Città del Vaticano , 14 September, 2020 / 2:00 PM
La debolezza dell’Europa è la mancanza di fede, ma anche il fatto di essere inconsapevoli di quelli che sono i valori cristiani alla sua origine. Il Cardinale Jean Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea, ha incontrato Papa Francesco lo scorso 10 settembre, in una udienza in centrata sull’impegno della COMECE, ma in cui si è toccata anche al questione dei migranti e dell’incendio nel campo di Moria a Lesbos, che è casa per 13 mila rifugiati. Il Cardinale ne parla con ACI Stampa.
Cosa ci può condividere dell’incontro con Papa Francesco?
Sono stato contento di vedere il Papa in grande forma. È stato un incontro molto cordiale, una conversazione molto bella. Sono stato privilegiato. Gli ho parlato delle celebrazioni per il 40esimo anniversario della COMECE, che coincide con il 50esimo anniversario delle relazioni tra la Santa Sede e l’Unione Europea. Per queste celebrazioni, avremo la presenza del Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin, all’assemblea plenaria COMECE di fine ottobre. Abbiamo anche parlato della situazione al campo di Moria in Grecia, un evento molto triste.
L’ultima volta che era stato da Papa Francesco, lo scorso gennaio, non era venuto da solo, ma insieme al pastore Krieger, presidente della KEK (Conferenza delle Chiese europee) per presentare le vostre iniziative ecumeniche. Questo progetto sta andando avanti?
Sì, certamente. I segretariati KEK e COMECE stanno già lavorando insieme su molti temi, e le nostre organizzazioni hanno già preso l’abitudine di incontrare insieme la presidenza del Parlamento Europeo. Sono in costante contatto con il pastore Krieger. Abbiamo molti progetti comune di azione sociale, per sviluppare il bene comune.
Siamo in attesa di una nuova enciclica di Papa Francesco, dedicata alla fraternità umana. Cosa si aspetta da questa enciclica e come pensa che potrà essere di ispirazione all’Europa?
Trovo le parole del Papa molto ispirate. A volte, Papa Francesco viene descritto come liberale. Io credo piuttosto che sia radicale. È radicale nella fede e nel modo in cui si esprime. Io credo che questa enciclica ci porterà a vivere la nostra fede nel linguaggio globale. Dobbiamo considerare di vivere il Vangelo, ma lo dobbiamo fare vivendo agli altri. Le religioni prima erano chiuse nella loro sfera culturale, e la cultura era attaccata alla religione, fosse essa cristiana, musulmana o indù. Non è più così. Tutte le religioni vivono insieme, nella stessa sfera culturale. Il documento sulla Fraternità di Abu Dhabi lo ha certificato. Siamo chiamati ad andare d’accordo. Io sono interessato a chi ha una fede diversa dalla mia, perché vive con me.
Papa Francesco spesso dice che dalla crisi si può uscire migliori o peggiori, ma non uguali. Lei come pensa che l’Europa uscirà fuori da questa crisi?
Spero che l’Europa venga fuori meglio da questa crisi. Ma, perché questo accada, le nazioni devono vivere la solidarietà, e si deve esercitare maggiore giustizia. Bene comune non significa solo il bene comune dell’economia. Significa il bene comune di tutti. Come Europa, noi abbiamo la responsabilità delle nazioni africane, che ci sono molto vicine, e per le nazioni più povere. Siamo chiamati ad essere più umani, e ad essere vicini alla carne di Cristo.
Per questo, è importante diffondere anche i valori cristiani. Ma come sono percepiti i valori cristiani in Europa?
È triste dirlo, ma è come se non ci fossero. Quando si parla di valori europei, in pochi pensano ai valori cristiani. Abbiamo però politici cristiani. C’è Mary McGuinnes, commissario dell’Unione Europea ed ex vicepresidente del Parlamento Europeo, ed è un piacere che ci sia una credente come lei nella sua posizione. Senza contare che quando l’Unione Europea aveva deciso di non rinnovare il mandato dell’inviato speciale per la libertà religiosa, sono state le proteste delle religioni a far riconsiderare la decisione (il nuovo inviato non è ancora stato nominato, ndr). Questo dimostra che, se parlano con una voce sola, le religioni possono essere ascoltate. Ormai non possiamo pensare che la Chiesa dice qualcosa e gli altri accolgono subito quello che la Chiesa dice. Siamo chiamati ad essere convincenti, a dare argomenti, a spiegare a tutti quello che intendiamo, anche ai non cristiani.
Nell’esortazione post-sinodale del Sinodo sull’Europa voluto da San Giovanni Paolo II, ci si chiedeva – seguendo il Vangelo – se il Figlio dell’Uomo avrebbe trovato la fede sulla terra una volta tornato. Se tornasse oggi, il Figlio dell’Uomo troverebbe fede in Europa?
La fede è il punto molto debole in Europa. Io sono stato missionario in Giappone per più di 20 anni, e al mio ritorno ho visto il modo in cui la Chiesa è stata messa da parte. Si è marginalizzati perché cattolici oggi. Abbiamo, oggi, una nuova identità di cattolici in Europa, molto forte. Ma abbiamo bisogno di una nuova interiorità, abbiamo bisogno di un nuovo presente. Io ogni anno condivido un viaggio con i giovani (non quest’anno per via della pandemia). Lo scorso anno siamo stati in Thailandia, dove tutti insieme abbiamo costruito una cappella, e poi abbiamo terminato l’esperienza con un ritiro spirituale di tre giorni. Molte persone hanno scoperto la fede dopo questa esperienza. Questo dimostra che dobbiamo dare ai giovani la possibilità di incontrare Cristo. Convinti di essere in una società cristiana, abbiamo messo da parte l’annuncio di Cristo.
Era un po’ quello che diceva padre Piero Gheddo, lamentando la chiusura dei giornali missionari e il crollo delle vocazioni missionarie nel 2014. Non ci sono vocazioni perché i missionari si impegnano nel sociale, ma parlano poco di Gesù…
Vivere come cristiano è il migliore messaggio che si può dare. Abbiamo, nella Chiesa, molte persone che non sono capaci di mettere la fede in parole. Ed è per questo che sembra che la Chiesa sia diventata una enorme Ong.
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