Città del Vaticano , 16 October, 2021 / 4:00 PM
La visita del presidente armeno Sarkissian si è conclusa con la firma di un protocollo di intesa tra Armenia e Santa Sede che coinvolgerà una serie di aspetti culturali. Parlando con un gruppo di giornalisti, il presidente ha sottolineato i buoni rapporti con la Santa Sede, dicendo però che i rapporti sarebbero ulteriormente migliorabili.
Si ricomincia a sentire profumo di viaggi per Papa Francesco. Mentre in Vaticano, una conferenza si occupa di come guarire l’Europa.
FOCUS ARMENIA
L’Armenia firma un protocollo di intesa con la Santa Sede
Il presidente armeno Armen Sarkissian ha firmato, nel corso della sua visita in Vaticano l’11 ottobre, un protocollo di intesa con il Pontificio Consiglio della Cultura. Il protocollo punta a salvare il patrimonio cristiano armeno, specialmente in quelle regioni dove è più a rischio, come il Nagorno Karabakh (in armeno, Artsakh), dove un accordo doloroso ha posto fine lo scorso anno al conflitto azero-armeno mettendo parte del patrimonio storico cristiano a rischio, con monasteri isolati all’interno di nuovi confini.
Come ogni conflitto, ci sono due punti di vista su chi abbia iniziato le ostilità. Quello che però colpisce è la progressiva perdita di patrimonio cristiano nella regione nel corso degli anni, tanto che alcuni hanno parlato di genocidio culturale, e l’ombusman Tatoyan, in viaggio la scorsa settimana con il Catholicos armeno Karekin II, non ha esitato a denunciare una generale “armenofobia” in un rapporto presentato al Tribunale Internazionale dell’Aja.
L’accordo con la Santa Sede è parte di uno sforzo diplomatico importante. La Santa Sede non ha mai fatto mancare l’appoggio all’Armenia. Quando scoppiò il conflitto c’era, per una ironia della sorte, il Catholicos Karekin II in visita da Papa Francesco, e il Papa fu pronto a fare un primo appello all’Angelus subito dopo l’incontro. Per il presidente Sarkissian, i rapporti tra Armenia e Santa Sede sono “buoni, ma potrebbero essere migliori”.
E per migliori intende proprio un comune impegno culturale, con magari scambi tra opere d’arte dei Musei vaticani e quelle armene, dove c’è anche uno straordinario Museo del Libro, il Matenadaran, che sta proprio a significare l’importanza della scrittura per il popolo armeno.
Parlando con un piccolo gruppo di giornalisti il 12 ottobre, il presidente Sarkissian, che fu il primo ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede, ha notato come Armenia e Vaticano si assomiglino, essendo “piccoli Stati con una grande nazione”. La nazione dell’Armenia, la prima a proclamarsi cristiana nel mondo, è data dalla incredibile diaspora sparsa ovunque nel mondo, alimentata anche dal genocidio (non riconosciuto comunque come tale da tutte le nazioni, a partire dalla Turchia) del 1915 che è ancora una ferita aperta per il popolo armeno.
La nazione del Vaticano è invece quelle dei cattolici in tutto il mondo. E il presidente armeno, fisico di formazione e coniatore del concetto di “politica quantica”, pensa proprio in termini di cooperazione tra Stati piccoli, messi ai margini della storia.
Sono temi che il presidente ha sviluppato nel suo incontro con Papa Francesco prima e con il Cardinale Piero Parolin e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher dopo. Il conflitto in Nagorno Karabakh, e in particolare la perdita del patrimonio cristiano, allarmano gli armeni.
Così come c’è allarmismo sui soldati armeni prigionieri di guerra nelle carceri azere. “Non abbiamo nemmeno i numeri di quanti sono realmente imprigionati, non possiamo nemmeno vedere i volti dei prigionieri, denuncia il presidente. Non vuole entrare nei dettagli della conversazione con il Papa, che ovviamente resta riservata, ma sottolinea che la Santa Sede, e in particolare Papa Francesco, ha un soft power che non va sottovalutato, e che può in qualche modo indirizzare anche il modello diplomatico.
Il protocollo di intesa siglato con il pontificio consiglio della Cultura – nota il presidente .- “consentirà di svolgere ricerche congiunte su questioni di interesse storico. Ci auguriamo che contribuisca ad intensificare ulteriormente la cooperazione tra l'Armenia e la Santa Sede in materia di cultura, scienza, archeologia e altri settori, nonché la partnership tra la Chiesa apostolica armena e la Chiesa cattolica di Roma”.
FOCUS VIAGGI DI PAPA FRANCESCO
Sarà Grecia – Cipro il prossimo viaggio di Papa Francesco?
Non ci sono annunci che il Papa andrà a Glasgow per il COP26, come aveva detto lo stesso Papa, e a questo punto probabilmente non ci andrà. Ma sembra rimanere in agenda un viaggio in Grecia e a Cipro per inizio dicembre, mentre l’ipotesi di Malta – tra l’altro, ribadita dal Papa in una intervista a COPE – sembra essere ormai del tutto accantonata.
Negli scorsi giorni, è stata avvistata una delegazione vaticana a Lesbos, in Grecia, dove il Papa è già stato nel 2016 e dove dovrebbe fare tappa in questo nuovo viaggio in Terra Ellenica, tra l’altro già previsto nel 2020, prima della pandemia. Secondo la Athens-Macedonians News Agency, il Papa toccherà anche l’isola, dove gli organizzatori sono arrivati giovedì, accompagnati dagli officiali Ministero Greco per le Migrazioni e l’Asilo L’arcivescovo Iosif Printesis delle Isole Egee è arrivato a Lesbo mercoledì. Tutto lascia pensare ad una preparazione ed una organizzazione imminente.
La tappa a Lesbo dovrebbe essere parte di un viaggio più ampio del Papa, che dovrebbe toccare anche Atene e potrebbe avere un appuntamento in comune anche con il Patriarca Bartolomeo. Papa Francesco dovrebbe visitare anche Cipro nel corso dello stesso viaggio.
Non è stata del tutto accantonata, invece, l’ipotesi di una visita a Timor Est. Inizialmente prevista per settembre 2020, ma mai nemmeno annunciata a causa della pandemia, il viaggio del Papa avrebbe dovuto toccare anche Indonesia e Papua Nuova Guinea. L’idea del viaggio ha ripreso corpo dopo l’incontro, lo scorso 14 ottobre, tra monsignor Marco Sprizzi, incaricato di Affari della Nunziatura Apostolica, e il Primo Ministro Fidelis Manuel Leite Magalhanes.
Secondo un comunicato del governo, il rappresentante della Santa Sede si è congratulato con il governo per l’impegno nella campagna di vaccinazione, e ha affermato che “la Chiesa, la Santa Sede, i sacerdoti, le madri e i vescovi sono impegnati affinché i fedeli possano comprendere che la vaccinazione è un atto di amore, un atto di responsabilità, un atto di collaborazione tra tutti noi, per realizzare condizioni di sicurezza sanitaria per tutti”.
Monsignor Sprizzi ha anche affermato che il Papa “intende visitare Timor Est il prossimo anno”, ma la visita potrà avvenire solo “se gran parte della popolazione sarà vaccinata. Diversamente, dato che la visita papale riunisce sempre un gran numero di fedeli e provoca grandi assembramenti di persone, si metterebbe in pericolo un gran numero di persone”.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Telefonata Papa Francesco – Abu Mazen
Lo scorso 11 ottobre, Papa Francesco e il presidente palestinese Mahmoud Abbas hanno avuto una conversazione telefonica. Durante la telefonata, ha fatto sapere un comunicato della presidenza palestinese, Mahmoud Abbas (meglio conosciuto come Abu Mazen) ha sottolineato l’importanza di far partire un processo politico che termini l’occupazione israeliana della Palestina, e che questa abbia Gerusalemme Est come capitale.
(La storia continua sotto)
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Durante la conversazione, il presidente ha “aggiornato Papa Francesco sugli ultimi sviluppi della situazione israelo-palestinese e della necessità di fermare le ostilità dei coloni e delle forze israeliane a Gerusalemme, specialmente gli estremisti che attaccano lo moschea di Al-Aqsa e che non hanno rispetto dello storico status quo dei luoghi santi”.
Lo status quo Si riferisce alla gestione dei Luoghi Sacri in Terrasanta, con particolare riferimento alla gestione dei santuari della Basilica del Santo Sepolcro, della Basilica della Natività a Betlemme e della tomba della Vergine Maria e Gerusalemme.
La vita di questi santuari è inseparabile dalla situazione politica della Terrasanta, situazione che ha portato lentamente allo status quo odierno. Durante il 17esimo e 18esimo secolo, infatti, la Chiesa Greco Ortodossa e le Chiese cattolica sono sempre stati in lotta per la gestione di una serie di santuari, e in particolare per quelli del Santo Sepolcro, della Tomba di Maria e della grotta della natività”.
Al termine di questo periodo, si è arrivati alla situazione esistente, con una dichiarazione ufficiale del 1852, che determina i soggetti proprietari dei luoghi santi e dei luoghi all’interno dei santuari, estende tempi e durate delle funzioni, dei movimenti e dei percorsi all’interno dei santuari, in un regolamento che coinvolge le comunità Cattoliche o di rito latino, Greche, Armene, Copte e Siriache.
Il presidente palestinese si riferiva invece alle preghiere silenziose, considerate una provocazione, di alcuni attivisti ebrei di fronte la moschea al-Aqsa a Gerusalemme, preghiere poi approvate da una decisione del giudice israeliano.
Secondo il comunicato della presidenza palestinese, Mahmoud Abbas ha anche “messo in guardia contro le demolizioni delle case e le espulsioni forzate dei palestinesi dalle loro case nei quartieri di Shekh Jarrah e Silwan, nelle vicinanze di Gerusalemme Est”.
Il comunicato sottolinea anche come il presidente Abbas abbia “molto apprezzato l’amicizia e cooperazione esistente nelle relazioni con il Papa e il Vaticano per stabilire le fondamenta della stabilità e della pace nella regione, sottolineando che l’impegno palestinese è basato sulle risoluzioni delle Nazioni Unite ed è sotto gli auspici del quartetto internazionale”.
Il presidente ha anche “rimarcato la necessità di aderire all’implementazione degli accordi firmati, mettendo in luce l’importanza di mantenere la sicurezza e lo Stato di diritto, nonché la presenza cristiana nella Terra Santa”
Sempre secondo il comunicato palestinese, Papa Francesco ha sottolineato: “Vogliamo tuti una soluzione con due Stati, e Gerusalemme Est è la capitale dello Stato di Palestina, e questo è il percorso giusto perché il percorso verso la pace”. Il Papa avrebbe anche affermato che continuerà a supportare gli sforzi per la pace nella regione.
Libano, il Cardinale Rai chiede supervisione internazionale per il processo elettorale
Nell’omelia dello scorso 10 ottobre, il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei Maroniti, ha chiesto una supervisione internazionale per il processo elettorale che si è appena avviato.
“La gente – ha detto – vuole elezioni trasparenti e chiare, lontane dal denaro politico che scommette sulla povertà della gente per comprare i loro voti e la loro coscienza”.
Dopo aver chiesto un monitoraggio internazionale per il processo elettorale , il Cardinale Rai ha anche parlato del governo che si è appena costituito, sul quale il Patriarca dice di contare perché “il capo del governo ci ha assicurato della sua determinazione di lavorare per superare gli ostacoli che possono frapporsi a questo governo, e di cominciare immediatamente le riforme, senza le quali non c’è successo, aiuto, né solidarietà araba o internazionale”.
Il Cardinale ha comunque messo in luce che “fin quando il Libano, nella sua tremenda crisi, avrà bisogno dell’aiuto dei suoi amici e delle sue istituzioni monetarie internazionali”, allora lo Stato sarà chiamato a preservare “l’indipendenza, la sovranità e le normali relazioni della nazione”.
Il Libano, ha aggiunto il patriarca, deve mantenere i suoi impegni, e le sue “riforme e ricostruzione devono cadere in una cornice nazionale unificata”, mentre il governo deve dare ai giovani “tutta l’attenzione e cura” perché da loro dipende il futuro.
Ha concluso il Cardinale: “La nostra dignità nazionale ci chiede di preservare la reputazione del Libano, il suo valore, il suo ruolo storico e la sua importanza in Medio Oriente grazie al suo sistema democratico pluralistico di coesistenza e la sua collocazione sulle rive del Mediterraneo”.
FOCUS ASIA
La festa nazionale di Taiwan all’insegna della Fraternità
Per la sua 110ma festa nazionale, l’Ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede ha voluto fare delle opere per i povere i bisognosi, con due eventi: uno a Palazzo Migliori, l’edificio vaticano diventato una casa per i senzatetto, e uno presso la comunità Shalom.
Il primo ha avuto luogo il 7 ottobre, in presenza di Monsignor Diego Ravelli, al tempo capoufficio dell’Elemosineria Apostolica e da poco nominato da Papa Francesco come Maestro delle Cerimonie Pontificie.
Oltre a condividere una cena taiwanese con i senza fissa dimora di Roma presso il rifugio di Palazzo Migliori, l'Ambasciata ha fornito ai bisognosi borsette con beni di prima necessità come cappellini di lana, sciarpe, mascherine chirurgiche e scatolette di tonno.
L’8 ottobre, invece, l’ambasciata ha supportato la Comunità Shalom, un centro di riabilitazione situato a Palazzolo sull'Oglio, Brescia, che offre un ambiente sicuro per i giovani affetti da dipendenze legate all’abuso di sostanze per assisterli nel percorso di recupero. Il Governo di Taiwan ha fatto una donazione per sostenere il “Progetto di Riqualificazione dell’Ex Scuola Mirasole”, che punta a realizzare un edificio ad alte prestazioni energetiche al fine di ospitare la nuova scuola di “Arti, Mestieri e Innovazione Digitale” destinata ai giovani all’interno e all’esterno della comunità”.
Gli oltre 300 ospiti hanno sorpreso l’Ambasciatore Lee e la sua delegazione con una toccante performance corale di “Tanti auguri” a Taiwan. “È stata una fantastica sorpresa che mi ha profondamente commosso”, ha dichiarato Lee, aggiungendo che “si è trattato di un bellissimo omaggio al mio amato paese”.
Secondo l'Ambasciatore Lee, dobbiamo ricordare il messaggio d'amore che è al centro del Vangelo, un amore che raggiunge tutti i nostri fratelli e sorelle vulnerabili, sottolineando i rapporti umani tra le persone, l'inclusione, l'integrazione e fornendo aiuto dove è più necessario.
“Questo – ha spiegato l’ambasciatore - è il vero spirito e la visione del nuovo slogan ‘Friendly Taiwan’ che riflettono l’impegno del paese ad aiutare chi è nel bisogno in qualsiasi parte del mondo e incarnano i valori e i principi dell'enciclica di Papa Francesco "Fratelli tutti .”
L'Ambasciatore Lee ha spiegato che, attraverso queste iniziative, l'amore e la compassione del popolo di Taiwan hanno oltrepassato i confini nazionali fino a raggiungere le persone colpite dalla povertà e dalla dipendenza per fare una piccola differenza nelle vite degli altri, così che avvertano l’amore e le attenzioni che li circondano.
Suor Rosalina, direttore del centro, oltre a ringraziare Taiwan, ha anche annunciato l’intenzione di pregare la Beata Vergine Maria in questo mese di ottobre (dedicato al Santo Rosario) per invocare pace e protezione per il popolo taiwanese.
FOCUS EUROPA
Germania, l’arcivescovo Eterovic risponde alle accuse di non partetcipare al cammino sinodale
All’inizio della scorsa settimana, Karin Kormann, vicepresidente uscente del Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi (ZDK), ha accusato l’arcivescovo Nikola Eterovic, nunzio in Germania, di non partecipare al “principio dialogico” del cammino sinodale tedesco, e anche puntato il dito contro il Vaticano, reo di “non offrire alcun colloquio”.
Kortman ha parlato in una intervista a Domradio lo scorso 12 ottobre. Kortman ha anche detto di sperare “che Papa Francesco abbia capito non si tratta solo di belli incontri, ma che si guarda con viva preoccupazione alla possibilità che la Chiesa finisca in un vicolo cieco”. Le parole di Kortman in qualche modo ricordavano l’enciclica del 1937 di Pio XI “Con viva preoccupazione” (Mit Brennender Sorge) in cui il Papa avvertiva dei pericoli del nazionalsocialismo. Era stato lo stesso nunzio a ricordare questa enciclica nella riunione plenaria autunnale della Conferenza Episcopale di fine settembre 2019, poco prima dell’inizio del Cammino Sinodale.
La risposta del nunzio è arrivato su kathisch.de, il portale della Chiesa Cattolica in Germania. La nunziatura ha sottolineato che “il nunzio Nikola Eterovic aveva sfruttato l’occasione per parlare, e la sua disponibilità al dialogo è innegabile”, e ha sottolineato che la sinodalità include anche “l’ascolto attento”.
La nunziatura ha anche ricordato che Eterovic era, per decisione dei responsabili del cammino sinodale, solo un osservatore: non aveva né un seggio, né un voto nell’assemblea sinodale.
L’Albania festeggia 30 anni di relazioni diplomatiche con la Santa Sede
C’era anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, alla conferenza che lo scorso 5 ottobre ha celebrato i 30 anni di rapporti diplomatici tra Santa Sede ed Albania. Organizzata da Majilinda Dodaj, capo missione dell’Ambasciata di Albania presso la Santa Sede, la conferenza ha ripercorso la storia delle relazioni tra Santa Sede e Albania e i legami storici tra le due realtà, dando anche uno sguardo a come la gerarchia cattolica si è ricostruita in Albania dopo la caduta del regime ateisa di Enver Hoxha, che aveva dato vita all’unico Stato ateo della storia. Papa Francesco è stato in Albania nel 2014, e ha poi beatificato 38 martiri albanesi e creato cardinale il sacerdote Ernest Simoni, la cui testimonianza.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Gallagher ha ricordato anche la storica visita di San Giovanni Paolo II nel Paese nel 1993, quando consacrò i primi vescovi di Albania ricostituendo la Chiesa locale. L’arcivescovo ha poi messo in luce le buone relazioni diplomatiche, richiamando all’accordo che Santa Sede ed Albania hanno siglato nel 2007.
Healing Europe. L’intervento dell’arcivescovo Gallagher
Dal 7 all’8 ottobre si è tenuto, presso la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali in Vaticano, un evento organizzato dall’Accademia e dal Centro sul Pensiero di Giovanni Paolo II di Varsavia. L’incontro era intitolato “Healing Patient Europe” (Guarire il paziente Europa), e ha visto molti autorevoli interventi, tra i quali quello dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti cong gli Stati.
Nel suo intervento di apertura, l’arcivescovo Gallagher ha detto che già il titolo della conferenza porta con sé molte domande. “L’Europa è davvero malata?” si chiede l’arcivescovo Gallagher. Il ministro degli Esteri vaticano ha detto che la pandemia ha “certamente messo in luce” una crisi che non è nata ieri, ma che serpeggia da diverso tempo, e che include molte crisi, da quella delle istituzioni a quella delle migrazioni.
Per l’arcivescovo, “non possiamo perdere speranza che le patologie verranno guarite”, nonostante le difficoltà enfatizzate dalla situazione attuale, ma che nessuna situazione può salvarsi da solo.
La pandemia “ha messo in luce due urgenze. La prima è quella di affrontare i problemi attuali. La seconda è quella che è necessario cambiare alcuni paradigmi cui ci siamo abituati”.
Il Papa ha parlato di una “rivoluzione copernicana”, e questa – spiega l’arcivescovo Gallagher – nasce proprio da un ricostruire la fiducia, ma anche dal rimettere al centro la persona e la sua dignità trascendente.
L’arcivescovo Gallagher ha sottolineato anche la necessità di rimettere al centro la famiglia, e ha anche affrontato il tema della emergenza sanitaria, considerata “una grande opportunità di ricentrare le politiche sulla persona”.
Importante anche focalizzarsi dei giovani, investire nell’educazione, che non significa solo nell’investire in programmi e strumenti, ma piuttosto nel cercare di creare comunità di educazione.
Per quanto riguarda la crisi economica, il “Ministro degli Esteri” vaticano nota che è cambiata proprio “la percezione del lavoro”, sempre più individualista mentre il mercato resta rigido, e così “si devono cercare soluzioni che creino possibilità di impiego”, ma anche trovare un modo di ripensare l’economia.
L’Europa, ha notato l’arcivescovo Gallagher, è anche colpita dalla crisi delle migrazioni. “C’è bisogno di una logica che definisca inclusioni ed esclusioni”, ha notato il ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati. Che ha poi sottolineato la necessità di integrazione, difficile perché “integrare una persona significa prima di tuo essere sicuri della propria cultura”.
E dunque “c’è bisogno di una guarigione culturale”; a partire dall’Europa che deve ricordare delle sue radici cristiane, in quanto “si parla molto di valori cristiani”, ma si rischia di dimenticarli perché i valori oggi si basano su “una antropologia molto differente” da quelli che gli hanno generati.
“Non è eliminando i simboli di fede che facilitiamo la coesione. Solo al contrario siamo in grado di formare il dialogo”, ha detto l’arcivescovo.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede all’OSCE sul traffico di migranti
Parlando di fronte all’ufficio delle Nazioni Unite su Droghe e Crimine lo scorso 14 ottobre, la Santa Sede mette in luce anche il problema di come anche l’uso delle criptovalute è diventato un modo per nascondere il fenomeno, e chiede maggiore attenzione sul tema.
“L’uso dei pagamenti in contanti per evitare la trasparenza – ha notato la Santa Sede – è ora transitato nel sempre meno trasparente mondo dei pagamenti digitali e delle criptovalute”. E questo perché ci sono piattaforme che nemmeno chiedono l’identificazione ai clienti, allargando tra l’altro le opportunità per il riciclaggio di monete e altri crimini.
La Santa Sede fa l’esempio di “molti migranti della Rotta Balcanica,” che accettano le promesse di “trafficanti su internet e spesso cadono vittime di catene di traffico criminale”, e mette in luce come i social media e il dark web sono “strumenti abbondantemente usati per facilitare il reclutamento e il trasporto del traffico di migranti”.
Nel suo intervento, la Santa Sede ha notato come la tecnologia sia “una spada a doppio taglio”, che può anche essere usata per “fini malvagi”, mentre ci sono “diversi strumenti tecnologici, sviluppati da autorità giudiziarie e attori della società civile, nonché organizzazione di ispirazione religiosa, che permettono alle persone di attrezzarsi di conoscenze sui rischi di traffico e fornire mezzi con cui denunciare possibili casi”.
La Santa Sede chiede che “attori Statali e non Statali” prendano iniziative appropriate per “promuovere lo sviluppo soluzioni tecnologiche sicure”, e anche “introdurre meccanismi per l’identificazione di asset virtuosi, per far crescere la trasparenza e combattere le azioni illegali in questi servizi”. La Santa Sede ha chiesto di impegnarsi anche per promuovere “campagne di prevenzioni sul traffico e iniziative per fermare il traffico di migranti e per rendere la migrazione più sicura, ordinata e regolare”.
La Santa Sede a Vienna, la promozione dei diritti umani fondamentali
Il 15 ottobre, la Missione della Santa Sede a Vienna ha tenuto tre interventi all’Ufficio per le Istituzioni e i Diritti Umani (ODIHR) nell’ambito di una sessione su “Democrazia, Diritti Umani e Sicurezza” che celebrava anche i 30 anni dell’ODIHR.
Parlando alla seconda sessione su Promuovere e Proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali insieme.
La Santa Sede ha ricordato che già alle negoziazioni che hanno portato all’Atto Finale di Helsinki la Santa Sede ha posto una enfasi speciale alla dimensione umana dell’OSCE, considerando come “vitale” un approccio globale alla sicurezza, che parta dalla “dignità inerente e gli uguali e inalienabili diritti di tutti i membri della famiglia umana”.
La Santa Sede ribadisce che i diritti umani sono “universali, inalienabili e inviolabili”, e che, perché portino frutto, i diritti umani fondamentali non devono essere solo proclamati, ma anche messi in pratica”, eppure in molte parti del mondo questi diritti sono attaccati.
Per la Santa Sede, l’OSCE dovrebbe rispondere a questi attacchi, anche se è difficile perché “le discussioni durante gli anni passati hanno dimostrato che gli Stati partecipanti hanno posizioni divergenti e a volte contradditorie sulle questioni delle dimensioni umane”. La Santa Sede nota che “solo gli Stati partecipanti potranno concordare sul significato del concetto di diritto umano”, allora “la dimensione umana dell’OSCE diventare una pietra d’angolo potente”.
La Santa Sede nota che “la mancanza di questa comprensione” ha “conseguenze per la sicurezza e la cooperazione tra gli Stati”.
La Santa Sede conclude ricordando di avere “la ferma convinzione che l’universalità dei diritti umani rappresenti una questione critica per la nostra era”, e la risposta a questa domanda “determinerà se i diritti umani continueranno a rappresentare l’orizzonte comune per la costruzione delle nostre società”.
La Santa Sede a Vienna, la questione delle intolleranze
Nella Terza Sessione, si è parlato di come Affrontare tutte le forme di intolleranza e discriminazione e costruire società uguali e inclusive. Nel suo intervento, la Santa Sede ha notato come “non ci sia parte della regione OSCE che sia immune da atti di intolleranza”, e che questi danno indubbiamente “un senso di insicurezza”.
La Santa Sede ha notato che intolleranza, persecuzione e marginalizzazione della religione mette in pericolo il bene comune, e che per questo apprezza i rapporti dell’ODIHR sugli hate crime (crimini basati sull’uomo), e che “tutte le forme di intolleranza religiosa e discriminazione dovrebbero ottenere uguale attenzione, senza considerare se siano dirette o meno contro un gruppo di maggioranza o di minoranza”.
La Santa Sede a Vienna, qualche conclusione
Nella sessione conclusiva dell’incontro dell’ODIHR nel suo trentennale, la Santa Sede ha espresso gratitudine per il lavoro svolto, ha elogiato la professionalità dell’ODIHR, ma ha anche espresso preoccupazione perché l’ODIHR si è unita alle Coalizioni di Azione Egualitaria sulle violenze di genere e su movimenti Femministi per cui non c’era nessun consenso tra gli Stati partecipanti.
Santa Sede all’ONU di New York, contro il disarmo nucleare
L’11 ottobre, presso le Nazioni Unite di New York, si è tenuto il dibattito generale del Primo Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si occupa di disarmo, sfide globali e minacce alla pace che colpiscono la comunità internazionale.
L’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, osservatore permanente della Santa Sede, ha ricordato che la prima risoluzione dell’Assemblea Generale fu quella di garantire che l’energia atomica fosse utilizzata solo per scopi pacifici, rendendo chiaro che “un mondo senza armi nucleari è possibile e necessario”.
L’arcivescovo Caccia ha segnalato, tra i motivi di speranza, l'entrata in vigore del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari; i piani per la prossima Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari; l'estensione del "Nuovo Trattato START"; il Programma d'azione sulle armi leggere e di piccolo calibro; e lo strumento internazionale di tracciamento.
L’Osservatore della Santa Sede ha quindi esortato gli Stati detentori di armi nucleari di adottare una “politica di non primo utilizzo” come mezzo per abbattere un clima di paura e sfiducia.
La Santa Sede all’ONU di New York, la questione dello Stato di dirito
La Sesta Commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dibattuto, lo scorso 12 ottobre, de “Lo Stato di diritto a livello nazionale e internazionale”.
Intervenendo a nome della Sana Sede, l’arcivescovo Caccia ha incoraggiato il VI Comitato a ricordare alla comunità internazionale la centralità della fedeltà ai trattati, che favoriscono la fiducia reciproca e coltivano la pace e lo sviluppo.
L’osservatore permanente della Santa Sede ha detto che gli obblighi sono esclusivamente previsti nel testo dei trattati, come modificato dalle riserve di ciascuno Stato, e le eventuali proposte o pareri al di fuori dei Trattati stessi non sono vincolanti se non espressamente approvati dagli Stati, e ha accolto con favore l'entrata in vigore dell'emendamento di Doha al protocollo di Kyoto e del trattato sulla proibizione delle armi nucleari.
Gli emendamenti di Doha, stabiliti alla conferenza ONU sui cambiamenti climatici che si è e tenuta a Doha nel 2012, istituivano il secondo periodo di impegno per la lotta alle emissioni di CO2. Con gli emendamenti, gli Stati partecipanti si impegnavano a limitare le proprie emissioni entro il 2020, e raggiungere un consenso a livello internazionale per l’adozione di un nuovo accordo globale.
La Santa Sede si è, d’altro canto, particolarmente impegnata per l’entrata in vigore del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari, che ha anche votato in assemblea generale abbandonando per una volta il tradizionale status di Paese osservatore.
L’arcivescovo Caccia ha anche affermato che occorre prestare maggiore attenzione allo stato di diritto a livello nazionale, per prevenire la criminalità, rafforzare l'antiterrorismo, ampliare l'accesso alla giustizia, salvaguardare i diritti degli accusati e garantire condizioni carcerarie umane.
Nota a margine: la Santa Sede nota che l Rapporto del Segretario generale sullo Stato di diritto a livello nazionale e internazionale diverge su questioni controverse per quanto riguarda la considerazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che appartengono al Terzo Comitato, non al Sesto.
La Santa Sede all’ONU di New York, la questione degli Stati vulnerabili
Il 13 ottobre, l'Arcivescovo Caccia ha rilasciato una dichiarazione durante i dibattiti (svolti virtualmente) della Seconda Commissione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite sui punti 23 e 27 dell'ordine del giorno, dedicati rispettivamente a “Gruppi di Paesi in Situazioni Speciali " e "Verso partnership globali".
L'arcivescovo Caccia ha sostenuto la necessità del rafforzamento della partnership globale per garantire che i paesi meno sviluppati (LDC), i paesi in via di sviluppo senza sbocco sul mare (LLDC) e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS) si riprendano dalla pandemia di COVID-19 e avanzino sulla via dello sviluppo.
Per quanto riguarda i paesi meno sviluppati, l’Osservatore della Santa Sede ha affermato che, sebbene siano stati compiuti progressi in materia di assistenza sanitaria, istruzione, energia e tecnologia dell'informazione e della comunicazione, essi lottano ancora con la povertà, la bassa crescita economica e la mancanza di opportunità di lavoro.
Tre sono le priorità urgenti, secondo la Santa Sede: investire nel capitale umano, attraverso l'istruzione e la sicurezza alimentare; aiutare i paesi meno sviluppati a partecipare in modo più fruttuoso al commercio globale; e per aiutarli ad aumentare la loro resilienza climatica attraverso l'adattamento e la mitigazione del clima.
Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo senza sbocco sul mare, l’arcivescovo Caccia ha osservato che la percentuale di coloro che vivono in povertà, soffrono di insicurezza alimentare e non hanno istruzione è peggiorata a causa della pandemia. Le restrizioni alla mobilità hanno influito sul flusso di beni di prima necessità e medicinali. La comunità internazionale, ha affermato, deve assistere i PMS nel commercio internazionale e sviluppare infrastrutture di emergenza, di trasporto e di comunicazione convenienti, affidabili e resilienti.
A proposito degli Stati in via di sviluppo delle piccole isole, la Santa Sede ha notato che il miglioramento della raccolta e dell'analisi dei dati è essenziale, ma più importante è ascoltare la loro gente, mentre chiedono aiuto per proteggere il loro ambiente e gli ecosistemi dagli effetti del cambiamento climatico, che minaccia la loro sopravvivenza.
In generale, la Santa Sede sostiene lo sviluppo di un indice di vulnerabilità multidimensionale.
La Santa Sede all’ONU di New York, le questioni macroeconomiche
Il 13 ottobre, la Seconda Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha discusso di “Questioni di politica macroeconomica”, in un dibattito che si è tenuto in maniera virtuale.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia ha affermato che il progresso della politica macroeconomica non può essere misurato solo in guadagni monetari, ma deve coinvolgere uno sviluppo umano autentico, sostenibile e integrale.
Di conseguenza – ha notato la Santa Sede – “il Secondo Comitato dovrebbe considerare attentamente le implicazioni etiche dello sviluppo, in modo che tutti possano beneficiare della prosperità economica, della pace e della stabilità”.
Questo perché “la pandemia ha rivelato, ha affermato, che sistemi sanitari deboli e finanziamenti sanitari inadeguati possono mettere in pericolo non solo le economie ma anche vite umane e che i paesi in via di sviluppo sono i più colpiti perché non hanno le stesse risorse per rispondere”.
La Santa Sede ha sottolineato che “per progredire nello sviluppo è necessario investire nel capitale umano”, e ha chiesto di affrontare “anche il crescente debito e la povertà dei paesi meno sviluppati, esacerbati dalla pandemia”, per evitare una conseguente crisi finanziaria.
L’arcivescovo Caccia ha inoltre invitato la comunità internazionale a raddoppiare gli sforzi nella lotta alla corruzione, che ostacola la crescita macroeconomica e rende più difficile l'accesso all'economia per i poveri.
La Santa Sede all’ONU di New York, ancora sulle armi nucleari
Il 14 ottobre, si è tenuto alle Nazioni Unite un dibatti su “Armi nucleari, altre armi di distruzione di massa, armi convenzionali e disarmo Aspetti dello spazio cosmico”.
L'arcivescovo Caccia ha sottolineato la continua rilevanza degli strumenti e delle convenzioni internazionali contro le armi biologiche, chimiche e radiologiche e ha inoltre affrontato la recente estensione del nuovo Trattato START, l'imminente Conferenza di revisione del 50° anniversario del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari e la Convenzione sulle armi convenzionali.
Riguardo alle armi nucleari, l’arcivescovo Caccia ha ribadito la valutazione di papa Francesco sull'immoralità non solo dell'uso ma anche del possesso di armi nucleari, "poiché l'intenzionalità intrinseca di avere armi nucleari è la minaccia di usarle".
Per quanto riguarda le armi convenzionali, il rappresentante della Santa Sede ha osservato che non solo la comunità internazionale deve ridurre la dipendenza dalle armi convenzionali per risolvere le controversie come mezzo per rendere più fattibile il disarmo nucleare, ma semplicemente per la preoccupazione per i danneggiati.
"Non possiamo permetterci di essere spettatori di violenze e guerre, di fratelli che uccidono fratelli, come se stessimo guardando le partite da una distanza di sicurezza”, ha concluso l’Osservatore.
La Santa Sede all’ONU di New York, la situazione ad Haiti
Il 15 ottobre l'arcivescovo Gabriele Caccia è intervenuto all’incontro del Consiglio di Sicurezza sulla situazione Haiti, che si è tenuto secondo la Formula Arria.
I meeting di tipo Arria sono incontri informali di membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Prendono il nome da Diego Arria, che nel 1992, da ambasciatore del Venezuela presso le Nazioni Unite, organizzò un incontro informale per ascoltare la testimonianza di padre Joko Zorko sulle violenze che stavano scoppiando nella ex Jugoslavia.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia ha fatto riferimento ai terremoti e ai disastri naturali che il popolo haitiano ha subito, nonché ai diffusi disordini civili, ai rapimenti, alla violenza delle bande e all'assassinio del presidente Moïse, affermando che la mancanza di sicurezza è diventata insopportabile.
L’Osservatore della Santa Sede ha invitato la comunità internazionale ad adempiere al proprio dovere di proteggere e fornire assistenza umanitaria e ha sollecitato la formulazione di una visione a lungo termine che coinvolga tutti gli haitiani.
Allo stesso tempo, l’arcivescovo Caccia ha ribadito l'impegno duraturo della Santa Sede e delle istituzioni cattoliche nell'assistenza sanitaria, nel sostegno sociale e soprattutto nell'istruzione e ha affermato che la Missione delle Nazioni Unite per il sostegno alla giustizia ad Haiti dovrebbe essere dotata delle risorse necessarie per adempiere alla sua missione.
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