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L'arcivescovo Nosiglia, la paura si vince con la fede e la preghiera

Due immagini si inseguono nella Lettera pastorale ‘Non temete, io sono con voi’ dell’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia: i discepoli che sulla strada di Emmaus incontrano il Risorto, e la paura sul volto di Pietro quando si sente sprofondare nelle acque del lago. La Lettera è un vademecum per le due comunità diocesane di Torino e Susa nell’anno pastorale iniziato, perché l’esperienza dei due discepoli offre spunti interessanti per la ‘nostra’ vita quotidiana.

La fede è un ‘dono’ per vincere la ‘battaglia’ a cui ogni credente è chiamato nella vita: “Pietro sperimenta in se stesso la prova della fede e cade nel rinnegamento del Maestro. Per questo forse esorta i cristiani a resistere alle prove della fede, sapendo che essa è come l’oro che, per essere purificato, deve passare attraverso il fuoco.

Per l’arcivescovo la fede è la forza vitale che consente a Pietro di non avere paura, la fede non è una giustificazione alla nostra azione: “La razionalità umana, la paura di morire, il giudizio sulla situazione in cui si trova in quel momento prevalgono sulla fiducia in Cristo. La discriminante tra fede e non fede o tra fede forte e fede debole sta tutta qui: abbiamo sempre delle riserve dentro di noi. Diciamo di credere, ma in fondo cerchiamo di cavarcela da soli e abbiamo una profonda stima di noi stessi. Dio ci serve quasi come un’aggiunta, un ‘di più’ che convalida le nostre scelte, sostiene le nostre forze, ci aiuta a capire quello che noi già facciamo con cura”.

A questa lettura evangelica l’arcivescovo propone quatto soggetti prioritari della pastorale diocesana, di cui la prima realtà è la famiglia: “La famiglia è il primo nucleo di comunità cristiana: fonte di fede e di amore a Cristo, piccola Chiesa domestica che educa a vivere il Vangelo. E’ qui la prima, insostituibile catechesi. Per questo la famiglia deve essere sostenuta e valorizzata in ogni modo, partendo dalla sua stessa vita quotidiana prima ancora che dalla sua attiva partecipazione alla vita della parrocchia stessa”. 

Ai giovani sono dedicati alcuni capitoli della Lettera, in quanto sono ‘sentinelle del mattino. Nel pensiero verso l’accoglienza dei poveri ha ricordato i santi ‘sociali’.

Ed infine una particolare attenzione al mondo del lavoro: “I volti delle fragilità sono sempre più trasversali perché, ormai, nessuno può più dirsi sicuro, di fronte all’evolversi spesso imprevisto della situazione.

La Lettera si chiude con un esplicito invito alla contemplazione e al silenzio per vivere pienamente: “Ritorno all’inizio di questa lettera, in cui pregavamo e riflettevamo su Pietro che chiede al Signore di poterlo raggiungere camminando sulle acque. Egli contempla il volto di Gesù che gli permette di affrontare anche la tempesta, segno di ogni avversità e problema che appare umanamente impossibile da affrontare.

Di questo stupore dovrebbe essere carica la nostra vita di consacrati e di laici, in quanto Dio non cessa di mostrarci le sue meraviglie, che passano sotto i nostri occhi ogni giorno. Ma i nostri occhi spesso sono come impediti nel riconoscere le opere di Dio, perché guardano troppo in basso”.

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