Città del Vaticano , 21 April, 2021 / 2:00 PM
Il 5 febbraio 2021, veniva annunciata da parte di Papa Francesco la nomina di un promotore di Giustizia per la Corte d’Appello vaticana, il magistrato italiano Catia Summaria, a coprire un incarico rimasto vacante dal 2020. Contestualmente, venivano nominati anche altri due giudici di corte d’appello. Ma appena tre giorni dopo, l’8 febbraio, Papa Francesco firmava un motu proprio recante “modifiche in materia di giustizia” che, di fatto, ridimensionava molto il ruolo della Corte d’Appello vaticana. Anzi, de facto sembrava eliminare del tutto il ruolo del promotore di Giustizia.
In che modo? Basta guardare le modifiche del Papa e compararle alla versione originale della legge CCCLI (351), il nuovo ordinamento giudiziario promulgato dal Papa il 16 marzo 2016.
Nella legge CCCLI, si leggeva che “l’ufficio del promotore di giustizia esercita in autonomia e indipendenza le funzioni di pubblico ministero e le altre assegnategli dalla legge”. Nel nuovo testo, è specificato che “l’ufficio del promotore di giustizia esercita in autonomia e indipendenza, nei tre gradi di giudizio, le funzioni di pubblico ministero e le altre assegnategli dalla legge”. E poi ancora: “Nei giudizi di appello le funzioni di pubblico ministero sono esercitate da un magistrato dell’ufficio del promotore di giustizia, designato ai sensi dell’articolo 13, comma 1”.
Non si parla, insomma, del Promotore di Giustizia della Corte di Appello, ma di un solo promotore di giustizia. È un dettaglio, e non si sa ufficialmente se questo sia già stato discusso internamente, se qualche decisione interna del Papa abbia portato ad un equilibrio, se il magistrato Catia Summaria sia poi stata inclusa tra i promotori di giustizia già in forze al Tribunale vaticano. Quest’ultimo fatto è comunque possibile, E, se fosse confermato, sarebbe indicativo di una nuova stagione di protagonismo per i giudici vaticani.
Un protagonismo che diventa evidente con lo scandalo creatosi intorno all’investimento che la Segreteria di Stato ha fatto nel 2018, in un immobile di pregio a Londra. Investimento poi ristrutturato, perché gli accordi firmati non tutelavano la Santa Sede fino in fondo. È stato necessario tagliare gli intermediari, pagare loro quanto stabilito da contratto, e chiedere liquidità all’Istituto per le Opere di Religione per rifinanziare l’investimento. Lo IOR ha detto sì. Poi ha fatto marcia indietro, fatto partire una denuncia, e il Papa ha autorizzato il promotore di Giustizia a procedere in via sommaria.
Il tutto ha portato alla sospensione e successivamente non conferma di sei officiali vaticani. I primi cinque di loro sono stati esposti al pubblico con la pubblicazione di una nota di Gendarmeria che è finita sui giornali. Anche le case di questi officiali sono state perquisite, e ci si chiede se tutto sia avvenuto in accordo con le autorità italiane.
Insomma, sono i giudici dello Stato che hanno preso il comando delle operazioni, stabilendo uno straordinario protagonismo dello Stato di Città del Vaticano. Straordinario, perché non c’era mai stato. Lo Stato serve a sussistere la Santa Sede. E lo Stato è una monarchia assoluta, in cui il Papa decide e stabilisce quello che vuole. Ma la Santa Sede è soggetto internazionale, che firma trattati e convenzioni su diritti umani e giustizia, e che si trova la sua credibilità erosa da questo nuovo protagonismo dei giudici. Quella che è avvenuta è, di fatto, la vaticanizzazione della Santa Sede.
Una vaticanizzazione in salsa italiana, verrebbe da dire, perché il Tribunale vaticano è presieduto da un ex pm italiano in pensione, Giuseppe Pignatone; ha due promotori di Giustizia e un promotore di Giustizia applicato che prestano servizio come avvocati in Italia (Alessandro Diddi; Roberto Zannotti e l’applicato Gianluca Perone). Una vaticanizzazione che sembra tradire un attivismo dei magistrati simile a quello delle procure.
Eppure, in due occasioni i magistrati vaticani si sono trovati a dover ricevere un no dai colleghi di Oltretetvere. La prima, la richiesta di estradizione per Cecilia Marogna, soprannominata la “dama di Becciu”, accusata di aver usato per spese personali denaro ricevuto dalla Segreteria di Stato per consulenze. È stata arrestata, ha fatto due settimane in carcere, quindi la Cassazione ha annullato il provvedimento per via di “un vuoto motivazionale che determina la nullità dell’ordinanza cautelare impugnata, difettando l’esposizione delle specifiche esigenze cautelari di richiesta”.
Quindi, c’è stata la perquisizione della casa di Fabrizio Tirabassi, uno dei cinque officiali vaticani sospesi. Il mandato di perquisizione è stato considerato “nullo”, perché – si legge nella decisione – era un mandato “irrituale”, con “profili di illegittimità evidenti e sostanziale, a cominciare dal fatto che l’ordine di perquisizione sia stato disposto direttamente dalla Procura senza passare al vaglio di un giudice”.
Parole, queste, che mettono in questione lo stesso sistema giuridico vaticano, che ha nel Papa un supremo giudice che può istruire, fare e disfare i processi. Ma ci ha pensato poi un giudice inglese, nelle scorse settimane, a mettere in discussione le indagini stesse. Revocando il provvedimento che aveva congelato i fondi di Gianluigi Torzi, uno degli intermediari, il giudice inglese contestato l’operato dei pm vaticani, sottolineando come la ricostruzione dei fatti era oggetto di mischaracterzation o misinterpretion (errata caratterizzazione o incomprensione).
Ma tutto era iniziato con un altro arresto particolarmente irrituale, quello dello stesso Gianluigi Torzi in Vaticano, dove si era recato per rispondere alle domande della Gendarmeria. E c’era stato anche il caso di Raffaele Mincione, cittadino italiano prelevato in albergo e posto in stato di fermo in Italia.
Se i processi e le indagini sono da fare, colpisce piuttosto la quantità di difetti procedurali che si sono riscontrati, e che hanno portato in tre casi a ribaltare richieste e decisioni.
Da qui, una serie di domande. Una è centrale: può un tribunale vaticano essere composto da giudici part time? Sono esperti, ma di certo non esperti di tutto. Alcuni si occupano di diritto famigliare fuori dallo Stato, e si trovano a fare i giudici di complessi processi finanziari. Fino ad ora, si giustificava il fatto che i giudici fossero part time perché la mole dei processi in Vaticano non era così alta. Ma tutto è cambiato, oggi. La riforma finanziaria ha portato nuove specializzazioni, e ha proiettato il sistema vaticano in un sistema europeo. Possono, allora, giudici part time, chiamati una tantum, essere in grado di guidare indagini complesse come quelle sull’immobile di Londra?
Tra l’altro, non è nemmeno necessario che i giudici siano italiani, perché basterebbe la conoscenza del sistema giuridico vaticano (che non è una copia del sistema italiano, ma viene da un codice giuridico del 1899) ed essere fluenti in italiano. Giudici non provenienti dall’Italia potrebbero internazionalizzare il sistema vaticano.
La strada che si è scelta – e si è visto dalle ultime nomine di Papa Francesco – è quella di mantenere il rapporto con l’Italia.
Altra domanda: questo attivismo giudiziario fa bene alla Santa Sede? La Santa Sede, in effetti, vede la sua credibilità minata da un sistema giudiziario che, in fondo, non comprende le conseguenze istituzionali delle proprie azioni. Le perquisizioni all’AIF e in Segreteria di Stato vaticana sono state al limite irrituali, ma hanno anche suscitato la preoccupazione degli organismi internazionali.
Egmont Group, il gruppo che mette insieme le Unità di Informazione finanziaria di tutto il mondo, ha sospeso la Santa Sede dal circuito sicuro di rapporti di transazioni sospette, con una decisione presa all’unanimità. La Santa Sede poi è tornata nel circuito sicuro Egmont dopo un protocollo di intesa siglato con il Tribunale Vaticano. Se c’è stato bisogno di un protocollo di intesa, significa che c’era bisogno di garanzie.
Il giusto impegno anticorruzione vaticano mostra così anche limiti, e genera dubbi sul modo in cui viene amministrata la giustizia.
Il caso più recente è stato il processo contro l’ex presidente del Consiglio di Sovrintendenza IOR Caloia, condannato per riciclaggio e altri reati minori. Una sentenza pubblicizzata come “storica”, ma che in realtà non è la prima del genere: prima c’era stato un processo contro Paolo Cipriani e Massimo Tulli, ex direttore e vicedirettore dello IOR, concluso anche questo con una condanna per mala gestione. Una condanna da capire, perché faceva seguito ad una assoluzione nel processo civile in Italia.
I nuovi processi mostrano un rinnovato attivismo del Tribunale Vaticano. MONEYVAL, il comitato del Consiglio d’Europa che valuta l’aderenza agli standard di trasparenza finanziaria dei Paesi membri, farà il suo rapporto sulla Santa Sede ad aprile, e questo sarà basato sull’efficacia del sistema giuridico. Vale a dire, quanti processi su quante segnalazioni.
Nei precedenti rapporti, il Tribunale Vaticano era stato accusato di scarsa attività, di non dare seguito alle denunce dell’Autorità di Informazione Finanziaria.
Dai rapporti pubblici si sa che nel 2016 è stata creata una sezione speciale contro i crimini economici e finanziari. Da fonti aperte, risulta che, al 2018, in 6 anni sono state 27 le segnalazioni dell'AIF al Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano con “ipotesi di violazione dell’art. 421 bis c.p” la norma antiriciclaggio. Nove sono stati archiviati e per 6 si è chiesta l’archiviazione. Segno che qualcosa si è mosso. Dal 2018 al 2019, come afferma lo stesso Promotore di Giustizia, Gian Piero Milano, all’inaugurazione dell’anno giudiziario vaticano, c’è stata una significativa opera dell’ AIF con 6 segnalazioni. Di due precedenti segnalazioni si è arrivati all’archiviazione. Nel periodo precedente al 2016 non risultano invece azioni benché la creazione del sistema antiriciclaggio vaticano risalga al 2011.
Questa situazione non favorisce certo la Santa Sede, perché le statistiche di cinque anni non si sanano in un giorno. I recenti processi potrebbero “alzare la media” dei processi, con la possibilità di strappare una valutazione moderatamente più positiva del previsto.
(La storia continua sotto)
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Sono questi i dati con i quali la Santa Sede si presenta a MONEYVAL, che pubblicherà il V rapporto sui progressi della Santa Sede il prossimo 26 aprile . Insieme ad una riforma della giustizia che, al di là del problema dell’accentrare anche la gestione degli appelli sul promotore di giustizia, ha delle questioni su cui si può discutere.
Papa Francesco ha introdotto qualche diritto allo sconto di pena o di pena alternativa a chi ha avuto la condanna. Ma ha anche definito il potere di procedere in contumancia, e ha rafforzato unilateralmente i poteri inquirenti e giudicanti. Il Vaticano non sembra stia andando verso una sistema in cui il diritto alla difesa viene accusato, perché non sembrano esserci, nel testo di riforma, aperture a garanzie procedurali a tutela dell’indagato e dell’imputato, nella direzione di uno Stato di diritto, mentre i magistrati ne escano rafforzati. Un dato simbolico di questo rafforzamento è dato dal fatto che i giudici manterranno persino dopo la pensione “ogni diritto, assistenza, previdenza e garanzia previsti per i cittadini”. Ed è stata loro data una autonomia nell’indagare e nel condannare molto ampia, che si unisce all’arbitrarietà del potere del Papa.
Sono questioni che non passeranno inosservate. Sarà da vedere se MONEYVAL metterà in luce la necessità di avere giudici full time e professionisti; se MONEYVAL noterà magari ancora una volta un divario tra le segnalazioni di transazioni sospette e l’attività del Tribunale; se MONEYVAL darà atto almeno di una buona volontà di cambiare le cose.
Ma resta un dato, concreto: le indagini sull’investimento di Londra sono iniziate un anno e mezzo fa. La Segreteria di Stato ha perso il controllo dei fondi, sei officiali vaticani sono stati sospesi, mentre un cardinale ha dovuto dimettersi persino dalle prerogative cardinalizie per una accusa di peculato, ma ad oggi le indagini non hanno portato ancora nemmeno alla decisione di un rinvio a giudizio o di un non luogo a procedere.
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