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Un servizio di EWTN News

Un anno fa, la morte del Cardinale Silvestrini. Con lo sguardo al futuro

"Don" Achille Silvestrini a Villa Nazareth nel 1985

Una Messa di suffragio, ma anche una pubblicazione, un ricordo che è parte di un progetto più ampio: la Diocesi di Faenza – Modigliana ha ricordato lo scorso 29 agosto l’anniversario della morte di uno dei figli più illustri di quella terra, il Cardinale Achille Silvestrini, ma lo ha fatto con lo spirito di guardare al futuro, piuttosto che di ricordare il passato.

E il passato non è certo un passato di poco conto, perché la diocesi ha dato diplomatici e cardinali di altissimo valore alla causa della Chiesa. Per ricordare i più recenti, da Brisighella, il paese dal Cardinale Silvestrini, veniva il Cardinale Lega, morto nel 1935, e poi c’erano stati i due fratelli Cardinali Giovanni e Gaetano Cicognani, nonché il Cardinale Monduzzi. E a Faenza c’era il Cardinale Pio Laghi, che era stato nunzio in Argentina e grande amico del Cardinale Silvestrini che tutti chiamavano “don Achille”.

È proprio la fertilità passata di questa piccola diocesi “bianca” nel centro della rossa Romagna che ha portato il vescovo Mario Toso a pensare ad un progetto che non guardasse solo al passato, ma al futuro.

Per l’anniversario della morte del Cardinale Silvestrini, è stato pubblicato un libro, “Cardinale Achille Silvestrini” (Tipografia Faentina Editrice) che raccoglie testimonianze e ricordi di persone che hanno conosciuto il Cardinale Silvestrini o ne sono stati collaboratori. Tra questi, l’attuale vescovo di Lodi Maurizio Malvestiti, il Cardinale Edoardo Menichelli, che di Silvestrini è stato storico segretario prima di essere chiamato ad una carriera episcopale, ma anche l’arcivescovo Claudio Maria Celli, che con il Cardinale Silvestrini non condivideva solo l’arte diplomatica, ma anche l’impegno a Villa Nazareth. E a Villa Nazareth passò, come tutore degli studenti, anche l’attuale Primo Ministro Giuseppe Conte, che ha siglato la prefazione del volume.

Ma del Cardinale Silvestrini viene anche, e soprattutto, tratteggiato il legame con la sua diocesi e la sua città, mai venuto a mancare, nonostante le sue responsabilità diventassero sempre più grandi. Ed è, questa scelta, un chiaro segnale.

Perché, spiega il vescovo Toso, questo volume sul Cardinale Silvestrini si lega ad un altro volume, quello sul cardinale Pio Laghi, pubblicato lo scorso anno per il decimo anniversario dalla morte sempre a cura della diocesi di Faenza-Modigliana. Si tratta non solo di raccontare alla diocesi un pezzo della sua storia, ma soprattutto di spiegare come la formazione, la cultura, l’humus sociale siano in grado di creare i grandi personaggi. Il messaggio è chiaro: ripartire dalla cultura e dal Vangelo, per una nuova generazione di cattolici impegnati.

Di certo, è un progetto che al Cardinale piacerebbe, lui, così legato ai suoi ragazzi di Villa Nazareth. Diplomatico pragmatico, il Cardinale Silvestrini fu anche coinvolto nel difficile riavvicinamento con i guerriglieri marxisti in Mozambico. Di quella stagione fu protagonista anche un giovane sacerdote di Sant’Egidio, che poi lavorò anche nella difficile mediazione: Matteo Zuppi, oggi cardinale ed arcivescovo di Bologna.

È stato proprio il Cardinale Zuppi, lo scorso 29 agosto, a presiedere la Messa di suffragio di Silvestrini a Faenza e a tratteggiarne una memoria in una densa omelia.

Il Cardinale Silvestrini – ha detto l’arcivescovo di Bologna – “aveva tanta attenzione per ciascuno e per le ferite di ciascuno”, e con i giovani “sapeva attendere, stimolare, coltivare con delicatezza e autorità le qualità di ciascuno, di ogni singola persona, con le sue potenzialità e con le sue fragilità che insegnava a capire, delle quali non si scandalizzava, ma aiutava ad accettare e superare”.

Per il Cardinale Zuppi, “don Achille trasmetteva serena convinzione che il bene era più forte, relazionandosi mai contro gli altri ma anche non condiscendente alla logica del mondo”. D’altronde, il Cardinale pensava “che non conformarsi al mondo non significasse restarne fuori, averne paura tanto da vedere pericoli anche dove non ci sono e finire per essere ossessionati; non pensava che l’affermazione della Chiesa si esaurisse con la conquista di un piccolo spazio ma ha seminato con larghezza la Parola”.

Il cardinale era un uomo di dialogo – ha continuato il Cardinale Zuppi – e “non aveva paura di parlare con tutti e di ascoltare le tante e spesso confuse domande, perché aveva un cuore buono e un cuore buono non teme, non perché inconsapevole o ingenuo, non perché cedevole, ma perché forte e profondo”.

Soprattutto, il Cardinale Silvestrini “sapeva aspettare, stemperare, sempre con tanta paternità, accompagnava con pazienza perché le parole diventassero scelte, sempre indicando la serietà intellettuale, la preparazione, non l’approssimazione, lo sloganismo, di qualsiasi parte fosse, ma lo studio per affermare le loro qualità e la loro libertà”.

Il Cardinale Silvestrini, inoltre, “intendeva la cultura e il ruolo dei cristiani nel mondo come presenza attiva e intelligente, come formazione continua, senza improvvisazione quindi senza superficialità, sempre con tanta libertà di discernere ciò che vale e ciò che vale meno, gli inganni dei prodotti confezionati e imposti”.

È un tema, questo, che si ritrova anche nel libro, quando viene affrontato senza fronzoli anche il tema della Ostpolitik, di cui fu uno dei fautori. Il punto è che per il Cardinale Silvestrini ci voleva un dialogo, per cercare prima quello che unisce di quello che divide.

Un dialogo che non poteva che nascere dalla forte consapevolezza della propria identità cristiana. Ed è questo, oggi, che sembra mancare di più. Così, la diocesi di Faenza – Modigliana punta a ricostruire un tessuto culturale prendendo ad esempio i suoi figli illustri.

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