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Un servizio di EWTN News

Thomas Becket, il martirio di 850 anni fa e quel libretto ancora da capire

La tomba di Becket a Canterbury

Per celebrare l’850esimo anniversario della morte, la sua tunica insanguinata, custodita in Santa Maria Maggiore a Roma, è stata prestata alla Chiesa anglicana, un segno di quella “diplomazia delle reliquie” cara a Papa Francesco. Durante l’anno, non ci sono state tutte le celebrazioni previste, perché la pandemia del coronavirus ha bloccato tutto. Ma, di certo, la memoria di San Thomas Becket, l’arcivescovo di Canterbury passato a fil di spada da quattro cavalieri del re Enrico II che si lamentava del fatto che il prelato incessantemente difendesse la libertas ecclesiae, è più viva che mai.

In occasione dell’anniversario, la BBC ha mandato in onda un documentario che ruota tutto intorno al mistero di un libretto che l’arcivescovo Becket portava sempre con sé, libretto che pare avesse anche al momento del martirio. Certamente, dopo il martirio i rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica fino allo scisma di Enrico VIII, quattro secoli dopo l’assassinio di Becket, le cui reliquie furono disperse. Alcune erano ad Esztergom, in Ungheria. Due sono finite a Mottola, in Puglia, che ne ha fatto il suo santo patrono.

Ken Follet, nel suo celeberrimo I Pilastri della Terra, descrive l’arcivescovo Becket come “alto, snello, molto bello, con la fronte ampia, gli occhi luminosi, la carnagione chiara e i capelli scuri. Doveva esser sui 50-51 anni. Aveva una espressione vivace e serena. Era un uomo molto attraente, e questo spiega in parte la sua folgorante ascesa alle più umili origini”.

Becket non era di umili origini. Era nato a Londra il 21 dicembre 1118, figlio del mercante Gilbert Becket di Thierville e di Matilda di Mondeville. Il padre era un mercante, la sua famiglia borghese e benestante. E lui può studiare a Merton e Parigi, e poi viene inviato dall’arcivescovo di Canterbury Teobaldo di Beck, a studiare diritto canonico ad Auxerre, avendo riconosciuto nel suo assistente una grande intelligenza.

Nel 1154, diventa arcidiacono di Canterbury. Enrico II ne fa il Cancelliere del Regno, e lui lo sostiene nelle sue iniziative che vanno a limitare il potere dei feudatari in favore della corona.

Nel 1161, s. Nel 1164, la frattura: con le costituzioni di Clarendon del 30 gennaio 1164, il re rende chiese e monasteri feudi reali, sottopone vescovi e abati agli oneri fiscali, blocca l’autorità del Papa in Inghilterra.

Becket, che pure aveva sostenuto le riforme anti-feudatarie di Enrico II, rifiuta di apporre il suo sigillo di Cancelliere alla legge. Quando le tensioni cominciano a diventare insopportabili, si trasferisce in Francia, in esilio, ben accolto da Luigi VII, che è nemico di Enrico II.

Torna in Inghilterra dopo sei anni, e riprende la sua battaglia per la libertà della Chiesa. A tavola, una sera, il re sbotta: “Nessuno mi libererà da questo prete maneggione?” Non è un ordine, ma viene interpretato come tale. Così, il 29 dicembre 1170, quattro cavalieri del re entrano nella cattedrale di Canterbury dove Becket sta pregando e lo passano a fil di spada.

La morte di Becket è uno shock dell’opinione pubblica. Martire acclarato, se ne diffonde subito il culto, mentre Enrico II non può fare altro che un atto di pubblica penitenza. Alessandro III lo canonizza già nel 1173, e la straordinaria mole di pellegrinaggi ispirerà “I racconti di Canterbury”, opera scritta da Geoffrey Chaucer nel XIV secolo.

La tomba di Becket viene distrutta a seguito dello scisma anglicano del 1532, e la tunica insanguinata è l’unica cosa che si salva, e che arriva a Santa Maria Maggiore. L’Inghilterra ha nuovi martiri, il Cardinale John Fisher (1469 – 1535) e Thomas More (1478 – 1535), canonizzati da Pio XI nel 1935. Ma il culto di Becket, le cui reliquie si diffondono in tutto il mondo, resta centrale.

Oggi, resta il mistero del Little Book, il libretto che portava sempre con sé e che probabilmente aveva anche mentre pregava nel transetto nord-occidentale della cattedrale. Un libretto che Anne Josephine Duggan, medievalista del King’s College di Roma, preferisce chiamare “codicella”.

Il libretto consisteva in un salterio di salmi dell’XI secolo, ma sono le iscrizioni del libretto stresso, alcune delle quali andate perdute.

Ma perché il libro è così importante? Perché Becket ne parla spesso. Arrivato in Francia dopo la fuga dalle prigioni di Nottingham, ne parla come una delle cose cui tiene di più. Chiede di farselo recapitare da Herbert di Bosham, insieme al denaro di cui ha bisogno, nell’abbazia di St. Bertin, vicino Calais, dove era rifugiato.

Ci teneva, Becket, a quel little book che portava con sé persino a letto, e che non è stato messo nella lista di libri e manoscritti nella cattedrale probabilmente perché era considerato una reliquia.

Tra le iscrizioni, quella finale che dice che il libretto apparteneva un tempo ad N. Piuttosto che cercare di capire chi fosse N., Christopher De Hamel, uno dei ricercatori più conosciuti su Becket e che sul tema ha scritto “Il libro nella cattedrale”, ha spiegato che l’iscrizione sarebbe essere la trascrizione di una specie di dittongo che può stare per Aelfrig e Aelfheah (Elfego), predecessori di Thomas Becket come arcivescovi di Canterbury. Una interpretazione che troverebbe riscontro nel fatto che Becket dedica l’omelia del Natale 1170, quattro giorni prima di subire il martirio, proprio a Elfego, poi canonizzato da Gregorio VII, e ad Elfego affida la sua anima sul punto di morire.

Herbert di Bosham scrive nella biografia di Becket che questi gli avesse chiesto “di prendersi cura soprattutto di quel libretto”, una eccezione sostanziale per un uomo che era indifferente agli oggetti.

Così, a 850 anni dalla morte, resta il mistero di quel libretto e della sua importanza. Non tutto è stato ancora compreso.

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