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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, Papa Francesco in Serbia?

L'arcivescovo Suriani, nunzio apostolico in Serbia e il patriarca Irenej

È con una intervista al periodico serbo Politika che l’arcivescovo Luciano Suriani, nunzio apostolico in Serbia, ha rilanciato l’idea di un viaggio papale in Serbia. Sarebbe il primo per il Papa nel Paese, e non è mai avvenuto soprattutto per i rapporti con gli ortodossi serbi. Papa Francesco, però, non ha mancato di mostrare apprezzamento verso il patriarca Irenej, e il Cardinale Pietro Parolin è stato in visita nel Paese nel 2018. Chissà…

Tre interventi della Santa Sede, questa settimana, nei consessi multilaterali: a UNCTAD, UNESCO e Consiglio dei Diritti Umani. Papa Francesco nomina l’ex ambasciatore di Bolivia presso la Santa Sede come capoufficio della Pontificia Commissione per l’America Latina

                                                FOCUS PAPA FRANCESCO

L’arcivescovo Luciano Suriani, nunzio in Serbia dal 2015, ha rilasciato al quotidiano Politika una intervista che è stata pubblicata il 28 giugno, richiamata in prima pagina e con una foto che lo ritrae con il Patriarca ortodosso Irenej. L’occasione è stato il centesimo anniversario dello stabilimento della nunziatura apostolica a Belgrado. Le relazioni furono interrotte dal 1945 al 1970, e poi riprese. Nel 2003 divenne nunziatura apostolica in Serbia e Montenegro, e nel 2006 nella sola Serbia. Il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha visitato il Paese nel giugno 2018, come parte di un viaggio che toccava il Montenegro. Entrambi gli Stati non sono stati mai visitati da un Papa, e c’era possibilità che il Papa andasse in Montenegro a novembre di quest’anno.

Nell’intervista, l’arcivescovo Suriani ha sottolineato che, nonostante cento anni di presenza come nunziatura, “molto resta da fare affinché la comunità cattolica in Serbia non venga percepita come un corpo estraneo, ma quale è veramente, cioè parte integrante del tessuto sociale del Paese”.

L’arcivescovo Suriani ha notato che la pandemia ha anche “messo in evidenza l’importanza della tutela e della cura dell’ambiente”, e per questo “i Governi nazionali, come pure i singoli cittadini, devono impegnarsi seriamente per la promozione e lo sviluppo di un’ecologia integrale, che metta al primo posto la persona umana e la tutela della sua salute”.

Parlando della sua esperienza in Serbia, l’arcivescovo Suriani ha parlato di una esperienza “positiva”, anche per quanto riguarda il dialogo ecumenico. Il Patriarca Irenej, ha detto, “mi ha accolto come un fratello e sento di poter definire il rapporto con lui sincero”.

Notando che resta da percorre un tratto di cammino per la piena unità, e che è un processo che si può fare con il dialogo, l’arcivescovo Suriani ha ricordato che “Papa Francesco, in più occasioni, ha manifestato il suo affetto per il Patriarca Irinej e per questo Paese, non nascondendo il desiderio di visitarlo. Le Autorità politiche mi sembrano disposte ad accoglierlo, come pure tanti cittadini che, in questi anni, me lo hanno manifestato apertamente. Il mio augurio è che i tempi per la visita pontificia, finora ritenuti da alcuni non maturi, giungano presto a maturazione!

Il nunzio ha parlato anche della questione del Beato Aloizje Stepinac, il cui processo di canonizzazione è stato bloccato. Di fronte alle proteste serbe, e in particolare della Chiesa ortodossa, Papa Francesco ha stabilito una commissione mista cattolica-ortodossa, che alla fine non è giunta a conclusioni univoche. Suriani ha detto che il Papa ha “percorso tutte le strade possibili”, e sottolineato che “è desiderio di entrambe le parti che si continui tale dialogo, per far luce anche su altri aspetti di quel periodo storico, doloroso e controverso”.

“Ad ogni modo – ha concluso il nunzio - mi dispiacerebbe se questa vicenda continuasse ad essere un ostacolo insuperabile nei rapporti tra la Chiesa cattolica in Croazia e la Chiesa Ortodossa Serba, perché essa è una ferita alla nostra credibilità come cristiani”.                                                                

                                            FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede all’UNCTAD: nella crisi del COVID, cancellare il debito

La Santa Sede è intervenuta lo scorso 2 luglio alla 67esima sessione del Trade and Develpoment Board dell’UNCTAD; l’agenzia ONU per commercio e sviluppo con sede a Ginevra. Nel suo intervento, la Santa Sede ha notato che il COVID 19 ha posto “sfide senza precedenti ai governi delle nazioni sviluppate”, considerato che la crisi economica causata dalla pandemia è “unica nel suo genere” e che non c’è dubbio che la crisi colpirà “le vita e la vivibilità di quanti sono nel mondo in via di sviluppo”.

Per la Santa Sede, un modo di addolcire la crisi è annullare “gli eterni pesi debitori accumulati, a livello pubblico o privato, nelle nazioni in via di sviluppo durante questi ultimi anni”.

La Santa Sede chiede una “azione coordinata” da parte della comunità internazionale per intervenire in maniera veloce e sostanziale per sollevare dal debito le nazioni in via di sviluppo colpite dalla crisi. La Santa Sede nota che gli sforzi per farlo “devono essere moltiplicati e commisurati al molto più grande spettro colpito dalla presente crisi”.

La Santa Sede ha sottolineato che “andare verso un mondo più inclusivo e sostenibile non riguarda solamente far lavorare meglio i mercati oppure investire in capitale umano, estendere i crediti ai poveri o fornire più grande protezione ai consumatori”, ma richiede piuttosto “una agenda più focalizzata che affronti le problematiche legate alla mobilitazione delle risorse” e mitighi le “crescenti asimmetrie nei poteri di mercato che crescono con regole asimmetriche di un mondo iperglobalizzato”.

La Santa Sede nota che le radici della crisi “non sono solo economiche e finanziarie, ma, prima di tutto, di natura morale”, e dunque è necessario riconoscere il primato dell’etica sull’economia, in modo che le persone “adottino un’etica della solidarietà che nutra le loro azioni”.

La Santa Sede denuncia che “nell’ultimo decennio, abbiamo appreso che le eccessive liberazioni e deregolamentazioni privilegiano guadagni di breve periodo piuttosto che impegni a lungo termine”.

La Santa Sede si dice preoccupata anche della sempre minore destinazione di risorse date alla sanità, sottolinea che è importante che i politici abbiano le risorse per rispondere allo shock sanitario e per mitigare il danno economico che lo accompagna, afferma che c’è bisogno di mettere i talenti al servizio di un altro tipo di progresso.

La Santa Sede sottolinea che le conseguenze della crisi vanno molto oltre il dominio finanziario, e si estendono alle sfere economiche, sociali e culturali.

La Santa Sede al Consiglio dei Diritti Umani: contro la tratta

Il 3 luglio, è stato presentato il Rapporto Speciale su “Traffico di persone, specialmente donne e bambini” al Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra. Nel dibattito, l’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede presso le istituzioni internazionali a Ginevra, ha preso la parola a nome della Santa Sede, notando come sia “cruciale stabilire e migliorare programmi e meccanismi per proteggere, riabilitare e reintegrare le vittime del traffico destinando a loro le risorse economiche sequestrate ai trafficanti.

Secondo la Santa Sede, la tratta non “dovrebbe avere alcun posto nella famiglia umana,” eppure, nonostante vari progressi per sradicare questa “vergogna”, il traffico di esseri umani “in varie manifestazioni continua ad essere una ferita aperta nel corpo dell’umanità contemporanea”, approfittandosi di “conflitti, povertà, corruzione, mancanza di educazione e di opportunità, nonché della recente emergenza del COVID 19”.

Il traffico è una vergogna perché tratta le vittime “come merci, da essere vendute o sfruttate per profitto”, e in particolare c’è un crescente traffico di neonati e donne attraverso la maternità surrogata.

(La storia continua sotto)

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La Santa Sede ricorda che il traffico di esseri umani è “tipicamente guidato da network criminali organizzati” e dunque è solo attraverso “un approccio universale e concertato che avremo successo nello sradicare questo crimine al meglio”, e per questo “è importante continuare a formare coalizione di buona volontà e di guidare con l’esempio.

La Santa Sede ha anche fatto una menzione speciale per le organizzazione di tipo religioso che spesso fanno un lavoro “rischioso e riempito di sfide”.

La Santa Sede all’UNESCO, la cultura come risposta alla crisi

Il 2 luglio, monsignor Francesco Follo, osservatore della santa Sede presso l’UNESCO, ha preso la parola alla 209esima sessione del Consiglio Esecutivo dell’organizzazione delle Nazioni Unite per la cultura.

Monsignor Follo ha ricordato l’istituzione della Commissione Vaticana COVID 19, che lavora con “approccio intersettoriale e multidisciplinare”, con lo scopo di “contribuire al bene comune di tutti gli uomini e le donne che abitano il pianeta”, considerando che il Papa desidera “una collaborazione internazionale per lavorare insieme per lo sviluppo integrale dell’uomo”.

Sviluppo – nota monsignor Follo – in cui l’UNESCO è fortemente coinvolta. In particolare, “la Santa Sede accoglie con favore la pertinenza del Programma d'azione completo per l'educazione allo sviluppo, che offre linee guida concrete per educare le persone a lavorare per il cambiamento climatico che preserva la Terra come una casa comune davvero abitabile e durevole”.

Si tratta di un programma che punta a sensibilizzare le persone sull’impatto del riscaldamento globale, considerando che anche la risposta al COVID 19 non può essere solo medica, ma deve essere “intersettoriale e multidisciplinare, considerando l'educazione come una priorità in questo impegno intersettoriale”.

Gli Stati membri dovrebbero dunque fornire una istruzione di qualità sui cambiamenti climatici, integrando l’educazione ecologica, da portare avanti attraverso una etica del dialogo.

Il dialogo – spiega monsignor Follo – “inizia con la consapevolezza che ‘vivere nella Terra’ consiste nel vivere ‘in essa’ con rispetto, sobrietà e semplicità in relazione a ciò che chiediamo, prendiamo o riceviamo da essa”, ma anche vivere con la terra.

Monsignor Follo nota che “un'ecologia umana promuove un'ecologia dell'ambiente e uno sviluppo integrale sostenibile. L'uomo non solo trasforma la natura adattandola ai propri bisogni, ma si realizza anche come uomo e, in un certo senso, diventa più uomo”.

La Santa Sede punta ad una educazione generazionale, con l’obiettivo di lasciare una terra vivibile per le condizioni future, perché “non c’è cultura né patrimonio culturale possibile se la nostra casa comune cessano di essere abitati. Per questo, la Terra “deve essere gestita con intelligenza e lungimiranza”.

Chi gestisce la casa comune la deve rispettare “per rispetto per coloro che la abitano e la abiteranno; e la casa esiste solo per coloro che la abitano e la abiteranno”.

Ma la Santa Sede chiede anche di evitare una abolizione dell’uomo per favorire la questione ecologica. Un tema che “ovviamente, deve essere rifiutato. Abbiamo i mezzi intellettuali per rifiutarlo. Rifiutandolo, proveremo il nostro amore per il prossimo, qualunque siano le distanze spaziali e cronologiche che ci separano da lui”.

                                                FOCUS NUNZIATURE

Claudio Gugerotti è il nuovo nunzio nel Regno Unito

Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Claudio Gugerotti nunzio in Regno Unito. Il nunzio prende il posto dell’arcivescovo Edward Joseph Adams, che aveva rinunciato all’incarico al compimento dei 75 anni di età. Adams era stato “ambasciatore del Papa” nel Regno Unito dal 2017.

L’arcivescovo Gugerotti, orientalista conosciuto, è stato dal 2015 ad oggi nunzio apostolico in Ucraina. Sacerdote dal 1982, laureato in Lingue e Letterature Orientali e con un dottorato in Scienze Ecclesiastiche Orientali, Gugerotti non viene da una carriera diplomatica: è stato dal 1985 al 2001 officiale presso la Congregazione delle Chiese Orientali, arrivando fino al rango di sottosegretario. Dal 2001 al 2011 è stato nunzio apostolico in Georgia, Armenia e Azerbaijan, mentre dal 2011 al 2015 è stato nunzio in Ucraina, ed è stato uno dei pochi a riuscire a giungere nei luoghi del conflitto.

                                                FOCUS ISRAELE

Israele, la questione della porta di Jaffa

Aveva suscitato anche le proteste delle Chiese cristiane di Gerusalemme, la vendita di tre proprietà immobiliari del patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme all’organizzazione di coloni ebrei Ateret Cohanim. Le tre proprietà si trovano alla porta di Giaffa, e il timore era che le organizzazioni di coloni tagliassero fuori il quartiere cristiano della città.

La decisione della Corte distrettuale di Gerusalemme dello scorso 24 giugno ha respinto la richiesta di annullare la vendita, e dunque i tre immobili andranno ad Ateret Cohanim. La decisione sembra chiudere definitivamente la battaglia legale sui beni immobili contesi, protrattasi per quasi 16 anni.

La storia inizia nel 2004, quando il Patriarcato Greco Ortodosso guidato allora dal Patriarca Irineos ha venduto ad Ateret Cohanim tre proprietà nella Città Vecchia di Gerusalemme. Due di queste erano nel quartiere cristiano, alla porta di Giaffa, mentre uno era stato venduto nel quartiere musulmano.

La Ateret Cohanim è stata fondata nel 1978, e opera nell’acquisto di proprietà palestinesi da riservare agli israeliani ebrei. Il Patriarcato Greco-Ortodosso ha rilasciato lo scorso 12 giugno sul suo sito una dichiarazione in cui definisce Ateret Cohanim parte “dei gruppi estremisti di colonizzazone”.

La vendita delle proprietà da parte di Irineos ha provocato la rabbia dei fedeli ortodossi. Il Patriarca Ireneos è stato rimosso, e il suo successore, Teofilo III, ha fatto appello ai tribunali per contestare la vendita che, ha affermato, era non valida perché era stata compiuta senza il consenso della comunità ortodossa, in particolare del Consiglio Sinodale, il Collegio superiore che si occupa di questioni ecclesiastiche e amministrazone). In più, Teofilo III aveva sollevato sospetti di corruzione.

Nel 2017, il tribunale distrettuale di Gerusalemme aveva approvato la vendita, perché non c’erano prove che sostenessero la tesi di una vendita illecita e il 10 giugno 2019 la Corte Suprema Israeliana ha confermato la vendita, chiudendo così una battaglia legale che è durata 15 anni. Tra i tre edifici ci sono l’Imperial Hotel e il Petra Hotel, che si trovano all’ingresso occidentale della città vecchia e che restano nelle mani di Ateret Cohanim.

Non è comunque detta l’ultima parola: il Patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme ha reagito agli ultimi sviluppi della vicenda con un comunicato in cui viene espresso “stupore” per la decisione della Corte distrettuale, bollata come ingiusta, e si rende nota la volontà di intentare un ulteriore ricorso, sottoponendo di nuovo la questione all’attenzione della Corte Suprema d’Israele.

Ambasciatore Oren David a Lecce

In visita a Lecce, l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Oren David ha dato una intervista al portale ecclesiale “Portalecce” in cui ha ripercorso l’importanza delle relazioni tra Santa Sede e Israele.

Parlando della necessità di incentivare la presenza di pellegrini a Gerusalemme, l’ambasciatore David ha sottolineato che “per la prima volta nella storia, le tre religioni monoteiste godono di piena libertà a Gerusalemme: libertà di preghiera, libertà di accesso ai luoghi di culto. Sfortunatamente, in passato la situazione era diversa. Agli ebrei non era consentito l’ingresso nella città antica, non potevano pregare sul muro occidentale. Solo dopo il 1967, quando la città è stata unificata, l’uguaglianza tra l’Ebraismo e le altre religioni è stata raggiunta e adesso a Gerusalemme ci sono pellegrini da tutto il mondo: molti dall’Italia, come da tutto il mondo cristiano, ma anche pellegrini musulmani”.

L’ambasciatore David ha indicato nella lotta contro il razzismo un altro punto di convergenza nei rapporti tra la Santa Sede, ed ha notato che “sfortunatamente, gli episodi di antisemitismo, invece di diminuire, stanno aumentando”, e per questo “è molto importante che la Santa Sede, come rappresentante della religione cristiana, sia coinvolta nella lotta contro questa ‘malattia’, questa “fobia”, che continua a esistere. C’è davvero tanto da fare e siamo molto felici che la Chiesa cattolica eserciti un ruolo importante nella lotta all’antisemitismo”.

L’ambasciatore ha rivendicato piena consonanza con la Santa Sede nel voler raggiungere la fine del conflitto israelo-palestinese attraverso la soluzione dei due Stati. L’ambasciatore ha però sottolineato che “per arrivare alla soluzione, abbiamo bisogno di un negoziato diretto, senza intermediari, per risolvere definitivamente il conflitto che è in atto e che va avanti da così tanto tempo”.

L’ambasciatore ha lamentato che nel 2005 l’esperimento di un governo e la costruzione di infrastruttura “si è infelicemente risolto con il lancio di razzi sulle nostre città nel sud, raggiungendo il centro di Israele, e con continui attacchi con quelle che definirei ‘invenzioni perverse’:”

Oren David ha anche toccato il tema della pandemia, che è stato, nelle sue parole, “un esempio molto bello di cooperazione e di come si possa essere costruttivi, per la creazione di un mondo migliore, e superare il pericolo comune. Esistono collaborazioni anche nel campo della medicina: i palestinesi che necessitano di cure specifiche e particolari vengono curati negli ospedali israeliani, e di questo siamo molto orgogliosi”.

L’ambasciatore ha anche rivendicato il carattere green di Israele, dove “quasi ogni casa in Israele è dotata di uno speciale dispositivo sul quale la luce del sole si riflette, generando acqua calda e non solo. Non utilizziamo altre forme di energia per il riscaldamento. E questo è solo un altro esempio. Ma sono più di 600 le aziende che si occupano di ecologia e agricoltura, sfruttando le risorse naturali per preservare la natura stessa”.

                                                FOCUS ANNIVERSARI

Cinquanta anni fa, l’1 luglio 1970 Paolo VI incontrò in Vaticano i leaders dei principali movimenti di liberazione dalle colonie portoghesi, Agostinho Neto che guidava il Mpla (Movimento Popular de Libertação de Angola), Marcelino dos Santos a capo del Frelimo (Frente de Libertação de Moçambique) e Amílcar Cabral, segretario generale del Paigc (Partido Africano da Independência da Guiné e Cabo Verde), che in quel periodo erano impegnati in un’unica battaglia per il rovesciamento della dominazione coloniale portoghese e l’instaurazione di società libere.

L’udienza era stata organizzata nei minimi dettagli. Arrivava al termine della “Conferência Internacional de Solidariedade para com os Povos das Colónias Portuguesas” che si era tenuta a Roma dal 27 al 29 giugno cui avevano aderito 177 organizzazioni politiche, sindacali e religiose in rappresentanza di 64 paesi. 

La scelta di Paolo VI causò un incidente diplomatico con il Portogallo: si trattava della prima volta nella storia che un Papa incontrava movimenti guerriglieri che stavano combattendo contro un “cattolicissimo” Portogallo.

La ripercussione avuta dall’udienza sul piano internazionale dimostrava il suo valore storico tanto per la lotta dei popoli quanto per il prestigio della Chiesa in Africa e nel mondo, anche dovuto dal fatto che Paolo VI donò ai leaders africani un libro di Giovanni XXIII e una copia dell’Enciclica Populorum Progressio chiedendo ai tre uomini, ha svelato successivamente il cardinale Achille Silvestrini, di non entrare in questioni politiche, “ma conosciamo la vostra aspirazione. La Chiesa, a questa aspirazione, non solo dà la sua simpatia, ma anche il suo sostegno”.

                                                FOCUS CINA

Legge di sicurezza di Hong Kong, le posizioni dei cardinali Zen e Tong

Il Cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, ha fortemente criticato le nuove leggi sulla sicurezza di Hong Kong in una serie di video pubblicati sulla pagina facebook dei “Cattolici preoccupati per la legge di sicurezza nazionale di Hong Kong”. Secondo il cardinale, la legge potrebbe colpire la libertà religiosa nel Paese.

Il Cardinale Zen si riferisce al pacchetto di leggi sulla sicurezza di Hong Kong approvate lo scorso 28 maggio, che criminalizzano qualunque cosa Pechino consideri una “interferenza straniera”, attivista secessioniste o sovversione del potere di Stato. In questi casi, le forze di sicurezza cinesi potranno operare ad Hong Kong. Chiunque si macchi di questi crimini può ricevere un minimo di 10 anni di prigione, e un massimo di prigione a vita.

L’opinione del Cardinale Zen è fortemente in contrasto con quella del suo successore, il Cardinale John Tong Hon, che oggi è amministratore apostolico della diocesi. Questi aveva affermato di credere che “la legge di Sicurezza Nazionale non avrà effetti sulla libertà religiosa, dato che l’articolo 32 della Legge Fondamentale garantisce che abbiamo libertà di religione, e possiamo anche predicare liberamente e tenere cerimonie religiose”.

Secondo il Cardinale Zen, la legge “non è solo contro la politica di “una nazione, due sistemi”, ma anche contro la legge fondamentale di Hong Kong.

Il Cardinale Zen ha detto che non condivide la fiducia del Cardinale Tong che la legge non verrà usata per portare la Chiesa locale sotto il controllo cinese, e sottolineato che “la nostra libertà religiosa significa che gli affari della Chiesa sono gestiti da noi stessi senza bisogno di coinvolgere il governo”.

Zen ha anche detto che Tong dovrà affrontare questioni cui “sarà difficile rispondere”, come per esempio la questione se l’Associazione Patriottica può combinarsi con la tradizione della nostra fede cattolica.

Il Cardinale Zen ha anche lamentato la mancanza di supporto o di reazione della Santa Sede sui recenti sviluppi in Hong Kong.

                                                FOCUS VATICANO

Julio Cesar Caballero Moreno, già ambasciatore di Bolivia presso la Santa Sede dal 2016 al marzo 2020, è stato nominato il 3 luglio capo ufficio della Pontificia Commissione per l’America Latina. Caballero Moreno ha rappresentato la Bolivia di Evo Morales presso la Santa Sede fino alle dimissioni di Morales a seguito di proteste post elettorali e il suo autoesilio.

Morales ha incontrato Papa Francesco sei volte durante il pontificato, spesso partecipando come ex cocalero agli incontri dei Movimenti Popolari in vaticano.

Julio César Caballero Moreno, esperto di comunicazione strategica e corporativa, gionalisti professionista, già Ambasciatore dello Stato Plurinazionale di Bolivia presso la Santa Sede (lettere credenziali 15 settembre 2016 – visita di congedo 9 marzo 2020), nato il 31 maggio 1965 a Santa Cruz è sposato e ha 3 figli. Laureato in Letteratura e Scienze giuridiche e sociali (Universidad Evangélica, Universidad Tecnológica Privada de Santa Cruz, Universidad del País Vasco, España, 2008), ha poi conseguito un Dottorato in Filosofia del Diritto (Universidad Privada de Santa Cruz, Universidad del Pais Vasco, España, 2013). Ha ottenuto anche un Master in Diritto costituzionale (Universidad Privada de Santa Cruz, Universidad del Pais Vasco, España, 2010) ed uno in Comunicazione Aziendale (Escuela Europea de Negocios

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