Roma, 16 September, 2021 / 2:00 PM
A metà agosto è stata raggiunta la quota minima necessaria di 500.000 firme per indire un referendum sulla legalizzazione dell’eutanasia in Italia, ma l’associazione proponente continuerà la raccolta delle firme fino a fine mese, ed al termine dovranno essere presentate alla Corte di Cassazione, e se questa ritenesse il quesito del referendum legittimo il voto si terrebbe nel 2022.
La raccolta delle firme propone un referendum abrogativo di una parte dell’articolo 579 del codice penale, quello che punisce l’assistenza al suicidio: in questo modo sarebbe permessa l’eutanasia attiva, che avviene quando il medico somministra il farmaco necessario a morire, e che al momento è illegale in Italia. Sono invece considerate lecite forme di eutanasia passiva, praticata astenendosi dall’intervenire per tenere in vita il paziente, soprattutto quando l’interruzione delle cure ha come scopo di evitare il cosiddetto ‘accanimento terapeutico’.
Alla professoressa Assuntina Morresi, docente associata di Chimica Fisica al dipartimento di Chimica, Biologia e Biotecnologie dell’Università degli Studi di Perugia e componente del Comitato Nazionale per la Bioetica, abbiamo chiesto di spiegare cosa significa firmare un referendum che modifica il reato di omicidio del consenziente:
“Anche alla luce delle dichiarazioni di importanti giuristi è tutt’altro che scontato che il quesito proposto sulla modifica dell’art. 579 del Codice Penale possa essere dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale, e quindi dare il via ad un referendum in merito. Tante le contraddizioni che si verrebbero a creare nel caso in cui il quesito referendario ricevesse il consenso dei cittadini, come ha sottolineato, ad esempio, Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Consulta e già Ministro della Giustizia, ‘noi avremmo una situazione per cui chi uccide una persona maggiorenne e cosciente di sé che glielo chiede, anche in buona salute, non rischia il carcere’. Il numero importante di firme raccolte dai proponenti, però, può comunque essere utilizzato per esercitare pressione politica nei confronti del legislatore, perché si attivi per realizzare le condizioni per una “morte medicalmente assistita”.
La morte medicalmente assistita può essere considerata cura?
“Le leggi sulla morte medicalmente assistita si basano sull’idea che di fronte a sofferenze insopportabili la morte sia un rimedio, l’atto medico estremo adeguato alla situazione, quindi la cura estrema. E’ un capovolgimento dell’idea stessa di medicina, nata per allontanare la morte, e quindi un cambiamento radicale del paradigma su cui si basa la professione medica”.
Lo stato può ‘garantire’ un diritto a morire?
“Solitamente le leggi che consentono la morte procurata continuano a ritenerla un reato e individuano le condizioni nelle quali non lo è più: in presenza di una sofferenza insopportabile, spesso con una patologia inguaribile e con un medico a effettuare la procedura. In altre parole si individuano le condizioni nelle quali uccidere non è un reato, e un parlamento approva. Di conseguenza, si tratta di un ‘diritto a morire’ di fatto, purché si verifichino certe condizioni e si seguano certe procedure. La vita umana, di conseguenza, non ha più un valore indiscutibile, da tutelare prioritariamente”.
Quale differenza esiste fra eutanasia e cura palliativa?
“Sono una l’opposto dell’altra. La prima significa procurare la morte, su richiesta, quando sussistono alcune condizioni stabilite da leggi apposite. La seconda significa accompagnare una persona malata fino all’ultimo momento di vita, innanzitutto somministrando trattamenti per eliminare il dolore fisico, ma anche prendendosene cura in toto, come avviene ad esempio negli hospice. Fortunatamente viviamo in tempi in cui il dolore fisico può sempre essere gestito, sia farmacologicamente che chirurgicamente”.
Il referendum può sminuire il significato di solidarietà?
“Il referendum fa emergere la principale conseguenza della morte che diventa un diritto: lo sminuirsi della solidarietà umana, cioè della responsabilità e del farsi carico del prossimo, specie di chi è più fragile, e quindi la perdita della pervicacia creativa che fa escogitare soluzioni a problemi apparentemente insolubili, scovare vie d’uscita dentro a un vicolo cieco. E’ la solidarietà umana il senso ultimo anche delle cure palliative, specie in fine vita: quell’accompagnamento fino al respiro finale che rende dignitoso ogni morire perché non lascia soli e consente di controllare il dolore fisico. Gli hospice sono nati sul sentimento profondo della solidarietà reciproca”.
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