Bagdad, 12 January, 2021 / 6:00 PM
“Siete tutti fratelli”. È questo passaggio del Vangelo di Matteo (23,8) a fare da motto al prossimo viaggio di Papa Francesco in Iraq. Il motto del viaggio è stato rivelato insieme al logo l’11 gennaio dal Patriarcato di Babilonia dei Caldei. E, sin dall’inizio, rappresenta una dichiarazione di intenti precisa: il Papa viene a sviluppare l’idea di fraternità, facendo del viaggio in Iraq una sorta di viaggio “gemello” a quello negli Emirati Arabi Uniti nel 2019.
Nell'ultima intervista concessa, Papa Francesco ha fatto sapere che non sa se il viaggio in Iraq, annunciato per il 5-8 marzo, potrà effettivamente avere luogo. Ma già all’annuncio del viaggio, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni si era peritato di far sapere che il programma del viaggio avrebbe tenuto conto della diffusione della pandemia.
E certo, il viaggio è desiderato dal Papa, che lo aveva preannunciato ad una riunione della ROACO nel 2019. Un comitato preparatore si era subito messo in moto, spinto dal Cardinale Rafael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei. E le proposte sul tavolo erano molte. A partire proprio dall’idea di replicare la Dichiarazione della Fraternità Umana di Abu Dhabi, ma questa volta con il leader dell’Islam sciita al-Sistani, e magari a Najaf, città roccaforte di quella corrente islamica. La dichiarazione di Abu Dhabi, infatti, era stata sottoscritta con l’Islam sunnita, di cui il Grande Imam di al Azhar è uno dei più alti rappresentanti.
Non c’è Najaf tra le città annunciate per il viaggio, ma il Cardinale Sako ancora spera che una tappa si possa organizzare. Il logo presenta l’Iraq con i suoi antichi simboli: la mappa del Paese, i fiumi Tigri ed Eufrate, la palma. La colomba della pace vola sulle bandiere di Santa Sede e Iraq, e reca nel becco un ramoscello d’ulivo a rappresentare un desiderio di pace completa. E poi, “Siete tutti fratelli”, scritto in arabo, caldeo e curdo”.
Il viaggio del Papa è particolarmente atteso dalle autorità irachene, che sperano anche che la visita papale sia di aiuto per risolvere una situazione particolarmente difficile. E l’annunciata visita ha portato, per la prima volta quest’anno, le autorità irachene a proclamare il Natale tra le festività nazionali.
Un primo programma prevede l’arrivo del Papa a Baghdad il 5 marzo, dove incontrerà autorità civili e clero cattolico del Paese. Il 6 marzo, è previsto il trasferimento ad Ur, la città di Abramo, dove si terrà una preghiera comune interreligiosa con cristiani, ebrei e musulmani, ma anche mandei e Yazidi. La sera del 6 marzo, Messa nella cattedrale calde di Baghdad. Il 7 marzo, il Papa si trasferirà ad Erbil, e lì incontrerà le autorità civili del Kurdistan. Da lì si trasferirà a Mosul e Qaraqosh, visiterà i lavori di ricostruzione e incoraggerà i cristiani a tornare nelle loro case. La Messa sarà celebrata la sera del 7 marzo ad Erbil, in uno stadio. L’8 marzo, il Papa tornerà a Roma. La speranza del Patriarca caldeo è che il Papa trovi il tempo di fare tappa a Najaf, per l’incontro con le autorità sciite.
Intanto, proseguono gli incontri per la preparazione del viaggio. Il 9 gennaio, Muhammad al Halbousi, presidente del Parlamento iracheno, ha ricevuto l’arcivescovo Mitija Leskovar, nunzio in Iraq, per discutere dei preparativi del viaggio, ma anche della protezione dei cristiani in Iraq, e in particolare della sottrazione illegale dei cristiani, aiutata dalla connivenza di funzionari corrotti e disonesti.
La questione è soprattutto politica, tanto che il leader sciita iracheno Muqtada al Sadr, capo della formazione politica sadrista che gode di una forte rappresentanza nel Parlamento di Baghdad, ha disposto la creazione di un Comitato incaricato di raccogliere e verificare notizie e reclami riguardanti i casi di esproprio abusivo di beni immobiliari subiti negli ultimi anni da proprietari cristiani in diverse regioni del Paese. È un tema, quello della restituzione delle case, che al-Sadr porta avanti dal 2016.
Al Sadr è noto per essere stato anche il fondatore dell'esercito del Mahdi, la milizia – ufficialmente sciolta nel 2008 - creata nel 2003 per combattere le forze armate straniere presenti in Iraq dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Al Sadr ha comunque operato diversi cambi di passo negli ultimi anni.
Per il governo iracheno, il ritorno dei cristiani nei territori precedentemente occupati dall’ISIS è necessario per aiutare alla ricostruzione del Paese, e del tema ha parlato anche il presidente Barnahm Salih con Papa Francesco a gennaio 2020.
Ciononostante, sono molti i problemi organizzativi del viaggio cui stanno lavorando monsignor Dieudonné Datonou, l’officiale di Segreteria di Stato cui è stata affidata l’organizzazione di questo viaggio, aiutato da monsignor Mauricio Rueda Beltz, già responsabile dei viaggi papali e ora sottosegretario della Sezione per le Rappresentanze Diplomatiche.
Il programma del viaggio prevede trasferte impegnative in zone con poche infrastrutture, e tuttora colpite dal dramma della pandemia. Non solo. La situazione in Iraq è ancora complessa. Diversi missili hanno colpito il centro di Baghdad appena prima di Natale. Si registra almeno un arresto o uccisione di un membro dell’ISIS al giorno, ma gli attentati continuano. Nemmeno l’economia se la passa tanto bene: la moneta irachena, il dinaro, si è svalutato del 50 per cento, il crollo del prezzo del petrolio ha diminuito drasticamente le entrate, si pensa per la prima volta di far pagare le tasse invece di distribuire i dividendi petroliferi. Ci sono 40 milioni di iracheni, il doppio degli Anni Ottanta, ma le infrastrutture sono peggiorate.
Il 2020 caratterizzato dal coronavirus ha fatto seguito a a un 2019 turbolento, con proteste in stile “primavera araba” che hanno colpito i partiti iracheni, attaccati perché considerati corrotti.
La comunità cristiana si è ridotta del 75 per cento. Erano 1,5 milioni al tempo di Saddam Hussein, ora ne sono rimasti forse 5400 mila.
Il viaggio di Papa Francesco si include in questo contesto. Sarà eventualmente realizzato il sogno di Giovanni Paolo II, che non fu possibile nel 2000 per ragioni politiche.
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