescovo Pena Parra chiede di ritrovare il senso della politica nel servizio ai più deboli
L’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, ha partecipato la scorsa settimana ad un convegno dell’Associazione Internazionale Carità Politica, dove ha svolto una riflessione sul capitolo V dell’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti, dedicata appunto alla buona politica.
Secondo il sostituto della Segreteria di Stato, “la carità politica è l’aiuto al fratello coniugato al plurale. Unire la politica con la più alta virtù cristiana, la carità, non è una novità di Papa Francesco e nemmeno degli ultimi Pontefici: la politica come ‘forma più alta di carità’ è un’espressione che risale a Papa Pio XI, che ne parlò in un Discorso pronunciato quasi un secolo fa, il 23 dicembre 1927”.
Così, Papa Francesco si pone nella scia dei predecessori, con la volontà di riportare “la carità politica alla concretezza”.
“La carità politica – ha detto l’arcivescovo - che in negativo si traduce nella lotta all’ingiustizia e alla disuguaglianza e, in positivo, nell’edificazione di una società più giusta e inclusiva a partire dai diritti dei più poveri, appare dunque come la categoria chiave dell’agire politico non solo ‘cristiano’, ma più semplicemente umano”.
Per Papa Francesco, populismi e liberalismi non son sono contrapposti, ma assimilati, perché – nota Pena Parra – “quando il principio dominante è una eccessiva sovranità nazionale o lo spadroneggiare dell’economia di mercato, al centro non vi è più la concretezza della vita sociale. La persona e la comunità reali vengono relegate in secondo piano e così le idee vengono prima della realtà”.
Il giusto mezzo tra liberalismi e populismi, sovranismo e perdita delle radici, neo-protezionismo e capitalismo selvaggio è quello di partire dal popolo reale, e così “introduce il concetto di poplarismo”, una visione “in cui protagonista non è un’ideologia strumentale, l’«abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo”, ma piuttosto “a servizio di un popolo vivo, dinamico e con un futuro”.
Per il sostituto, una delle proposte culminanti dell’enciclica “è quella di intraprendere processi volti a convertire le armi in cibo: «con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri”,
“Conscio che non è da attendersi un cambio strutturale del paradigma politico-economico - ha affermato il Sostituto - il Papa invita ogni politico a un fattivo impegno personale, senza aspettare che siano altri a cominciare”.
FOCUS NUNZIATURE
Il nuovo nunzio in Repubblica Ceca
Sarà l’arcivescovo Jude Thaddeus Okolo il nuovo nunzio apostolico in Repubblica Ceca. La nomina è stata ufficializzata l’1 maggio. Nigeriano, poliglotta, l’arcivescovo Okolo prende il posto dell’arcivescovo Charles Daniel Balvo, che il Papa ha inviato all’inizio dell’anno come nunzio in Australia.
Okolo, sacerdote dal 1983, ha lavorato nella Curia Romana prima di unirsi al servizio diplomatico della Santa Sede nel 1990, servendo nelle missioni e nunziature di Sri Lanka, Haitil, Antille, Svizzere, Repubblica Ceca e Australia.
Dal 2008 al 2013 è stato nunzio in Chad, dal 2013 al 2017 nunzio nella Repubblica Dominicana e delegato apostolico a Porto Rico, dal 2017 al 2022 ha lavorato come ambasciatore del Papa in Irlanda.
Due nunzi rinunciano
Restano vacanti le nunziature di Scandinavia e Malta. Il 30 aprile, la Sala Stampa della Santa Sede ha comunicato che il Papa ha accettato la rinuncia dell’arcivescovo James Patrick Green, 71 anni, nunzio nei cinque Paesi scandinavi dal 2017. Nello stesso giorno, è stata resa nota la rinuncia dell’arcivescovo Alessandro d’Errico, 71 anni, nunzio a Malta e Libia dal 2017.
Le rinunce dei nunzi apostolici sono pubblicate dal bollettino della Sala Stampa della Sede in seguito alle nuove norme stabilite dal Motu proprio “Imparare a congedarsi”, pubblicato il 15 febbraio 2018. Secondo il motu proprio, i nunzi seguono la stessa procedura di vescovi e capi Dicastero della Curia non cardinali: anche i rappresentanti pontifici “non cessano ipso facto dal loro ufficio al compimento dei settantacinque anni di età, ma in tale circostanza devono presentare la rinuncia al Sommo Pontefice”. Per essere efficace, la rinuncia dev’essere accettata dal Papa.
I nunzi hanno il privilegio di poter rinunciare al loro incarico al termine dei 70 anni, in anticipo rispetto agli altri arcivescovi. Sia Green che d’Errico hanno utilizzato questa possibilità.
FOCUS ASIA
Vietnam, le preoccupanti notizie sulla libertà religiosa
Se l’ultimo incontro Vietnam – Santa Sede sembrava incoraggiante, e puntava diritto verso lo stabilimento di un rappresentante della Santa Sede residente ad Hanoi – un passo intermedio preludio dei pieni rapporti diplomatici – notizie pubblicate la scorsa settimana mettono in luce come la questione della libertà religiosa sia ancora un problema.
È stato riportato infatti che il 20 febbraio, ad Hanoi, due funzionari comunisti vietnamiti hanno interrotto una Messa celebrata dall’arcivescovo locale al momento della comunione, irrompendo in chiesa e chiedendogli di interrompere la Messa. L’intrusione è stata fermata dai fedeli, che si sono stretti intorno al loro pastore.
C’è stata, dunque, una protesta formale dell’arcidiocesi al governo vietnamita, in cui veniva messo in luce che la libertà religiosa era stata gravemente violata, considerando che l’Eucarestia è la “liturgia suprema e più importante nella fede cattolica”.
Secondo il rapporto di Open Doors, in Vietnam la libertà religiosa alla Chiesa è garantita, ma solo finché i cattolici non esprimono opinioni critiche nei confronti del
Governo, mentre l’impegno politico può portare a lunghe pene detentive. I cristiani costituiscono circa il 10 per cento della popolazione del Paese, che è in maggioranza buddista.
Una telefonata tra il ministro degli Esteri iraniano e l’arcivescovo Gallagher
Lo scorso 27 aprile, Hossein Amir- Abdollahian, ministro degli Esteri iraniano, ha avuto una conversazione telefonica con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati. Ne ha dato notizia Teheran.
Secondo un comunicato del ministero degli Esteri iraniano, “nella conversazione, il ministro degli Esteri ha enfatizzato le solide relazioni bilaterali e l’importanza che ha per l’Iran mantenere relazioni diplomatiche con la Santa Sede, perché “molte tragedie dolorose e anti umane nel mondo sono il risultato di una mancanza di spiritualità e moralità nelle relazioni internazionali”.
Amir-Abdollahian ha anche stigmatizzato come il Corano sia stato profanato in Svezia, e chiesto al Vaticano di porre speciale attenzione sull’azzeramento dei libri divini, ma anche delle religioni nel mondo”.
Il ministro degli Esteri di Teheran ha anche detto che “il dialogo tra le religioni ha un ruolo importante nella riduzione di violenza ed estremismo”. Da tempo, la Santa Sede ha un dialogo aperto con Qom, e Abdollahian ha detto che ora c’è anche apertura per la firma di un documento di cooperazione tra Qom e la Santa Sede.
Tra i temi trattati, quello della Palestina, e in particolare i disordini avvenuti presso la moschea di al Aqsa. Si è parlato anche della posizione dell’Iran sulle crisi regionali, a partire da Afghanistan, Yemen e Ucraina. Nell’ultimo caso, Abdollahian ha chiesto “di fermare l’intervento estero e fermare la guerra”, affermando il bisogno di inviare aiuto umanitario, ma anche il bisogno di “inviare aiuto umanitario insieme alla focalizzazione di una soluzione politica per raggiungere stabilità e pace”.
Si è parlato anche delle prossime celebrazioni del 70esimo anniversario di relazioni bilaterali. Il “ministro degli Esteri” vaticano ha espresso “profonda tristezza riguardo la sofferenza del popolo yemenita”, ha quindi affrontato alcune crisi regionali come quella palestinese, e sottolineato il bisogno di preservare e proteggere la santità di Gerusalemme e i diritti del popolo palestinese.
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