Città del Vaticano , 05 June, 2021 / 4:00 PM
Potrebbe aggiungersi anche il presidente USA Joe Biden alla fitta agenda di incontri diplomatici di Papa Francesco prevista in questo giugno. Oltre alla possibile visita del presidente degli Stati Uniti, Papa Francesco riceverà i presidenti di Austria, Georgia e Cile, mentre presenteranno le credenziali gli ambasciatori di Gabon e Nigeria. A questo si aggiungono i preparativi per la giornata di preghiera per il Libano del prossimo 1 luglio; e la nomina del nuovo nunzio in Israele e Cipro, incarico chiave nello scacchiere diplomatico della Santa Sede.
FOCUS PAPA FRANCESCO
L’agenda di giugno di Papa Francesco: Biden?
Non ci sono conferme ufficiali, ma è considerato molto probabile, in ambienti del Palazzo Apostolico Vaticano, che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden sia a Roma il 15 giugno, per un incontro con Papa Francesco. Non una visita ufficiale, ma una udienza privata, con forse un bilaterale successivo in Segreteria di Stato, per una prima presa di contatto.
Il presidente Biden, il secondo cattolico dopo John Fitzgerald Kennedy ad guidare gli Stati Uniti, potrebbe approfittare, per questa visita, di un “buco” organizzativo nel suo viaggio in Europa, che lo porterà il 13 giugno nel Regno Unito per incontrare la Regina Elisabetta II, il 14 giugno a Bruxelles per il Summit NATO e il 16 giugno a Ginevra per incontrare il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.
Se confermato, l’incontro con Papa Francesco avverrebbe alla vigilia della plenaria della Conferenza Episcopale USA, che è chiamata anche a discutere un documento sulla recezione della comunione da parte di politici cattolici che però si professano a favore della legge sull’aborto (pro-choice), o comunque che non seguono pubblicamente la morale cattolica. Il documento verrà discusso anche su richiesta della Congregazione della Dottrina della Fede, che, interrogata, ha chiesto che si faccia un testo dal più ampio consenso possibile, se necessario.
I vescovi degli Stati Uniti vivono una spaccatura. Dopo l’elezione di Biden, la presidenza della Conferenza Episcopale inviò una nota in cui metteva in guardia dalle politiche anti-vita promosse dal presidente, e trovò subito una opposizione pubblica in un tweet del Cardinale Blaise Cupich, arcivescovo di Chicago.
Papa Francesco, in maniera non protocollare, ha avuto una conversazione con Biden il 12 novembre, quando ancora era presidente eletto e non era entrato in carica, subito dopo il messaggio di congratulazioni dei vescovi USA per l’elezione. Il Papa, in realtà, manda auguri ufficiali con un messaggio sempre il giorno dell’insediamento, mai prima.
L’agenda di Giugno di Papa Francesco: Austria, Georgia, Cile
Il 7 giugno, Papa Francesco riceverà in udienza Alexander van der Bellen, presidente dell’Austria. Esponente del partito dei Verdi, presidente dal gennaio 2017, Van der Bellen ha già incontrato Papa Francesco proprio nel primo anno della sua presidenza.
A fine 2020, il presidente Van der Bellen ha pubblicamente ringraziato Papa Francesco per le “sue parole chiare sulla pandemia e sulla crisi ambientale” in una lettera inviatagli per gli auguri di Natale.
Il 18 giugno, si prevede una udienza con Salomé Zourabichvili, presidente di Georgia. Zourabichvili incontrerebbe il Papa per la prima volta, sebbene il 13 maggio 2020 i due abbiano avutto un colloquio telefonico in cui – si leggeva nel comunicato della presidenza di Tbilisi – i due “hanno passato in rassegna questioni di reciproco interesse e preoccupazione”, mentre Papa Francesco aveva ricordato “”la sua accogliente visita in Georgia nel 2016, confermando il sostegno per la nazione georgiana”.
La visita del presidente Zourabichvili era prevista lo scorso 26 aprile, con una fitta agenda vaticana, ed era stata poi posticipata.
Il 24 giugno, Papa Francesco dovrebbe ricevere per la seconda volta il presidente cileno Sebastian Pinera. Questi, già presidente del Cile dal 2010 al 2014, è stato rieletto nel 2018, e in quell’anno era stato in visita da Papa Francesco. Focus dell’udienza fu allora la piaga degli abusi.Quest’anno, possibie che si affronti anche il tema degli attacchi alle chiese che sono avvenuti in Cile durante le proteste antigovernative di ottotbre.
Nell’agenda del Papa, anche la presentazione delle lettere credenziali dei nuovi ambasciatori del Gabon (il 12 giugno) e di Nigeria (il 21 giugno).
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede osservatore all’Organizzazione Mondiale della Sanità
Da Paese invitato speciale della segreteria generale a Paese non membro osservatore: ad inizio della settimana, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha approvato la risoluzione proposta dall’Italia che annovera la Santa Sede tra gli Stati non membri osservatore. La Santa Sede, così, prende nell’organizzazione ONU della salute lo stesso statu che ha presso le Nazioni Unite.
In dichiarazioni rese dopo la votazione, l’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore della Santa Sede presso le organizzazioni internazionali a Ginevra, ha spiegato a Vatican News che l’idea di elevare lo status della Santa Sede nell’OMS è maturata “anche grazie a due parametri esterni. Il primo è certamente quello del Covid-19: non so se senza il Covid saremmo arrivati a questa idea, ma il Covid è il simbolo di una emergenza continua, sempre presente, per l’umanità. La seconda cosa è l'impegno del Papa, indubbiamente molto visibile, molto percettibile qui a Ginevra, in favore del multilateralismo. I problemi globali devono essere risolti a livello multilaterale: questa è la convinzione del Santo Padre e questi due aspetti riflettono il perché della decisione che abbiamo appena visto adottare dall'Organizzazione Mondiale della Sanità”.
L’arcivescovo Jurkovic ha fornito anche alcune cifre riguardanti l’impegno cattolico in termini sanitari nel mondo. Ha detto che negli Stati Uniti, il welfare cattolica impiega mezzo milione di persone con contratto a tempo pieno e circa 300 mila con contratti part time, “in Germania e in Spagna il numero è enorme, in Spagna è alto, in Italia è altissimo”.
La risoluzione dell’Italia ha avuto 71 co-sponsorizzazioni, e raccolto il 30 per cento dei consensi. L’arcivescovo Jurkovic ha notato che “i Paesi dell'Unione Europea che si sono espressi positivamente sono stati 19, alcuni un po’ meno, alcuni un po’ critici, ci sono invece stati i sì di moltissimi Paesi arabi, che è una cosa atipica, dimostrazione, secondo me, di questa apertura del Santo Padre a nuove maniere di comunicare nel mondo, attraverso il principio di fraternità, di fratellanza”.
L’osservatore della Santa Sede nota che era comunque “diventato necessario che si istituzionalizzasse la presenza. Noi partecipavamo all’Oms su invito: vuol dire che ogni anno, il direttore generale estendeva un invito, con una lettera scritta, al segretario di Stato vaticano. In certe occasioni però, durante alcuni incontri regionali, si vedeva che anche l’Oms non ci percepiva come un ente giuridico sovrano, riconosciuto negli ambienti internazionali, ma ci considerava come una delle iniziative di una organizzazione tipicamente umanitaria”. E quindi “era importante che si difendesse questo carattere specifico della Santa Sede e che il nostro diritto di partecipare alle riunioni dell’Oms venisse istituzionalmente garantito e non stabilito con un invito volta per volta”.
La Santa Sede a Vienna, rapporto dell’Alto Commissario sulle Minoranze Nazionali
Il 3 giugno, la Santa Sede ha partecipato al 1318esimo incontro del Consiglio Permanente dell’OSCE, rispondendo ad un rapporto dell’Alto Commissario sulle Minoranze Nazionali.
(La storia continua sotto)
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Nel suo intervento, monsignor Janusz Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede, ha messo in luce alcuni punti cruciali del rapporto, lodandone l’impostazione che punta ad agire il più presto possibile per prevenire tensioni che riguardano le minoranze nazionali.
Il primo punto sottolineato dal rappresentante OSCE è l’educazione, “mezzo formidabile per ridurre le tensioni che coinvolgono le minoranze nazionali”, con una speciale attenzione per l’educazione dei giovani, e con l’idea che “l’educazione non solo è un mezzo per promuovere la partecipazione attiva delle minoranze nazionali”, ma è anche un luogo privilegiato dove coltivare “tolleranza e non discriminazione”.
Il secondo punto è quella di eguali diritti e pari opportunità, con una attenzione speciale per le donne delle minoranze, che dovrebbero essere assistite da strutture appropriate di supporto “umano, economico e sociale”.
Terzo punto, la promozione di un linguaggio non discriminatorio, perché “ci sono numerosi e ampi impegni di non discriminazione basata sul linguaggio ai quali non è stata sempre data adeguata attenzione”.
Quindi, la Santa Sede mette in luce come il COVID abbia avuto un impatto “sproporzionato sulle persone in situazioni vulnerabili”, e su minoranze come rom e sinti che sono “le comunità più colpite” sia dalla pandemia che dalla sproporzione delle misure. C’è bisogno, insomma, di azioni dei governi per superare le ineguaglianze
La Santa Sede, conclude monsignor Urbanczyk, “crede nel principio che ogni persona umana, al di là della sua origine etnica, culturale o nazionale o della sua fede, ha una dignità inerente”, e per questo auspice che “la diplomazia silenziosa” dell’Alto Commissario delle Minoranze Nazionali “contribuirà a migliorare la situazione di tutte le minoranze nazionali”.
La Santa Sede all'ONU di New York, la lotta alla corruzione
Il 4 giugno, l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, si è rivolto in videomessaggio all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite riunita per discutere di "Sfide e misure per prevenire e combattere la corruzione e rafforzare la cooperazione internazionale".
Nel suo messaggio, il "ministro degli Esteri" vaticano ha osservato che la corruzione non ha limiti polittici né geografici, ed esiste "sia nelle nazioni ricche che nelle nazioni povere", cosa che rende necessaria una più ampia "cultura dell'integrità" per combattarla. L'arcivescovo Gallagher ha anche sottolineato la necessità di riformare il modo in cui vengono puniti i complici della corruzione.
Gallagher ha quindi notato che la Santa Sede ha aderito alla Convenzione ONU contro la corruzione nel 2016, e che in linea con quella convenzione ci sono state varie nuove leggi vaticane per rafforzare "trasparenza, controllo e competizione nelle procedure" per i contratti pubblici e nel rafforzare la pubblicità di possibili conflitti di interesse.
L'arcivescovo si riferisce alla riforma del Revisore Generale, al codice sugli appalti, al protocollo anti-corruzione tra Segreteria per l'Economia e Revisore Generale e alla commissione sulle materie riservate, tutte nate a seguito dell'adesione alla Convenzione di Merida cui faceva riferimento nel discorso.
Tre webinar sull’alimentazione
Segreteria di Stato e Missione Permanente della Santa Sede presso le agenzie ONU dell’Alimentazione, insieme con il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e la Commissione Vaticana COVID 19 hanno organizzato una serie di tre webinar sul tema “Cibo per la Vita, Giustizia Alimentare, Cibo per tutti”, iniziata durante la Settimana dalla Laudato Si, dal 16 al 24 maggio.
Nell’ultimo di questi tre webinar, che si è tenuto la scorsa settimana, è intervenuto il Cardinale Piero Parolin, segretario di Stato vaticano, che si è concentrato su “conflitti alimentari e futuro dei sistemi alimentari”. Un intervento che segnala anche quale sarà la posizione della Santa Sede al Summit sui sistemi alimentari convocato alle Nazioni Unite per il prossimo settembre, che vedrà dal 19 al 21 luglio un pre-summit a Roma, organizzato dalla presidenza italiana del G20.
Il Cardinale Parolin ha chiarito che servono “azioni concrete, incisive, avvedute” a livello internazionale, per “ripensare i sistemi alimentari”, con azioni “individuali e collettive che portino verso un futuro alimentare che sia “sostenibile, equo e sicuro”.
I tre webinar hanno avuto come tema: Cibo per la Vita: il ruolo delle donne nella promozione dello sviluppo umano integrale (17 maggio),; Giustizia Alimentare: lavoro, innovazione e finanza al servizio della giustizia alimentare” (26 maggio); e quest’ultimo sui conflitti alimentari, che si è tenuto il 31 maggio.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Libano, appello per conferenza internazionale sotto egida ONU
Ancora una volta, il Cardinale Boutros Bechara Rai, patriarca maronita, ha fatto appello a organizzare una conferenza internazionale sotto l’egida dell’ONU per superare la crisi politica, economica, finanziaria e sociale del Libano.
Il Cardinale ha parlato come al solito nella sua omelia domenicale, sottolineando come parte della crisi sia stata “provocata dall’avidità e dal monopolio”, e mettendo in luce come sia “tempo di razionalizzare i sussidi, senza toccare le riserve obbligatorie della banca del Libano”.
Il Cardinale sarà presente alla giornata di preghiera per il Libano che Papa Francesco ha convocato in Vaticano il prossimo 1 luglio. La giornata di preghiera, ha spiegato l’arcivescovo Joseph Spiteri, nunzio in Libano, avrà anche una parte pubblica, aperta a tutti, ma non prevedrà la presenza di politici.
In un evento organizzato dall’Ambasciata di Italia presso la Santa Sede, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha sottolineato in una conversazione con Exaudi che l’incontro “cercherà di discutere ed analizzare la situazione molto complessa in cui il Libano si trova dal punto di vista politico, religioso, sociale. C’è anche un problema economico, ovviamente, ma siamo persone di Chiesa, non abbiamo necessariamente comprensione di quelle situazioni”.
Sarà “un momento spirituale, per essere con il Papa, pregare, offrire alle persone del Libano il coraggio di cui necessitano in questo periodo, la volontà di superare i loro problemi”.
Papa Francesco ha già fatto sapere che vorrebbe presto viaggiare in Libano, ma per il “ministro degli Esteri” vaticano questo viaggio è “improbabile” per la fine dell’anno, anche perché “settembre e ottobre sono sempre molto pieni di incontri”. L’arcivescovo Gallagher ha anche sottolineato la necessità di contrastare l’emorragia di cristiani dalla regione, tema centrale perché il Libano “è una nazione democratica, che ha una costituzione e cerca di mettere insieme le persone nella sua governance”, ma centrale anche perché l’emorragia di cristiani riguarda “tutto il Medio Oriente”.
FOCUS AMERICA LATINA
Venezuela, il nunzio Giordano rifiuta la decorazione del presidente Maduro
L’arcivescovo Aldo Giordano, nunzio apostolico uscente del Venezuela, ha rinunciato a ritirare una decorazione che gli era stata assegnata dal presidente Nicolas Maduro, sottolineando che la sua funzione nella nazione era di “servire” e non “di cercare alcun onore”.
L’arcivescovo Giordano – che lascia il Paese dopo sette anni per prendere l’incarico di nunzio presso l’Unione Europea – ha fatto sapere di “aver chiesto a nome del Papa di rinunciare a questa decorazione, perché il Papa ci dice: in un Paese voi, miei rappresentanti, dovete andare a servire, ad aiutare, e non a cercare onori”. L’arcivescovo Giordano ha comunque ringraziato Maduro per la considerazione.
Maduro, dal canto suo, ha avuto parole di lode per il nunzio, definendolo una persona che “ sa ascoltare”, e che “rispetta l’opinione diversa ed è stato un fattore di equilibrio nel corpo diplomatico del Paese”.
Lasciando il Paese, l’arcivescovo Giordano ha detto di tenere il Venezuela nel cuore, e ha ricordato che “in questi anni si è alimentata l’amicizia tra di noi. Il popolo del Venezuela mi ha rubato il cuore, ho avuto la fortuna di visitare molti luoghi di questo Paese”.
La Santa Sede ha mandato un suo rappresentante – ma non il nunzio – all’insediamento della presidenza Maduro, dimostrando da una parte la volontà di fare un ponte (la Santa Sede non interrompe mai le relazioni diplomatiche), e dall’altra che la Santa Sede comprendeva anche le proteste e la situazione particolare del Paese.
La Santa Sede aveva inizialmente operato una mediazione tra Maduro e l’opposizione, e Papa Francesco aveva inviato l’arcivescovo Claudio Maria Celli come suo inviato speciale. Ma la mediazione non funzionò. Il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in più occasioni ha incontrato esponenti dell’opposizione venezuelana in Segreteria di Stato, mentre la Conferenza Episcopale Venezuelana è venuta due volte da Papa Francesco a portare i problemi della gente.
Nel 2019, in una conferenza stampa in aereo, Papa Francesco spiegò che che “la Santa Sede è disponibile a mettersi a capo di una mediazione, ma le condizioni iniziali sono che le due parti la chiedano”.
Il Cardinale Parolin inviò nel 2016 una lettera al presidente Maduro, con una serie di pre-condizioni necessarie ad un dialogo veritiero in Venezuela: cibo e medicine per tutti, un calendario elettorale da concordare, la restituzione all’Assemblea Nazionale del ruolo per essa prevista dalla Costituzione, la liberazione dei prigionieri politici.
FOCUS EUROPA
I vescovi COMECE chiedono risorse adeguate per l’inviato UE per la liberà religiosa
In una lettera indirizzata alla Presidente della Commissione europea von der Leyen
mercoledì 2 giugno 2021, i vescovi dell'Unione europea ricordano la necessità di
supportare il lavoro dell'inviato speciale dell'UE per la promozione della libertà di
religione e credo con un sostegno istituzionale e finanziario.
La Commissione Europea ha nominato a inizio maggio il cipriota Christos Stylianides come inviato speciale dell’Unione Europea per la Promozione e la Protezione della Libertà di Religione e di Credo fuori dall’Europa. Prende sil posto di Jan Figel, il cui mandato era scaduto con la scadenza della precedente commissione europea, e che aveva mostrato grande capacità operativa assistendo anche nel trasferimento di Asia Bibi dal Pakistan dopo la sua assoluzione.
Il Cardinale Hollerich, presidente della COMECE (la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea) aveva subito sottolineato di “non vedere l’ora di lavorare a stretto contatto” con il nuovo inviato speciale, per promuovere nel mondo “il fondamentale diritto alla libertà religiosa”.
Nell’ultima missiva, il Cardinale Hollerich ha ricordato la necessità di rafforzare il meccanismo Ue, e chiesto alla Presidente della Commissione europea von der Leyen di sostenerlo"con risorse umane e finanziarie ragionevoli e adeguate che consentano all'inviato speciale dell'Ue di portare avanti la sua alta responsabilità, con un mandato e una capacità più ambiziosi e meglio definiti", come espresso dalla risoluzione del Parlamento europeo del gennaio 2021.
Il Presidente della COMECE ha espresso - la soddisfazione dei Vescovi per la recente nomina di Stylianides, il cui precedente impegno come Commissario per gli aiuti umanitari ha aperto "nuovi spazi per la cooperazione con le Chiese e le organizzazioni basate sulla fede nelle attività umanitarie, così come per il dialogo interreligioso che porta a una migliore protezione dei diritti umani e alla comprensione reciproca nelle situazioni di conflitto".
"La sua nomina – si legge nella lettera - darà voce agli individui e alle comunità senza voce, la cui libertà di pensiero, di coscienza e di religione sono violate, essendo essi oggetto di intolleranza, discriminazione e, in alcuni casi, anche di persecuzione".
La posizione dell’inviato speciale UE sulla libertà religiosa è stata creata nel maggio 2016, annunciata a seguito del conferimento del Premio Carlo Magno a Papa Francesco. Il ruolo positivo dell’Inviato Speciale è stato riconosciuto dal Parlamento europeo in una risoluzione del 15 gennaio 2019.
La COMECE ha lavorato in questi anni per rafforzare il meccanismo UE dedicato alla promozione e protezione del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religiosa in altri Stati. Nel maggio 2020, la COMECE e la Conferenza delle Chiese Europee inviarono una lettera ad Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, incoraggiandola a nominare un inviato speciale per la libertà religiosa.
FOCUS AMERICA DEL NORD
Il governo canadese preme perché il Papa chieda perdono per le scuole residenziali
Marc Miller, ministro dei servizi indigeni del Canada, ha ribadito la richiesta del governo che il Papa si scusi formalmente per il ruolo svolto dalla Chiesa cattolica nel sistema scolastico residenziale nel Paese.
La dichiarazione è arrivata giorni dopo la scoperta dei resti di 215 bambini presso la scuola residenziale indigena di Kamloops, che un tempo era la più grande del Paese, alcuni dei quali di appena tre anni, vittime di abusi.
La Kamloops Indian Residential School è stata la più grande istituzione del suo genere in Canada ed è stata gestita dalla Chiesa cattolica tra il 1890 e il 1969, prima che il governo federale ne assumesse la gestione come scuola diurna fino al 1978, quando è stata chiusa. Quasi tre quarti delle 130 scuole residenziali erano gestite da congregazioni missionarie cattoliche.
Le scuse papali erano una delle 94 raccomandazioni formulate dalla Commissione per la verità e la riconciliazione per superare le ferite causate dagli abusi. Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha chiesto personalmente al papa durante una visita in Vaticano il 19 maggio 2017 di considerare questo gesto.
La questione dello sterminio di nativi nelle scuole residenziali canadese, molte di questa cattoliche, messa in luce da una speciale Commissione per la Giustizia e Riconciliazione e tema che lo stesso Trudeau aveva brandito alla vigilia della visita, anche per mettersi in una posizione di forza rispetto al Pontefice e certificare ancora una volta la laicità del suo governo.
Le “scuole residenziali” sono istituti gestiti da Chiese cristiane dove – a partire dalla metà dell’Ottocento e per quasi tutto il XX secolo – il governo federale trasformò forzatamente 150 mila bambini delle tribù native. Sono almeno 6 mila i bambini morti in queste strutture, in cui si cercava di assimilare forzatamente i bambini allo Stato.
Le violenze sono state anche di più, se si considera che da allora ad oggi sono stati risarciti oltre 64 mila nativi, ma sono stati in 92 mila a chiedere il compenso. Lo Stato canadese ha fatto formali scuse nel momento in ci ha istituito la Commissione.
L’ultima delle scuole residenziali è stata chiusa nel 1996, e la “pagina nera” della storia canadese ha chiamato in causa anche la Chiesa cattolica, che gestiva molte di queste strutture.
Nel 2009 in Vaticano era già avvenuto un incontro tra papa Benedetto XVI e il “Grande capo” dell'Assemblea dei nativi del Canada, Phil Fontaine, organizzato dall'allora presidente della Conferenza episcopale canadese, monsignor James Weisgerber. Benedetto XVI manifestò “il suo dolore e l’angoscia causata dalla deplorevole condotta di alcuni membri della Chiesa”, aggiungendo che “atti di abuso non possono mai essere tollerati dalla società”.
FOCUS NUNZIATURE
Papa Francesco nomina il nunzio in Israele
Il 3 giugno, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Adolfo Tito Yllana nunzio Apostolico in Israele e Cipro e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina. Finora ambasciatore del Papa in Australia, l’arcivescovo Yllana prende il posto dell’arcivescovo Leopoldo Girelli, che dal 13 marzo è stato nominato nunzio in India.
L'Arcivescovo Yllana è nato a Naga City nelle Filippine il 6 febbraio 1948. È stato ordinato sacerdote il 19 marzo 1972 ed è stato incardinato nell'arcidiocesi di Cáceres (Filippine).
Ha conseguito un dottorato in Utroque lure (diritto civile e ecclesiastico).
Entrato nel Servizio Diplomatico della Santa Sede il 1° febbraio 1984, ha prestato servizio nelle Nunziature Apostoliche del Ghana, dello Sri Lanka, della Turchia, del Libano, dell’Ungheria e della Cina. Il 13 dicembre 2001 è stato nominato Nunzio Apostolico in Papua Nuova Guinea e Isole Salomone e il 30 marzo 2006 in Pakistan. Successivamente, il 20 novembre 2010, è stato nominato Nunzio Apostolico nella Repubblica Democratica del Congo e, infine, il 17 febbraio 2015, in Australia.
Papa Francesco nomina il nunzio in Canada
Il prossimo osservatore permanene all'Organizzazione Mondiale della Sanità sarà l'Osservatore della Santa Sede presso le organizzazioni internazionali di Ginevra, ma di certo non sarà l'arcivescovo Ivan Jurkovic, che Papa Francesco ha nominato il 5 giugno nunzio in Canada.
L'arcivescovo Jurkovic era osservatore a Ginevra dal 2016, e in questi anni ha lavorato su diversi dossier cruciali, incluso il global compact sui rifugiati che si è negoziato a Ginevra. Sloveno di origini, l'arcivescovo Jurkovic era stato nunzio presso la Federazione Russa dal 2011 al 2016, e prima ancora aveva già lavorato a Mosca tra 1992 e il 1996, nella rappresentanza della Santa Sede. Poi era stato accreditato come nunzio prima in Bielorussia, poi in Ucraina. A Mosca, aveva preso l’eredità dell’arcivescovo Antonio Mennini, mentre a Ginevra quella dell'arcivescovo Silvano Maria Tomasi, che Papa Francesco ha recentemente creato cardinale.
Papa Francesco nomina il nunzio ad Haiti
L’arcivescovo Francisco Escalante Molina è il nuovo nunzio ad Haiti. La nomina è stata ufficializzata il 4 giugno. Escalante Molina lascia l’incarico di nunzio in Repubblica del Congo e Gabon, e prende il posto dell’arcivescovo Eugene Nugent,
che dal 7 gennaio era nunzio apostolico in Kuwait e Qatar.
Venezuelano, sacerdote dal 1989, Escalante Molina è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1998, ed ha servito nelle nunziature di Sudan, Ghana, Malta, Nicaragua, Giappone e Slovenia.
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