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La Croce e la poesia, eterno dialogo mistico

La Croce, signum d’amore. Due pezzi di legno sono incrociati fra loro: uno è posto in orizzontale; l’altro in verticale. Nulla di più: sinteticità del Cristianesimo. Sopra di essa, un uomo, anzi l’Uomo per eccellenza, Gesù Cristo; la scena del Golgota, nella sua drammatica sequenza, rappresenta uno dei momenti del Vangelo più drammatici e importanti. A quella stessa Croce e a quella scena dal pathos straordinario, molti poeti e scrittori - sia atei che cristiani - hanno guardato, nel corso dei secoli, cercando di contemplarne il mistero.  

Se pensiamo al “dialogo” tra poesia e croce, i primi versi che vengono in mente sono quelli del poeta e mistico francescano Jacopone da Todi ( tra il 1230 e il 1236 - 1306) che nel suo Stabat Mater, inno liturgico composto a metà del XIII secolo, pone l’attenzione alla Vergine Maria presso il Calvario del Figlio: “Stabat Mater dolorósa/ iuxta crucem lacrimósa,/ dum pendébat Fílius”. L’opera, successivamente, ispirerà diversi compositori di tutti i tempi. Fra questi: Scarlatti; Paisiello; Rossini; Verdi; fino a Dvořák e Poulenc. 

Non poteva mancare all’appello Dante Alighieri (1265-1321) che nel XXXI canto del Paradiso, focalizzando l’attenzione del lettore sulla Vergine Maria sotto la Croce, scrive: “In forma dunque di candida rosa/ mi si mostrava la milizia santa/ che nel suo sangue Cristo fece sposa”. Non è certamente un caso che i giorni in cui si svolge il viaggio descritto ne La Divina Commedia sono  -  volutamente -  quelli che hanno al loro centro la Settimana Santa.  

Nel XV secolo la letteratura francese segna lo sviluppo finale del teatro religioso. E a descrivere la Passion ci pensa il poeta e drammaturgo francese Jean Michel (1435 - 1501) che per narrare il patimento sulla Croce di Cristo si ispira alla predicazione di San Giovanni Battista. Passion, opera composta da ben 62000 versi, descrive - tra le tante scene  - uno struggente dialogo tra la Madonna e Gesù. Al Figlio dell’Uomo, Michel farà dire: “Io sarò appeso e tirato, tanto che si conteranno tutte le mie ossa (...) Bisogna compiere le scritture”.

Con un salto del tempo abbastanza iperbolico, l’Ottocento del Manzoni (1785-1873) ci dona la sua immagine della Passione, lirica scritta tra il 1814-1815: “Egli è il Giusto che i vili han trafitto,/ Ma tacente, ma senza tenzone;/ Egli è il Giusto; e di tutti il delitto/ Il Signor sul suo capo versò”. Il tema della Crocifissione -  nel così ricco Ottocento letterario - è affrontato anche oltralpe, nella secolarizzata Francia, dall’esponente di spicco dei Poètes Maudits, Paul Verlaine (1844-1896) che, nella poesia Mon Dieu m’a dit, riesce a catapultare il lettore ai piedi del Golgota: “Figlio mio, bisogna amare. Tu vedi/ il mio fianco trafitto,/ il mio cuore che si irraggia e che sanguina,/ e i miei piedi offesi che Maddalena bagna/ con le lacrime, e le mie braccia dolenti sotto i pesi/ dei tuoi peccati, e le mie mani!”. 

Ma è il Novecento il secolo che ha visto una vera e propria esplosione di autori e opere che hanno trovato nella Passione di Cristo, fonte di sublimi parole e di immagini cariche di profonda umanità.  E’ il caso de Il pianto della Madonna del poeta minimalista Angiolo Silvio Novaro (1866-1938) che  - ancora una volta nella storia della poesia - traccia il dolore di Gesù crocifisso attraverso la figura della Madonna: “Mentre la terra trema/ e il sol vien meno,/ accioglilo nel seno,/ bacialo piano piano/ sul costato e sulla mano/ e sulle palpebre chiuse/ il Diletto, che il sangue effuse”.

 Lo scrittore e poeta Jorge Luis Borges (1899-1986) - “il teologo ateo” così come è stato definito da Leonardo Sciascia - nel suo Cristo in Croce, tra citazioni bibliche e strofe dal ritmo incalzante, si pone la domanda esistenziale: “A cosa può servirmi che quell'uomo / abbia sofferto, se io soffro ora?”.               La Croce, in questo caso, è quella di un’umanità incredula che si interroga su Cristo e sulla sofferenza.

Due legni, un martello e dei chiodi: questi gli strumenti che servono per crocifiggere i condannati a morte ed è questo uno dei temi toccati da Le chemin de la Croix di Paul Claudel, singolare protagonista della letteratura e della cultura cattolica del Novecento. Le chemin, ossia versione poetica della Via Crucis, riesce a toccare diverse corde del cuore grazie a una scrittura tagliente, così come la lancia del costato: "Salve, o Croce, dice Gesù, o Croce, che ho a lungo desiderata! E tu, cristiano, guarda e fremi! È troppo solenne l'ora, quando il Cristo accetta - è la prima volta -, la Croce eterna!”.   

Umanità e Croce sono temi che hanno - da sempre - suscitato molteplici riflessioni, meditazioni e versi in molti autori. Fra questi, vi è la poetessa milanese Alda Merini (1939-2009) che - con versi prorompenti, profondamente umani e al contempo  divini, nel suo Poema della Croce, partendo proprio dall’umano soffrire, riesce a far germogliare nel martirio di Cristo segni di speranza: “Ecco il Padre amorevole/ che corre in aiuto del Figlio/ e squarcia tutte le nuvole/ e fa piovere dal cielo/ quella manciata di rose/ che noi umani chiamiamo cristianesimo”. Mario Luzi (1914-2005), in occasione della Via Crucis del Colosseo, nel 1999, per incarico di San Giovanni Paolo II, scrive delle meditazioni dal “sapore” di poesia: “Gesù ha sete, gli portano alle labbra una spugna imbevuta di aceto. Perché Padre mi hai abbandonato?. È il suo ultimo grido umano. È di uomo infatti l'estremo pensiero del Figlio dell'uomo sulla terra. Consummatum est”.

 

 

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