Bratislava, 06 August, 2020 / 10:00 AM
Quando venne annunciato il viaggio di Papa Francesco in Romania, nel 2019, fu detto che il Papa andava nel “Giardino della Madre di Dio”. È una formula cara a tutti i fedeli cattolici romeni, che anche San Giovanni Paolo II riprese nel 2009. Ma è anche una formula che accomuna la Romania a Repubblica Ceca e Slovacchia.
La storia delle tre nazioni e della loro cattolicità è profondamente differente. Eppure, la presenza di Maria le rende in qualche modo simili. Perché le radici, in fondo, sono le medesime.
Il territorio della ex Cecoslovacchia fu evangelizzato dai Santi Cirillo e Metodio, che arrivarono in quelle terre a seguito della richiesta del re della Grande Moravia Rotislao. E furono loro a forgiare quella che oggi è la caratteristica pietà mariana dei popoli slavi. Una pietà mariana che viene dalla liturgia bizantina, ricca di riferimenti alla Madre di Dio. Lo dimostrano, in fondo, i molti santuari mariani in Moravia, come quello della Madre dell’Unione di Velehrad.
Nel X secolo, però, gli ungheresi, allora ancora pagani, invasero la Moravia. Il centro politico del territorio si spostò in Boemia. Lì, si svilupparono altri santuari mariani, a seguito di prodigi avvenuti presso delle edicole campestre o nei boschi, con rinvenimenti di immagini, apparizioni e protezioni contro le incursioni nemiche.
È stata, insomma, la Madonna ha dare l’imprinting alla nazione. In particolare, proteggendola dalle invasioni dei tartari avvenute intorno alla metà del 1200.
La guerra contro i Tartari fu vinta da Venceslao I, e questi diede un grande impulso al culto mariano. Come lo diede Carlo IV, “padre della Patria”, il quale diede avvio alla pratica della Messa mattutina in onore della Vergine.
All’inizio del 1400, i seguaci di Jan Huss, protestanti, assaltano e distruggono tutto il patrimonio del cristianesimo medievale, ma non le immagini mariane. Quasi sempre, infatti, la popolazione riesce a nasconderle, a preservarle. Sono troppo importanti per loro. Quando, nel 1436, si sigla la pace che permette il ritorno alla vita cattolica, il culto mariano riprende a propagarsi. È in quel periodo che si diffonde l’uso della preghiera quotidiana dell’Angelus.
Nella metà del 1500, altra crisi protestante, altro impegno dei cattolici a salvare la immagini sacre dalla profanazione. Un impegno che resta e che forgia la personalità della popolazione. Nel 1620, la Lega Cattolica guidata dall’Imperatore d’Austria vince la battaglia ella Montagna Bianca. I gesuiti prendono dunque l’impegno di rianimare il cattolicesimo, fanno rifiorire in gran numero i santuari scomparsi ed oppressi.
È tra il 1600 e il 17000 che Moravia, Boemia e Slovacchia prendono il titolo di “Giardino di Maria” grazie alla straordinaria diffusione del culto della Vergine nei loro territori. In particolare, gli slovacchi vedono rispecchiata la loro nazione sempre oppressa nella “Vergine dei Sette Dolori”, di cui si diffonde il culto a partire dal 1500.
Negli Anni Trenta del secolo scorso, incombe il pericolo nazista sulle terre della Repubblica Ceca e la Slovacchia. La popolazione reagisce come sempre. Ovvero, moltiplica pellegrinaggi e preghiere, e si muovono in centinaia di migliaia verso i santuari mariani.
Più difficile la situazione in tempo di comunismo, perché ai santuari veniva impedito di organizzare pellegrinaggi. Eppure, i pellegrinaggi ci furono, e furono anche una occasione di recersi in luoghi lontani da quello di residenza sfuggendo al controllo di polizia. Le possibilità erano diverse da zona a zona: in Boemia era più difficile andare ad un santuario, ma lo era meno in Moravia .
Ed è in questo periodo che la Madonna appare nel Nord della Slovacchia, a Turzovka. È il 1958, e a vedere la Madonna è il boscaiolo Matous Lasut, che viene messo a tacere dall’autorità slovacca. Nonostante questo, la notizia dell’apparizione si diffuse e diede luogo a moltissimi pellegrinaggi. Durante l’ultimo periodo comunista, sono invece i pellegrinaggi mariani a Levoca quelli più diffusi.
Sicuramente, uno dei santuari più noti del “Giardino di Maria” in Cechia è quello di Nostra Signora di Stara Boleslav, non lontano da Praga. Lì, il culto mariano si sviluppò nel 1600, quando si diffuse la notizia del ritrovamento di una targa di metallo dorata con l’immagine mariana che, secondo la leggenda, era stata donata da San Metodio a Santa Ludmilla, e che San Venceslao portava al petto.
Questo però secondo la leggenda, perché in realtà sembra che quella targa risalga al XIV secolo.
Nel 1500, il pellegrinaggio divenne popolarissimo, e “formò” la nazione. Tanto che nel 1945 l’immagine fu inviata in ogni parrocchia di Praga, dove sostò permettendo la gente di pregare per la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Il santuario di Nostra Signora della Vittoria, invece, si trova ad Hostyn. È legato all’epopea ceca, e in particolare ad un assedio dei tartari, che furono rovinosamente costretti alla fuga a causa di un violento temporale che si vuole propiziato dalla Vergine. Quando il Calvinismo si diffuse nella regione, la chiesa venne saccheggiata. Solo nel 1625 venne ristabilito il Culto, mentre la statua venerata nel sanatuario risale al 1845.
Particolarmente importante, come detto, è l’immagine di Nostra Signora dei Sette Dolori, il cui santuario si trova a Sastin. Nel 1564, nel territorio dove ora sorge il santuario, una donna di nome Angelica era stata abbandonata dal nobile ungherese Imarich Czobor, che era suo marito eppure la detestava.
Disperata e sola, la donna si raccomandò alla Vergine e promise di erigere una edicola all’Addolorata sul posto, se fosse stata aiutata. Il marito tornò poco dopo chiedendole perdono.
Angelica, mantenne la sua promessa. E intorno a quell’edicola, accaddero guarigioni miracolose, riconosciute nel 1732 dal vescovo di Esztergom. Il santuario fu soppresso nel 1783, ma ebbe nuovo impulso dai festeggiamenti per i 300 anni della fondazione del 1864. Nel 1927, Pio XI proclama la Madonna Addolorata patrona della Slovacchia.
Era un culto così vivo che il dominio sovietico provò a sopprimerlo, trasformando il santuario in caserma. Fu inutile. I pellegrinaggi continuarono, copiosi.
La Romania ha un percorso diverso che la porta ad essere “il Giardino di Maria”. Della Romania di prima del 1300 non si sa moltissimo, se non che nel IX secolo passò sotto Bisanzio. Nel XIV, il principato di Valacchia nella valle del Danubio e quello di Moldavia riuscirono a mantenersi indipendenti dai turchi fino alla fine del XV secolo, mentre la Transilvania fu sottoposta ad occupazione straniera: prima arrivarono gli ungheresi, nel X secolo, poi i tedeschi nel XII secolo.
I tedeschi di Transilvania passarono quasi completamente al calvinismo nel corso del 1500, ad eccezione di alcuni piccoli gruppi. In particolare, quello che aveva come centro spirituale il santuario mariano di Csiksomlyo, Sumeleu Ciuc in romeno.
Questo è il santuario principale della forte minoranza ungherese di Transilvania e accoglie moltissimi pellegrini nel giorno della sua festa, alla vigilia della Pentecoste. Il santuario fu fondato verso il 1440 dal principe Giovanni Hunyadi, eroe della guerra contro i turchi. Lì c’è una statua della vergine riconosciuta miracolosa, dal vescovo Ignac Batthyany nel 1798, che le diede il nome di “Madre Meravigliosa e Soccorritrice nella protezione contro gli eretici”.
Gli uomini del santuario rimasero cattolici e resistettero contro l’esercito del principe che voleva imporre la nuova fede in una battaglia che si tenne alla viglia di Pentecoste del 1571. Da allora, in quel giorno si tiene la festa principale del santuario. Nel 1661, i turchi distrussero il santuario e il convento, ma la statua della Madonna vestita di sole fu salvata in tempo. La chiesa attuale risale al 1800.
(La storia continua sotto)
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Ancora una volta, il popolo si stringe a Maria per conservare la sua cristianità.
C’è da dire che, quando i turchi arrivarono a dominare Valacchia e Moldavia, non lo fecero direttamente, ma sempre attraverso loro rappresentanti. Questo permise di conservare monasteri, chiese e icone. Certo, le vicissitudini del territorio sono state moltissime, ed è per questo difficile avere una immagine di insieme dei santuari mariani nella nazione.
Questo perché, tra l’altro, chiese e monasteri sono dedicati soprattutto ai santi. Eppure, la figura della Vergine resta sempre in primissimo piano sia nel culto pubblico che nel culto privato, specialmente attraverso le icone.
Succede a Blaj, la “piccola Roma”, la cui comunità greco-cattolica rimase nella Chiesa cattolica anche attraverso durissime prove, specialmente durante il periodo sovietico, quando sette vescovi furono martirizzati.
Nella cattedrale di Blaj, costuita nel 1700, c’è una icona mariana del tipo della Odegitria. Vi era particolarmente devoto monsignor Pietro Paolo Aron, che fu uno strenuo difensore dell’unione con Roma. Nel 1764, quando monsignor Aron morì, gli occhi dell’immagine della Vergine furono visti lacrimare. Fu così che la cattedrale divenne un vero e proprio santuario mariano.
E da Blaj si irradiò il culto della Vergine, soprattutto per merito di monsignor Basile Suciu, che fondò nel 1921 la Congregazione della Suore di Santa Maria di Blaj.
(3 – continua)
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