New York City, New York, 04 November, 2015 / 5:30 PM
Si pensava di dimezzare la fame nel mondo entro il 2015, e gli obiettivi del millennio per i prossimi quindici anni addirittura parlano di far cessare le situazioni di fame nel mondo. Ma l’obiettivo è ancora lontano. Lo sottolinea, dati alla mano, l’Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, l’arcivescovo Bernardito Auza, in un intervento del 3 novembre alla sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU su sviluppo agricolo, sicurezza alimentare e nutrizione.
L’arcivescovo Auza sottolinea prima di tutto i dati positivi. Dal 1990 “oltre 215 milioni di persone sono state sollevate dalla fame, i denutriti si sono ridotti di oltre la metà, e più del 55 per cento delle 129 nazioni in via di sviluppo hanno raggiunto l’obiettivo di tagliare della metà la prevalenza della nutrizione.”
Altri dati incoraggianti sono le previsioni della soglia di povertà, secondo cui “il numero delle persone che vive in estrema povertà dovrebbe cadere, per la prima volta, sotto il 10 per cento della popolazione globale prima della fine del 2015.”
Eppure, i progressi non sono sufficienti, ci sono ancora “800 milioni di persone che continuano a soffrire la fame,” e un gran numero di loro vive nelle nazioni sud-asiatiche e sub-sahariane, e sono ovviamente più a rischio i bambini che vivono in zone di guerra, dove gli obiettivi di sviluppo non vengono mai raggiunti per ovvie ragioni.
L’arcivescovo Auza ricorda che Papa Francesco ha più volte richiamato alla prevolenza della fame, e ha puntato il dito contro le politiche che chiedono la deliberate distruzione del cibo. “Non possiamo dimenticare – dice l’Osservatore Permanente della Santa Sede – che la fame, come tutte le forme di povertà, è esacerbata dall’esclusione. Possiamo eliminare la fame e l’insicurezza di cibo e sviluppare la dignità umana promuovendo inclusion e solidarietà.”
Combattere la fame ha anche una dimensione etica. Il ruolo delle famiglie in questa lotta è importante, anche perché “ci sono più di 500 milioni di fattorie famigliari nel mondo, la maggior parte di queste appartenenti a contadini, persone indigene, comunità tradizionali, e gruppi rurali.”
Sono loro “una parte importante della soluzione che porti a un mondo libero da povertà e fame.” D’altronde “la famiglia è anche il posto dove si riceve per prima l’educazione di solidarietà e in un modo di vita che ci fa superare la cultura dello scarto e la globalizzazione dell’indifferenza.” In famiglia - conclude l’arcivescovo Auza - “impariamo a prenderci cura dell’altro.”
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