Roma, 17 September, 2021 / 6:00 PM
Cinquanta anni: una lunga, incredibile “avventura”, di cui, per fortuna, non si vede la fine, ma che forse non era immaginabile in quel giorno di marzo, il 25 marzo per l’esattezza, del 1971, in cui nacque quell’organismo che doveva, per i decenni a venire, rappresentare la missione della Chiesa europea: evangelizzazione e dialogo, sostegno e azione, ma prima di ogni altra cosa, dare conto della speranza della fede, rispondere sempre e in ogni circostanza, che è Cristo la strada, la via, la risposta.
Dopo le speranze sorte nel dopoguerra, dopo la creazione del primo nucleo d’Europa comune, sull’onda del Concilio Vaticano II, i vescovi europei sentono la necessità di incrementare e rafforzare la collaborazione tra di loro e di far germogliare l’idea di un’Europa unita nelle comuni radici cristinae, ed ecco nascere il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, con l’approvazione delle norme ‘ad experimentum’ da parte della Congregazione per i vescovi, poi firmate da papa Paolo VI, in sigla CCEE. Che è nata “sotto lo sguardo della Madre di Cristo e della Chiesa, che sarà poi venerata come Regina dell’Europa”, come ricordato nel comunicato diffuso dalla presidenza del Consiglio stesso in occasione di questo 50.esimo anniversario. E oggi? Il paesaggio si fa desolante, pieno di ombre e di deserti da attraversare, ma non si può rinunciare al viaggio.
L’attività del Consiglio, che possiede risvolti poco noti ma in realtà ricchi di conseguenze, è caratterizzata dalla presenza di personaggi che giganteggiano non solo nella storia della Chiesa, a partire da papa Giovanni Paolo II, divenuto santo, e di una grande teoria di vescovi e cardinali protagonisti degli anni a cavallo della fine del Novecento e dell’inizio del nuovo millennio. Ed è questa storia dai molti capitoli che ha affrontato e descritto Andrea Gagliarducci (che lavora per il gruppo EWTN come Vatican Analyst per Catholic News Agency e vaticanista e firma di ACI Stampa) nel suo ultimo saggio, dal titolo “Cristo speranza dell’Europa. Cinquant’anni della Chiesa europea tra passato e futuro”, appena uscito per i tipi di Città Nuova. Non è un caso, scrive l’autore, che questa storia cominci con l’immagine di una cattedrale, quella di Strasburgo. Cattedrali, le radici cristiani del continente, Strasburgo, città crocevia delle sue strade e centro del sogno di un’unione contro le sfide dei tempi. E anche la Chiesa decide di affrontare in unità quelle sfide: dai postumi della Guerra Fredda alla spinta ecumenica. Dal ruolo dei cattolici nella società al dialogo con le Chiese negli altri continenti; dal lento e corrosivo processo di scristianizzazione del continente europeo che non si arresta, anzi sembra predominare, ai danni e alle angosce diffuse dalla pandemia che ci ha aggredito quasi due anni fa e che sta influenzando, negativamente la vita sociale, economica, perfino religiosa. Quale futuro ci sarà, ad attenderci? E come la Chiesa saprà e potrà continuare la sua missione di testimonianza in nome di Cristo…
Composto da trentanove membri, di cui trentatré sono Conferenze Episcopali nazionali, alle quali si aggiungono gli arcivescovi del Lussemburgo, del Principato di Monaco, l’arcivescovo maronita di Cipro e i vescovi di Chişinău (Moldavia), dell’Eparchia di Mukachevo e dell’Amministrazione Apostolica dell’Estonia, il CCEE rappresenta la Chiesa cattolica in quarantacinque Paesi del continente europeo.
Si accennava ai tanti personaggi di spicco che si sono avvicendati sulla ribalta della Chiesa europea, e l’autore del saggio ci fa scorrere davanti agli occhi scorrono le figure di coloro che si sono succeduti alla guida della CCEE: il cardinale francese Roger Etchegaray, primo presidente dal 1971 al 1979; il cardinale inglese Basil Hume, l’arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Maria Martini. Durante il mandato del cardinale ceco Miloslav Vlk, dal 1993 al 2001, si lavorò alla riforma degli Statuti, voluta da Giovanni Paolo II nel 1995, con la quale fu stabilito che membri del CCEE fossero i presidenti delle Conferenze Episcopali d’Europa. Seguirono il vescovo svizzero Amédée Grab, presidente dal 2001 al 2006, e il cardinale ungherese Péter Erdő, presidente fino al 2016.
A succedergli è il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo emerito di Genova, tuttora in carica, che ha “firmato” la presentazione del volume e in cui ritorna, con chiarezza e forza, a sottolineare le finalità per cui il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa è stato istituito. Senza dimenticare mai, come ricorda il cardinale Silvano Maria Tomasi nella postfazione, che “il coraggio per il futuro sta nella Persona che, ieri, oggi e sempre, è il Signore Gesù”.
La Chiesa, dunque, è chiamata ad annunciare con ancora più convinzione Cristo "nostra speranza". Il suo compito, ricorda Gagliarducci, ricalcando i tanti documenti e messaggi succedutesi in questi decenni, era ed è evangelizzare ed evangelizzarsi, mentre si moltiplicano i segnali “sempre più consistenti della costruzione di un mondo senza Dio”. “È la spiritualità”, spiega l’autore, “l’antidoto alle sfide della secolarizzazione, che avvengono in un’Europa in cui la religiosità è rimasta, e lo testimoniano le visite ai santuari e le iniziative di devozione popolare, ma la religione viene messa fuori dal dibattito pubblico”. Non solo, aumenta la cristianofobia e la persecuzione, anche quando è strisciante, non lampante. Ma semi di speranza s gettano ancora ovunque, e l’Europa può ancora sperare di ritornare ad essere “il serbatoio” della fede e della tradizione per un mondo in cerca di identità e di futuro. Risuona ancora, come profezia e come sollecitazione, la domanda di Giovanni Paolo II: se oggi tornasse Cristo troverebbe ancora la fede? Le Chiese d’Europa ci scommettono ancora: siì, la troverebbe.
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