Padova, 25 February, 2022 / 6:00 PM
L’invisibile che si rende visibile, il mistero che si manifesta all’uomo e lo trascina nelle sue regioni sterminate: lo abbiamo pensato spesso davanti a molte opere d’arte. Soprattutto davanti le icone, con la loro doppia natura di forme concrete della devozione e della fede e di creazione artistica.
Per secoli arte e fede sono state strette da un rapporto imprescindibile e fecondo che ha prodotto capolavori assoluti. L’arte era l’espressione del senso dell’esistere, e il senso dell’esistere era contenuto nel rapporto dell’uomo con il Mistero. E’ ancora così? Arte e fede si sono scisse, allontanate, ma non da oggi. Se ci si riflette, la frattura probabilmente ha radici profonde, fin dalle propaggini del Rinascimento, gradualmente consumata lungo i secoli, fino al divario che ora appare incolmabile. La riflessione si è intensificata in questi ultimi tempi sollecitata da varie occasioni, se vogliamo definirle in questo modo. Intanto, un saggio che arriva dagli Usa, “Lo strano posto della religione nell’arte contemporanea”, pubblicato in Italia da Johan & Levi, scritto dallo studioso James Elkins e di cui si è occupato lo scrittore, saggista, giornalista (e molte altre cose ancora) Camillo Langone.
Lo studioso parte da una constatazione innegabile: l’assenza nelle gallerie e nei musei di arte contemporanea intrinsecamente religiose. Ossia, senza ironia, sarcasmo, feroce satira. E decide di rompere l’assordante silenzio che avvolge una questione particolarmente difficile da affrontare, tanto nei circuiti ufficiali dell’arte quanto nel campo dell’educazione artistica. Un silenzio che lascia gli studenti a coltivare la loro religiosità di nascosto, pena l’esclusione dal sistema. “Di regola l’arte contemporanea ambiziosa e di successo è scrupolosamente non religiosa”, spiega infatti l’autore. E quindi gli artisti, se vogliono avere successo ed entrare nei circuiti “giusti”, è buona cosa tacere, escludere, non occuparsi del senso religioso, della fede. La Chiesa, dal canto suo, non esercita quasi più il suo antico e glorioso ruolo di “mecenate” di artisti. Eppure, in modo forse sotterraneo, c’è chi continua a credere profondamente che, come dichiara Giuliano Guatta, artista di valore e quindi un outsider, “l’arte, l’arte seria, è taumaturgica, ha a che fare con la salvezza e per questo non può essere che religiosa”. Le sue opere testimoniano quanto sia radicata questa convinzione.
La riflessione si snoda lungo strade diverse che portano a incroci inusuali. Per esempio, Vasilij Kandinskij, di cui ora è possibile ammirare un importante nucleo di opere, capolavori creati in ogni fase della sua lunga carriera, oggi conservati in grandi musei come lo State Russian Museum di San Pietroburgo o in esclusive collezioni private, depositarie di veri e propri tesori raramente esposti. Tutto questo nella grande mostra monografica, allestita a Rovigo, presso palazzo Roverella, che apre i battenti proprio oggi. “Il colore è la tastiera, gli occhi i martelletti, l’anima un pianoforte dalle molte corde. L’artista è la mano che tocca questo o quel tasto, portando l’anima a vibrare”, ha scritto appunto Kandinskij, vero primo pittore astratto della storia, nei primi cruciali decenni del Novecento, un genio creativo dai mille volti, le innovazioni audaci, la totale libertà espressiva, l’afflato spirituale, l’ispirazione magica del folklore russo, le pionieristiche ricerche sui legami tra l’arte e le emozioni.
Afflato spirituale, dunque. Kandinskij ha scritto un importante saggio proprio su questo tema, ovvero “Lo spirituale nell’arte”. Scriveva, tra le altre cose: “La nostra anima si sta risvegliando da un lungo periodo di materialismo, e racchiude in sé i germi di quella disperazione che nasce dalla mancanza di una fede, di uno scopo, di una meta. [...] intravede solo una debole luce, come un punto in un immenso cerchio nero. [...]La bellezza esteriore è una componente dell’atmosfera spirituale”. Era il 1911, il nuovo secolo era iniziato da poco e certo non era prevedibili quali orrori avrebbe portato con se’. Invece una ventata di dinamismo, di voglia di cambiare le regole, di seguire le vie dell’interiorità e dello spirito, alla ricerca di nuove forme di espressione. Queste pagine sono destinate a diventare quasi un manifesto dell’arte astratta. Il libro viene continuamente ristampato, in Italia per esempio dall’editore SE.
E cercando sulla sua strada l’artista si ritrovò nell’antico e mutevole mondo delle fiabe e delle leggende che lui, in gioventù, aveva conosciuto nei suoi viaggi in Siberia. Ma soprattutto si ritrovò davanti alle visioni infinite delle icone, dove l’invisibile si fa visibile. Dunque, si torna all’origine del nostro vagabondare sulla variazione sul tema dell’arte e della fede, e non si può concludere senza citare il maestro della bellezza e della potenza delle icone: Pavel Florenskij e il suo grandioso “Le porte regali”. Ricordare la grandezza dell’arte e della fede che provengono dalla terra russa, proprio in questi giorni di venti di guerra e di tormento, che soffiano proprio dalla Russia.
Vasilij Kandinskij, Lo spirituale nell’arte, Edizione SE (pp. 136)
Pavel Florenskij, Le porte regali, Adelphi editore, pp.192, euro 12
Catalogo mostra Kandinskij. L’opera / 1900-1940, Silvana Editoriale
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