Città del Vaticano , 26 March, 2021 / 10:00 AM
Il Cardinale Raniero Cantalamessa lo dice chiaramente: bisogna appianare i venti secoli di distanza che mettiamo tra noi e Gesù, riconoscerlo come persona che vive con noi e nella nostra vita, e guardare al mondo di oggi, anche a quello tribolato dalla pandemia, con uno sguardo di fede per poter risorgere come Gesù, andando verso una vita migliore dopo il sepolcro della pandemia, e non alla vita di prima, come successe a Lazzaro.
Aula Paolo VI, ultima predica di Quaresima prima di quella che sarà la Settimana Santa. In prima fila, Papa Francesco, poi i cardinali e gli officiali di Curia. Tutti con mascherina, tutti. Il Cardinale Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, comincia come al solito con la preghiera dell’Ave Maria in Latino. E centra la sua predica sull’amore di Gesù, a partire proprio dal riconoscere Gesù come persona. Perché Gesù è una persona, non un personaggio.
“Il personaggio – sottolinea il Cardinale - è uno di cui si può scrivere quanto si vuole, ma con il quale non è possibile parlare, e per la grande maggioranza dei cristiani Gesù è un personaggio. È oggetto di dottrine, dogmi, dottrine o eresie, crediamo che sia presente nell’Eucarestia… ma se non sviluppiamo una relazione personale con lui. Ci tocca le mente, ma non ci scatta il cuore. Inconsciamente mettiamo venti secoli di distanza tra noi e lui”.
Ma da dove nasce questo concetto di persona? Il Cardinale Cantalamessa sottolinea che tutta la storia della cristianità si può riassumere in una frase degli Atti degli Apostoli, riguardo una discussione su “un certo Gesù che è morto e che Paolo sosteneva essere vivo”. “Gesù – sottolinea - non è un personaggio, una persona, vive secondo lo spirito, non secondo la carne, il che è anche meglio, perché gli permette di vivere dentro di noi, non solo accanto”.
Il Cardinale Cantalamessa guarda indietro a come si è arrivati al dogma di Gesù “vero Dio e vero uomo”, sottolinea che la ricezione di quel dogma è stato oggetto di diatribe secolari, ma è anche perché “per rivitalizzare il dogma dobbiamo mettere in luce la sua dimensione soggettiva ed esistenziale”.
“San Gregorio Magno – afferma il Cardinale Cantalamessa - dice che la scrittura cresce con chi la legge, e il dogma è lo stesso, è una struttura aperta, cresce e si arricchisce nella misura in cui la Chiesa si trova a vivere nuove problematiche e nuove culture”.
E aggiunge: “La Chiesa può leggere tutto in modo sempre nuovo, ed è il segreto dell’eterna giovinezza della tradizione. Jaroslav Pelikan ha scritto che la tradizione è la viva fede dei morti, la fede dei padri che continua a vivere, mentre il tradizionalismo è la morte fede dei viventi”.
Per il Cardinale, “oggi nessuno crede che Gesù non sia una persona. C’è chi nega che sia una persona divina, ma l’unità stessa della persona di Cristo non è contestata da alcuno. La cosa più importante non è tanto l’oggettivo una, quanto il sostantivo persona. Non è tanto il fatto che Cristo sia uno e identico, ma che sia una persona, perché questo significa scoprire e proclamare che Gesù Cristo non è una idea”.
Come si rivitalizza il dogma di Gesù vero Dio e vero uomo? Prima di tutto partendo dalla Bibbia, dallo straordinario incontro che ha l’apostolo Paolo con lui e che “venti secoli non hanno esaurito la forza”.
Ma si rivitalizza anche attraverso il conoscere Gesù come persona. Il cardinale ricorda il tempo dei suoi studi, quando conosceva “tutto di Gesù, ma non conoscevo Gesù in persona”, finché lesse la frase di San Paolo: “Perché io possa conoscere Lui”.
E questo cambiò la sua prospettiva, “era come incontrare una persona dal vivo dopo che uno per anni ne ha conosciuto la fotografia. Conoscevo libri su Gesù, dottrine su Gesù, definizione, ma non conoscevo lui persona vivente, presente, quel tu che mi stava davanti, non conoscevo lui quando mi occupavo di lui come storico della Chiesa. Avevo avuto una conoscenza impersonale della persona di Cristo”.
Perché allora Cristo è Trinità? Perché “la vera personalità consiste nel recuperare se stesso immergendosi nell’altro. La persona è persona quando si apre a un tu e prende coscienza di sé. Essere persona è essere in relazione, e questo vale per le persone della trinità che sono pura relazione, ma vale anche per ogni persona nell’ambito del creato. La persona non si conosce nella sua realtà se non si entra in relazione con essa. Dobbiamo raggiungere la persona stessa e mediante la fede toccarla”.
È qui che si deve riconoscere Gesù come persona e non come personaggio, raccogliendo l’invito ad incontrarlo e superando le tentazioni che l’incontro sia o già avvenuto, o troppo irraggiungibile perché possa avvenire. È un incontro che passa proprio attraverso la Trinità, perché è in quel mistero, dice il Cardinale Cantalamessa, che si racchiude l’amore di Dio.
“Chi ama Dio – si chiede il Cardinale - per essere definito amore? – Ama l’uomo. Allora Dio è amore da qualche milione di anni. Dio è amore perché ama l’universo, allora è amore da qualche miliardo di anni. E amava da sempre perché da sempre aveva un figlio che amava di amore infinito”.
Per questo, “il mistero più grande e più inaccessibile alla mente umana non è che Dio è uno e trino, ma che Dio è amore”. Un mistero da cui “non abbiamo tratto conseguenze”, e si nota quando, pregando il Padre Nostro, al “sia fatta la tua volontà”, lo pronunciamo come “se non se ne possa fare a meno”, mostrando l’idea “terribile di un Dio” che ci prepara sempre il peggio.
Eppure, il concetto di persona – ha spiegato il teologo ortodosso Zizioulas . “è figlio diretto della dottrina della verità”, perché è un amore “che non cerca il proprio interesse” e che “si trova nella croce di Cristo”, il quale “ha dato se stesso, che è vita, sangue, onore per me. È un abisso nel quale ci si perde”.
Il rapporto di amore con Cristo ha “un significato particolare per i pastori della Chiesa”, in quanto – afferma il predicatore – “l’ufficio del pastore trae la forza segreta dall’amore per Cristo. L’amore lo rende una cosa sola con la roccia che è Cristo”.
L’apostolo Paolo – chiosa Cantalamessa – nella seconda lettera ai Corinzi, “passa in rassegna tutte le prove attraversate, constata che nessuna è forte da reggere il confronto con l’amore di Cristo e conclude che siamo più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati”.
Così facendo, “Paolo ci suggerisce un metodo di guarigione interiore basato sull’amore, ci invita a portare a galla le angosce del nostro cuore, le paure dell’avvenire, quel difetto fisico e morale che non ci fa accettare noi stessi, quel torto subito, la sorda opposizione, una figuraccia del passato, esporre tutto alla luce del pensiero che Dio mi ama e provare che non c’è nulla che resista, e concludere come Paolo ‘Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi’ oppure ‘Dio mi ama e tanto basta’.”
Conclude il Cardinale: “Dobbiamo guardare con occhi di fede il mondo che ci circonda, anche oggi che l’uomo ha acquisito il potere di sconvolgere il mondo. Quello che Paolo chiama altezza sono per noi oggi l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo”.
E “in questo momento preciso quell’infinitamente piccolo tiene in ginocchio l’umanità. Tra una settimana sarà Venerdì Santo. Risorgendo, Gesù non è tornato alla vita di prima come Lazzaro, ma ad una vita migliore. Speriamo che sia così anche per noi, che il mondo esca migliore dal sepolcro della pandemia”.
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