Venezia, 23 November, 2020 / 2:00 PM
E’ il 2 aprile 1715; all’approdo degli Alberoni, dinanzi a Venezia, arriva una piccola imbarcazione, piuttosto malandata, dopo la lunga traversata dal Peloponneso fino alle sponde veneziane, la San Cirillo. Una nave adoperata per i commerci tra Venezia e l’Oriente, che a volte trasporta anche passeggeri.
Questa volta ci sono, sul ponte, dodici monaci, dalle lunghe barbe nere. Sono guidati dal padre Pietro Manouk, detto Mechistar, ossia il consolatore, sono armeni e hanno alle spalle molte traversie. Ma ora sono felici: la laguna, in quell’ora dorata del tramonto, appare loro come una visione, una promessa di pace e serenità.
La lontana Armenia è stata abbandonata per via di minacce e persecuzioni messe in atto dall’impero ottomano e anche da contrasti tra armeni apostolici e armeni cattolici. Mechistar è riuscito rocambolescamente a sfuggire agli attacchi, a imbarcarsi per Venezia per raggiungere la Serenissima. La speranza è di poter fondare un monastero e poter qui, nel cuore della laguna, ridare un volto e un corpo, sia pure in miniatura, della patria perduta. Ancora di più: da qui, da un lembo di terra veneziana, ridare forza e vigore all’idea di nuova Armenia. Una patria spirituale e culturale che niente e nessuno potesse più colpire, disgregare, disperdere.
Sarà proprio l’isola di san Lazzaro l’epicentro della rinascita della cultura e della spiritualità armena, che si irradierà in tutto il mondo. Scriverà Aldo Palazzeschi che essa è un’ .
Quella piccola isola aveva anch’essa una storia travagliata. Nel IX secolo ci erano vissuti i benedettini di Sant’Ilario. In seguito l’isola fu trasformata in ospizio per malati, poi a lebbrosario e prese il nome di San Lazzaro, protettore dei lebbrosi. Un luogo di pena e di dolore. Venne abbandonata e si ridusse in uno stato di totale abbandono fino ai primi anni del 1700, quando la Repubblica di Venezia, concesse a padre Mechitar e ai confratelli dell’ordine da lui fondato, all’Ordine di stabilirsi sull’Isola di San Lazzaro, che peró in quel tempo era in grave stato di abbandono. I monaci risistemarono tutto e trasformarono le strutture già esistenti in un bellissimo convento.
Venezia aveva deciso di concedere ai monaci fuggiaschi finalmente un porto sicuro e loro riuscirono a raggiungerlo, dopo tanti affanni. Ma perché proprio Venezia, per ricominciare? La Serenissima, in quel tempo, era uno dei più importanti centri di stampa d’Europa, e compito dei padri era quello di preservare la cultura di in popolo, quello armeno, perseguitato da sempre. Vi fondarono una tipografia poliglotta, che divenne nel tempo un importante centro di cultura. Del resto, erano antichissimi e solidi i rapporti tra il popolo armeno e i veneziani, e non solo per motivi di commercio. Padre Mechitar vi sviluppò le sue iniziative di carità e di cultura, raccogliendo giovani armeni, istruendoli e provvedendo anche alla diffusione del sapere nel lontano Oriente con l’invio delle migliori opere ascetiche, letterarie e scientifiche, tradotte dalle varie lingue in armeno poi stampate nella tipografia nata nel 1789.
L’isola crebbe velocemente in fama e importanza. Diventò una meta per intellettuali, artisti, religiosi. Di qui passò anche il grande poeta inglese Lord Byron, che si fermò ben due anni per studiare l’armeno, prima di partire alla volta della Grecia e combattere assieme ai greci per l’Indipendenza dai turchi. E qui sarebbe arrivato anche un personaggio particolare, il campanaro “Bepi del giasso” (Bepi del ghiaccio) che, in realtà sarebbe stato niente di meno che Stalin. Il quale nel 1907 sarebbe stato infatti, sotto mentite spoglie, nell’Isola degli Armeni per qualche tempo prima di raggiungere Lenin, in esilio in Svizzera. La leggende vuole che Stalin, molto abile nel camuffamento, costretto a passare per l’Italia per oltrepassare i confini elvetici, abbia fatto tappa dapprima ad Ancona e poi, appunto, a Venezia. La sua conoscenza dell’armeno lo avrebbe favorito nella selezione di un nuovo campanaro nell’isola.
Oggi, visitando il monastero, si è avvolti da un’atmosfera mistica e serena. Quando la giornata è serena, dal giardino dell’isola lo sguardo spazia tutt’intorno, dai profili del Lido a quelli delle cupole della città, mentre il riflesso del sole si rinfrange sulle brevi onde del mare. Difficile che la mente non riesca a volare oltre l’orizzonte e varchino le soglie di una paese lontano, reale e fantastico allo stesso. L’Armenia è qui, in questi scampoli di giardino, in questi cortili raccolti, corridoi, chiostri, mentre un monaco accompagna i visitatori a scoprire i tesori qui custoditi. Ma l’Armenia è oltre queste mura, si estende oltre le mura di San Lazzaro e oltre Venezia. Da qui, da questa piccola, luminosa oasi è possibile partire per un viaggio nella lunga e tempestosa storia di questa prima nazione cristiana, nella sua cultura plurimillenaria. Grande 7.000 mq, San Lazzaro degli Armeni ha al suo centro un complesso ecclesiastico con un grande chiostro, una chiesetta, una biblioteca che contiene 170.000 volumi e 4.500 manoscritti, una tipografia fondata nel 1789 che stampa ancor oggi in 36 lingue, un grande giardino dove accanto ai cipressi amava sostare Byron e un roseto dai cui petali di rosa i padri mechitaristi ottengono una delicata marmellata di rose che vendono ai visitatori. Nel cortile interno è esposta una serie di interessanti diapositive che testimoniano il genocidio che la popolazione armena subì ad opera dell’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916. Furono deportate e massacrate quasi 2 milioni di persone. L’eco di quella strage non si spegne, anche se si vuole ignorarla o sottovalutarla, e ancora il popolo armeno soffre, come dolorosamente la cronaca registra ancora una volta.
Ricca di storia e di misteri, di arte, di cultura, di architetture, leggende e curiosità, l’isola è tornata alla ribalta nelle ultime settimane per il riavvio del processo di beatificazione del suo fondatore, il coraggioso e visionario abate Mechitar.
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