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Un servizio di EWTN News

Nuovo patriarca ortodosso di Serbia, gli auguri del Cardinale Koch

Il nuovo patriarca di Serbia Porfirije

Con il patriarca Irenej, Papa Francesco diceva di avere un bel rapporto, e comunque lo tenne in considerazione al punto di bloccare una canonizzazione, quella del Cardinale Aloijzje Stepinac, ormai pronta, con miracolo riconosciuto, per mettere su una commissione mista cattolico-ortodossa e fugare i dubbi di Belgrado sull’operato del Cardinale dopo la guerra. Sarà da vedere se questo rapporto ci sarà anche con il nuovo patriarca ortodosso di Serbia, Porfirije, che è stato eletto lo scorso 18 febbraio per prendere il posto del deceduto Irenej.

Lo spera di certo il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che in una lettera indirizzata al nuovo patriarca auspica di poter “portare avanti la nostra collaborazione, già proficua con i precedenti Patriarchi, e di cementare il nostro impegno a favore delle relazioni tra le nostre Chiese”, augurandosi anche di “continuare a lavorare insieme in diversi campi della vita ecclesiale e culturale, consci che lo scopo ultimo del dialogo è la realizzazione principale del desiderio principale di Gesù Cristo Nostro Signore, ovvero la piena comunione di tutti i discepoli”.

Il messaggio del Cardinale Koch ha molti significati. Racconta, prima di tutto, di un rapporto che la Santa Sede vuole portare avanti. Nessun Papa è mai stato in Serbia, complice una certa chiusura della Chiesa ortodossa locale, ma già si sono fatti i passi perché Papa Francesco possa essere il primo Papa a visitare il Paese, magari già nel 2021. E sono passi che sono stati fatti anche attraverso una visita in Serbia del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, durante la quale aveva incontrato anche il Patriarca Irenej, a testimonianza dell’ottimo lavoro di relazioni che ci sono tra i due Paesi. Era il 2018.

Da allora, molti passi avanti sono stati fatti, e Papa Francesco ha persino concesso una intervista a Republika, il quotidiano più diffuso nel Paese, per celebrare l’anniversario di relazioni diplomatiche. La morte lo scorso 20 novembre del Patriarca Irenej per coronavirus, ma comunque a 90 anni, non ha fermato questo dialogo che passa attraverso l’ecumenismo. E, in fondo, che i viaggi ecumenici siano un obiettivo lo testimoniano i viaggi di Papa Francesco in Paesi a maggioranza ortodossa, un trend cominciato forte nel 2019 (Bulgaria, Macedonia del Nord, Romania), ma che sarebbe dovuto continuare nel 2020 con un passaggio in Montenegro, se la pandemia non avesse fermato ogni viaggio programmato nel 2020.

Ma chi è il nuovo Patriarca di Serbia? Porfirije Peric, 59 anni, metropolita di Zagabria e Lubiana, è stato eletto secondo l’antica tradizione ortodossa di un sorteggio tra i tre candidati principali. Gli altri due erano il vescovo Irinej (Bulović) o il vescovo Ioannikij (Michović). Porfirije è uno dei vescovi più giovani della Chiesa ortodossa serba, con lunghi studi teologici alle spalle, con specializzazione ad Atene e una certa considerazione nel mondo della comunicazione, essendo stato anche a capo di una agenzia di radiodiffusione.

Tra il 2010 e il 2011 è stato cappellano militare, quindi coordinatore della cooperazione tra Chiesa Ortodossa Serba ed esercito Serbo, e sei anni fa era stato nominato metropolita di Zagabria, un posto complesso per via dei difficili rapporti tra la Chiesa cattolica croata e la Chiesa ortodossa serba, soprattutto a causa dell’affaire Stepinac, ma non solo. Il metropolita Porfirije, però, si è fatto conoscere per aver portato una politica dei piccoli passi e del dialogo.

Una politica portata avanti anche per quanto riguarda il dialogo con Roma. Il presidente Vucic aveva aperto alla possibilità di un viaggio papale a Belgrado, e Porfirije non aveva chiuso all’idea, dando così uno spazio di manovra all’arcivescovo Luciano Suriani, nunzio apostolico a Belgrado, che sta lavorando al progetto. Porfirije, da metropolita, poteva puntare a mediare tra l’ala più oltranzista del Sinodo e quella più moderata. Da patriarca, potrebbe decisamente prendere una direzione favorevole a quest’ultima.

Per quello, gli osservatori hanno subito sottolineato come l’elezione di Porfirije potrebbe essere una speranza per Roma. Tutto starà a vedere come gestirà i rapporti con il Santo Sinodo. La Chiesa ortodossa serba ha 10 milioni di fedeli, quasi 50 eparchie ed è considerata una delle, se non la, “sorella preferita” del Patriarcato di Mosca. Va ricordato che la Chiesa ortodossa è composta da diverse Chiese autocefale, citate nei dittici (nelle preghiere) in base all’importanza storica. Prima è il Patriarcato ecumenico, il Patriarcato di Mosca è il quinto (il primo dopo le Chiese più antiche), mentre Belgrado è quinta o settima a seconda delle preghiere.

La vicinanza tra Mosca e Belgrado divenne evidente nel 2018, quando il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli decise di concedere l’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina, creando uno strappo con Mosca che considerava l’Ucraina suo territorio canonico. Belgrado si schierò subito con Mosca, anche a causa di una situazione analoga che vivono con la Chiesa di Macedonia (che ha una autocefalia non riconosciuta però dalla sinassi delle Chiese ortodosse) e il Montenegro, che la sta rivendicando, entrambe considerate da Belgrado come parte indivisibile del suo territorio canonico. E c’è poi il problema del Kosovo, dove alcuni punterebbero ad una Chiesa nazionale, creando non poche tensioni in un Paese a maggioranza musulmano e considerato dai serbi come la propria terra madre, visto che il patriarca serbo è anzitutto “arcivescovo di Pec”, sede del Kosovo dove si trova lo storico monastero patriarcale, e poi “metropolita di Belgrado e Karlovac” e “patriarca di Serbia”.

Il sorteggio, dunque - che si era cercato di evitare anche su suggerimento del defunto patriarca Irenej, il quale aveva segnalato la possibilità di un voto segreto – ha consegnato una figura che potrebbe dare una definitiva svolta alla storica chiusura della Chiesa ortodosso serba. E le tensioni non sono mancate, considerato che il presidente del Sinodo, il vescovo Lavrentij, si è dovuto ricoverare all’improvviso per una reazione negativa al vaccino anti-COVID, sostituito dal vescovo Vasilij.

Un segnale negativo, per i fedeli, che si trovano in un Paese già profondamente diviso, in cui la criminalità organizzata è diffusa ai massimi livelli di organizzazione, mentre la questione del Kosovo, autoproclamatosi indipendente dal 2007, non manca di suscitare tensioni. Il presidente Vucic era preoccupato che le agitazioni intraecclesiali potessero andare a criticare il suo lavoro diplomatico, e in particolare l’accordo di cooperazione tra Belgrado e Pristina siglato recentemente con la mediazione di Washington. L’elezione di Porfirije, che non è stato mai nemmeno sulla linea dura riguardo il Kosovo, potrebbe aiutare anche il governo.

Porfirije, dal canto suo, non ha mancato di lanciare segnali di distensione al mondo serbo. Dopo la morte di Irenej, era apparso in televisione per sottolineare che “il popolo russo è come una grande nave, che trasporta insieme noi e l’identità e la fede slava orientale. Abbiamo gli stessi valori e le stesse idee sul mondo”. Aveva però aggiunto che la stessa unità “con i greci e gli ortodossi”, anche senza i legami di sangue che accomunano i serbi ai russi.

Nelle sue dichiarazioni subito dopo l’elezione, il patriarca Porfirije ha affermato di volere che “la nostra Chiesa Ortodossa Serba viva la sua vita fino in fondo, e che ogni cristiano ortodosso viva la vera libertà, la libertà in Gesù”. Ha aggiunto, in un discorso programmatico, che “la missione della Chiesa è di costruire la pace. Se abbiamo la pace di Dio con noi, saremo riconciliati con i nostri esseri umani e saremo riconciliati con noi stessi”.

Porfirije ha poi ricordato che nel 2014, nominato metropolita di Zagabria e Lubiana, aveva detto che non si sarebbe mai arreso nel lavorare per costruire ponti, mettere le persone in contatto e stabilire un dialogo con chiunque. E – ha aggiunto – “attraverso quel dialogo, mi sono fatto amici, e mi sono convinto che sia la Chiesa Serba che il popolo Serbo li ha guadagnati”.

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