Beirut, 04 September, 2020 / 2:00 PM
L’invito a non “lasciare il Libano da solo”, perché il mondo ha bisogno di quello che fu definito “un Paese messaggio”. Ma anche l’invito a lavorare per sconfiggere ogni forma di autoritarismo”, con la consapevolezza che ci sarà una ricostruzione. Un mese dopo la tremenda esplosione del porto di Beirut che ha causato 220 morti, 6 mila feriti e 300 mila sfollati e distrutto larghe parti della città, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, va in Libano inviato da Papa Francesco.
Dalla cattedrale di San Giorgio alla moschea Al-Amin, fino al santuario nazionale di Harissa, con vari incontri, discorsi, scambi: il segretario di Stato vaticano porta ovunque il supporto della Santa Sede, nella giornata dedicata alla preghiera e il digiuno per il Libano, secondo le intenzioni di Papa Francesco. È la terza giornata dal genere promossa da Papa Francesco dall’inizio del suo pontificato, considerando anche quella per la pace in Siria e nel Medio Oriente del settembre 2013 e quella per il Sud Sudan e il Congo nel febbraio 2018.
Il Cardinale ha sottolineato l’importanza dei “bellissimi gesti di solidarietà” visti in tutta Beirut dopo l’esplosione, e affermato che la sofferenza può aiutare a “rafforzare la nostra determinazione a vivere insieme in pace e dignità, a lottare per un migliore governo che favorisca la responsabilità, la trasparenza, e la responsabilità”, sconfiggendo insieme “la violenza e ogni forma di autoritarismo, promuovendo una cittadinanza inclusiva basata sul rispetto dei diritti e doveri fondamentali”.
Parole, quelle del Cardinale Parolin, che riecheggiano anche i tanti appelli del Cardinale Bechara Rai, patriarca dei maroniti, che già prima dell’esplosione metteva in luce le difficoltà del Paese e puntava il dito contro alcune situazioni particolari, e che dopo l’esplosione ha presentato una road map per una neutralità attiva del Libano e chiesto anche di eliminare tutti i depositi di armi in centro, in un appello che era anche una denuncia della presenza di fazioni terroristiche nel Paese.
Il Cardinale Parolin, celebrando Messa nel santuario di Harissa, si appella allo “spirito di comprensione, dialogo e convivenza” che ha sempre contraddistinto i libanesi, ricorda “la crisi economica, sociale e politica” che già attraversava il Paese prima dell’esplosione (Papa Francesco aveva anche istituito delle borse di studio), ha ammesso che “è vero che i libanesi vivono momenti di sconforto”, e si sentono “sopraffatti, esausti e frustrati”, ma “non sono soli”.
Arrivato il 3 settembre a Beirut, il cardinale Parolin ha visitato la chiesa greco cattolica di Sant’Elia a Beirut, accompagno dall’arcivescovo greco melchita Georges Bakhouni dal vescovo maronita Paul Abdel Sater, dall’arcivescovo Joseph Spitieri, nunzio apostolico.
L’arcivescovo Bakhouni ha ringraziato il cardinale per la visita, sottolineando che “c’è bisogno di queste visite luminose che mostrino il vero volto del nostro Paese”.
Il Cardinale Parolin ha anche visitato la cattedrale greco ortodossa di San Giorgio e la moschea Mohamed al Amin, dove ha potuto vedere i danni provocati dall’esplosine alla moschea, che fu costruita su desiderio del presidente Hariri.
Nella cattedrale maronita di San Giorgio, il Cardinale Parolin ha incontrato anche rappresentanti islamici, nonché rappresentanti di Croce Rossa, Caritas, istituzioni religiose e associazioni presenti sul territorio”.
Prendendo la parola, il Cardinale Parolin ha detto che pensava di incontrare tutti in diverse circostanze, ma poi si è detto che “il Dio dell’amore e della misericordia è anche il Dio della storia” e “vuole che continuiamo il nostro messaggio di stare a fianco ai nostri fratelli e prendersi cura di loro”.
Il Cardinale ha quindi invitato a chiedere “a tutti i funzionari politici in partiti storici o recenti di fare nuove messe per rafforzare l’efficacia dei giovani e le loro ambizioni”. Il Cardinale ha sottolineato che “nessuno ha il diritto di sfruttare i sogni della gioventù e usarli per il proprio bene, ma al contrario, tutti devono contribuire alla partecipazione efficace di questi giovani nella costruzione della loro comunità”.
Il Cardinale ha quindi detto che tutti leader religiosi portano “un messaggio di speranza, specialmente per i popoli che soffrono”.
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