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Letture, torna in libreria " Dicono che è risorto" di Vittorio Messori

“Se Cristo non è risorto”, afferma Paolo nella prima lettera ai Corinzi, “allora vana è la nostra predicazione e vana la nostra fede”. Dopo lo scandalo e la follia del Croce, sempre secondo le parole di Paolo, ecco il paradosso di una tomba vuota, di un sepolcro che conteneva un corpo martoriato, ingiuriato da una morte terribile, che invece si mostra totalmente vuoto agli attoniti testimoni. Questo è successo davvero? Se è successo, allora tutto può cambiare nella vita di ciascuno di noi…

Nel giorno del Venerdì Santo, un giorno ancora una volta molto difficile da vivere, per via del tunnel nero della pandemia che stiamo attraversando, la meditazione sul mistero della passione e morte di Cristo, sul mistero del male, del dolore, della fine di ogni cosa, possiede una forte tensione, quasi in maniera naturale, a quel che succede “dopo”, a quello che inizia con il sepolcro vuoto, la pietra rotolata, il sudario adagiato in un angolo. Ed è per questo che quasi altrettanto naturalmente, è questo il momento giusto per riprendere in mano un libro che è ormai diventato un classico: “Dicono che è risorto”, scritto più di vent’anni fa da Vittorio Messori e ora pubblicato in una edizione rinnovata dalla casa editrice Ares.

Dopo “Ipotesi su Gesù”  e l'inchiesta sulla sua passione e morte in “Patì sotto Ponzio Pilato”, Messori indaga il mistero della Risurrezione, tutti testi appunto rieditati dalla Ares. Un “trittico” cristologico, dunque, un percorso personale e nello stesso tempo storico e apologetico,  attraverso lo stile chiaro e “accattivante” del giornalista, unita alla preparazione dell'esperto. Con questo testo l’autore – pressato anche dalle richieste dei suoi stessi lettori -  aveva così chiuso  la trilogia in cui dimostra la storicità della vita e del messaggio di Gesù di Nazaret. Il successo delle precedenti riedizioni garantisce anche per questo saggio e dimostra- in modo confortante -  il costante, profondo interesse del pubblico per questi temi e per l’opera di Messori.

 Del resto, l’autore è sempre stato convinto che ci sia bisogno di grandi testi di apologetica, quasi scomparsa dal nostro orizzonte culturale, anche da quello dei cristiani, senza essere sottoposti ai dettami delle mode culturali del momento. 

In quest’opera, dunque, Messori continua la sua appassionata  ricerca  condotta a partire da documenti inconfutabili e dalla decifrazione di ogni parola evangelica, per rendere ragione del rapporto tra quello che i Vangeli raccontano e ciò che è successo realmente. Si vuole  dimostrare che il Nuovo Testamento rappresenta un documento storico, certo non un libro di poesia, di racconti mitologici, di massime buone per tutti. Come sempre Messori sottolinea la poca “scaltrezza” del racconto evangelico, che sovverte le regole della vita sociale dell’epoca – di tutte le epoche – della mentalità, dell’opportunità. E anche in questo caso  la prima “notizia” della Risurrezione, notizia sconvolgente, viene affidata a delle donne, fatto inaudito, motivo di scandalo. Se si fosse voluto “inventare” una nuova religione, con un “capo” carismatico e affascinante, per convincere le folle a seguirlo, si sarebbe scelto forse qualcuno condannato a morte e alla morte in croce, mettendo poi in giro la voce che sarebbe risorto, per farsi prendere in giro universalmente? E affidare la notizia a delle donne, poi, che non hanno alcun diritto, che non possono neppure testimoniare in tribunale, che possono essere ripudiate e addirittura lapidate, se scoperte a peccare di adulterio. 

Se obiezioni come queste  danno l’idea di una ricerca strettamente ancorata alla concretezza della storia e dell’agire degli uomini, è anche vero, come sottolinea Messori,  che da decenni si è diffuso una specie di programma teologico che ha avuto quale principale obiettivo quello di “demitizzare” il dettato evangelico, di rendere i fatti raccontati astratti, simbolici, universali, quasi incorporei.  L’autore, invece, vuole compiere il processo inverso, ossia restituire corporeità, concretezza, storicità alla vita, morte e resurrezione di Cristo. Restituire dunque corporeità, concretezza alla morte e resurrezione di Cristo, senza cadere nelle secche di uno spiritualismo a se stante, un po’ fai-da-te.  Il “cuore fisico” della Risurrezione, ha sempre spiegato l’autore, è proprio insidiato da questo relativismo montante dello spiritualismo disancorato, disincarnato. “In fondo il cristiano è un materialista”, scandisce Messori, con una di quelle affermazioni che possiedono il sapore forte del paradosso, “non si accontenta di salvare la propria anima, ma vuole salvare anche il corpo”. L’annuncio cristiano proclama proprio la salvezza eterna del corpo e dell’anima,  nell’unità inscindibile di materia e di spirito, di sangue e carne, un fatto unico nella storia delle religioni. Dobbiamo recuperare il senso “fisico” della Resurrezione, altrimenti si trasforma appunto in un bel simbolo, senza consistenza, e svuota di senso lo stesso annuncio evangelico. 

 Dobbiamo anche noi correre come le donne e Giovanni e gli altri apostoli a vedere che la tomba è vuota, che quel corpo non c’è più, perché, come spiegherà l’angelo, non bisogna cercare tra i morti colui che è vivo. Davvero, con le parole di Paolo, se Cristo non è risorto, se non crediamo in questo, vana è la nostra fede. Il libro di Messori ci riporta con forza a questo punto cruciale. Rispondendo  ad un bisogno autentico, che tutta la cultura del relativo, dell’indistinto, ormai dilagante, non riesce  a soffocare.

 

 

Vittorio Messori, Dicono che è risorto, Edizioni Ares, pp.416, euro 19,90

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