Kabul, 16 August, 2021 / 11:00 AM
Mentre l’aeroporto di Kabul è praticamente assaltato da migliaia di afghani che cercano di fuggire dal loro Paese a seguito dalla riconquista del potere da parte dei Talebani, Caritas Italiana sottolinea il senso della sua presenza nel Paese, ricorda che è dagli Anni Novanta che opera sul territorio (vale a dire, da ben prima della presa del potere dei Talebani, poi spodestati dall’Alleanza del Nord) e dice quello che tutti temono, ovvero che potrebbe essere in forse la presenza stessa nel territorio, stanti gli ultimi sviluppi.
In un comunicato, Caritas Italiana afferma che “dopo una guerra di venti anni dai costi umani incalcolabili e da miliardi di Euro di spesa, il ritiro delle forze armate statunitensi sta lasciando il paese in un tragico baratro”, e che “come sempre saranno i più deboli a pagare il prezzo più altro, già in decine di migliaia in fuga dalle zone di combattimento, mentre i talebani sono ormai nella capitale, Kabul. Assieme al personale delle ambasciate, anche i pochissimi sacerdoti, religiosi e religiose che si trovano a Kabul si stanno preparando al rientro obbligato”.
Caritas ricorda l’appello di Papa Francesco all’Angelus del 15 agosto, e sottolinea che “la comunità cristiana è una comunità piccola ma significativa che negli ultimi anni ha testimoniato l'attenzione nei riguardi dei più poveri e fragili”.
C’è una sola chiesa in Afghanistan, ed è all’interno dell’ambasciata italiana. Fu costruita nel 1921 e affidata ai missionari barnabiti da Pio XI nel 1932. L’attuale cappella è stata costruita nel 1960. Se, infatti, c’era stata una prima presenza cristiana nel territorio già nei primi secoli della cristianità, questa fu spazzata via con l’Impero Ottomano. Ma quando l’Italia, nel 1919, fu la prima nazione a riconoscere l’indipendenza del Paese, l’Afghanistan chiese cosa potesse fare per ricambiare. L’Italia non chiese favori commerciali o privilegi particolari, ma la possibilità di costruire un luogo di culto, ampliando di fatto la libertà religiosa. La cappella è affidata alla missione sui iuris dell’Afghanistan, retta dai padri Barnabiti, che sono nel Paese dal 1934. Nel 1992, dopo la fine della dominazione sovietica, i Barnabiti avevano anche presentato un progetto per la costruzione di una chiesa nel Paese, ma il progetto non ebbe seguito a causa della Guerra Civile e della successiva presa di potere dei talebani. In mezzo a queste difficoltà, sono diversi i missionari che sono in Afghanistan, inclusi i gesuiti, arrivati nel 2002, una sorta di “missione sui iuris” nella missione.
Proprio negli Anni Novanta, Caritas Italiana ha cominciato l’impegno in Afghanistan, e “nei primi anni Duemila, Caritas Italiana ha sostenuto un ampio programma di aiuto di urgenza, riabilitazione e sviluppo, la costruzione di quattro scuole nella valle del Ghor, il ritorno di 483 famiglie di rifugiati nella valle del Panshir con la costruzione di 100 alloggi tradizionali per le famiglie più povere e assistenza alle persone disabili.
Tra giugno 2004 e dicembre 2007, due operatori di Caritas Italiana si sono alternati nel Paese con l'obiettivo di coordinare e facilitare le attività in loco”.
Spiega Caritas che “attualmente l’ambito di attenzione principale è costituito dai minori più vulnerabili. Ma l'instabilità della situazione comporterà la sospensione di tutte le attività, mentre crescono i timori per la possibilità di mantenere una presenza anche per il futuro, oltreché per la sicurezza dei pochi Afghani di confessione cristiana”.
La speranza, lasciata in controluce, è che i Talebani diano seguito alla loro richiesta della collaborazione di tutti, anche delle ONG, per la ricostruzione dell’Afghanistan. Questo potrebbe permettere alle ONG dipendenti dalla Chiesa Cattolica di trovare ancora uno spiraglio per continuare a lavorare nel Paese. L’ambasciata italiana è stata comunque evacuata, e sono rimasti per ora solo i missionari. Nessuno ha intenzione di andare, per ora, ma c’è il rischio che anche la piccola presenza cattolica nel Paese sia spazzata via. La missione cattolica non è mai stata espulsa, nonostante l’Afghanistan nel corso di quest’ultimo secolo abbia subito vari stravolgimenti politici, dalla monarchia alla repubblica, dal regime sovietico alla guerra civile, fino all’attuale emirato dei Talebani.
Caritas ricorda che “in queste ore una massa crescente di profughi sta fuggendo dalle zone di guerra, aumentando la pressione in direzione dei paesi circostanti. In Pakistan la Caritas da lunedì avvierà una valutazione della situazione nella regione di Quetta, ai confini con l'Afghanistan”, che “anche i paesi occidentali si troveranno a fronteggiare una pressione sempre maggiore di persone in fuga da questo paese, dove forse troppo frettolosamente l'occidente ha pensato di poter esportare delle ricette sociali”.
La speranza, per la Chiesa locale, è che si trovi un accordo di pace e si eviti di cadere al baratro della guerra civile, o che porti il Paese ad essere rifugio dei jihadisti dei Paesi vicini. Fonti locali sottolineano di confidare molto sulle pressioni dei paesi vicini (Russia, Cina, repubbliche ex-sovietiche, Pakistan, India, Iran), che hanno tutto l’interesse ad avere come loro vicino un Afghanistan pacificato. In effetti, la Russia non ha evacuato l’ambasciata, e sta cercando di stabilire un canale di dialogo.
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