Dublino, 18 February, 2021 / 6:00 PM
Lo chiamano “morire con dignità”, ma è piuttosto un suicidio assistito, una possibilità data ai malati terminali di decidere tempi e modi della propria morte. Succede in Irlanda, dove la nuova legge ha suscitato il parere contrario dei vescovi. I quali, in un “Parere” inviato al Parlamento, hanno sottolineato: “Il suicidio assistito riflette un fallimento della compassione da parte della società. È un fallimento nel rispondere alla sfida di prendersi cura dei malati terminale mentre si avvicinano alla fine della propria vita”.
Il Dying with Dignity Bill 2020 prevede che le persone con malattie terminali progressive possano avvalersi di assistenza medica per terminare la loro vita. Tutto deve essere controllato e monitorato, e prima di dare l’assenso due medici devono verificare la malattia.
I vescovi non sono rimasti in silenzio, e hanno inviato un parere all’Oireachtas Eireann, il Parlamento sulla Repubblica di Irlanda. Si legge nel parere: “Qualunque sia la prognosi e per quanto limitata sia la nostra capacità, il nostro valore come persone è radicato in ciò che siamo piuttosto che nell’aspettativa di vita o nella nostra capacità di raggiungere determinati standard di prestazioni fisiche o mentali”.
I vescovi hanno chiesto al Parlamento di valutare se in tutta Irlanda ci siano “adeguate prestazioni di cure palliative e, in tal caso, se vi siano sufficienti energie investite per far conoscere la loro disponibilità e il loro scopo”, incoraggiando dunque a diffonderle perché questa permetto di raggiungere “una fine della vita dignitosa e pacifica”.
Soprattutto, i vescovi chiedono di non procedere nell’iter del disegno di legge, nella convinzione che “abbiamo la responsabilità morale di prenderci cura del nostro prossimo secondo l’immagine evangelica del Buon Samaritano”.
Anche perché i vescovi lo dicono senza mezzi termini: “Questo disegno di legge
prevede un’approvazione e un’agevolazione da parte dei medici al suicidio”. Per questo, hanno scritto, “i legislatori devono riconoscere onestamente la differenza e chiamare le cose con il loro nome”.
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