Mil'iya, 14 September, 2015 / 9:00 AM
Mil’iya significa “il punto più alto delle montagne.” È un piccolo villaggio a circa un’ora di viaggio dalla Domus Galileae, tra strade in salita e rocce e deserto. È qui che i vescovi del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee vengono a chiudere la giornata di domenica. Perché qui c’è una comunità greco melkita, solidissima da oltre 600 anni, isolata sulle montagne. Sono comunità antiche, di arabi israeliani, fieri della loro autonomia che ha permesso loro fin d’ora di non svolgere nemmeno il servizio militare. Festeggiano l’esaltazione della Croce. Ed è una festa cui partecipano oltre 5 mila persone.
I bambini, vestiti di bianco come piccoli accoliti, arrivano eccitati, si servono su un banchetto dove c’è acqua fresca per tutti, ma anche uno strano caffè che non è stile arabo, né turco, e un po’ di tè, immancabile da queste parti. Le donne, specialmente anziane, vanno ad accendere un piccolo lumino di fronte a una immagine della Madonna vestita di bianco, prospiciente la Chiesa che ha le caratteristiche della Chiesa ortodossa. Le mura ricordano che questo era un antico castello costruito qui dai crociati, con la pietra del luogo, bianca e slavata. In molti si radunano in chiesa a pregare, in attesa dell’inizio della processione.
I vescovi del CCEE presenti sono diventati 35. È arrivato il Cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana e vice del CCEE, e ha subito tenuto una relazione, in cui ha parlato dell’importanza della famiglia. Ha spiegato che, in un mondo in cui tutte le istituzioni crollano, la Chiesa e la famiglia sono ancora punti di riferimento importanti.
Alla mattina, i vescovi europei dicono Messa in rito maronita. La officia l’arcivescovo Youssef Suoeif, di Cipro. Nell’omelia, parla del Samaritano, sottolinea che nella logica del tempo non avrebbe dovuto fare quello che ha fatto. “Il buon Samaritano che vive nella bontà di Dio e nella sua misericordia, nella sua attitudine profetica, umana e diaconale, s’inchina davanti alle ferite di colui che le nostre categorie, il nostro egoismo e i nostri peccati considerano un nemico.”
Qual è il compito dei vescovi europei in Terrasanta? È cercare il “compimento del Regno di Dio,” un “regno di amore, dove c’è ancora odio e divisioni, è un regno di giustizia dove si violentano i diritti, la terra e la dignità della persona umana; è il regno dei poveri di Dio dove gli egoisti duri nei loro cuori, che siano essi individui o gruppi, lavorano solo per il proprio interesse.”
Parole nelle quali si rispecchiano i problemi dei cristiani di Terrasanta e di tutto il Medio Oriente. La loro situazione sembra quasi dimenticata, sovrastata dai problemi del terrorismo del Califfato che mette a ferro e fuoco la Regione, messa in secondo piano dal dramma degli immigrati che pure tocca profondamente i vescovi europei, e infatti ne hanno parlato, a più riprese. Parole che raccolgono anche la preoccupazione per l’espropriazione di terre a Cremisan, e di un muro che i vescovi andranno a visitare nei prossimi giorni.
“Noi, vescovi d’Europa, e con noi le nostre comunità, sentiamo in questo pellegrinaggio la forza della solidarietà fraterna e siamo qui in Terra Santa per gridare con le comunità vive: ‘Maranathà’,” dice l’arcivescovo Soueif. “Noi siamo con voi – aggiunge – e con voi diamo la mano a ogni ferito e sofferente, a questa terra che aspetta la pace. Con voi ascoltiamo il grido dei bambini che hanno il diritto di crescere in serenità e gioia; dei vostri giovani che sognano un futuro nei loro villaggi e città.”
I vescovi europei hanno voluto sentire il grido di dolore di una Chiesa che comunque – spiega il Patriarca Fouad Twal di Gerusalemme dei Latini ad Aci Stampa – è sempre stata “una Chiesa del Calvario.”
È anche per raccogliere questo grido della croce che i vescovi europei arrivano a Mil’iya, e si mettono a seguire e guidare allo stesso tempo la processione che celebra la festa dell’esaltazione della croce.
Dice il cardinale Erdo: “La croce di Gesù è la nostra speranza. La croce è la vittoria della misericordia divina sul peccato, sul male, sulle nostre debolezze e sulla morte. La croce ci protegge, come uno scudo. Ecco perché la portiamo all’inizio della nostra processione.”
Ricorda, il Cardinale, l’importanza della famiglia, apprezza la presenza di molte di loro in piazza, chiede – ancora una volta – preghiere per il Sinodo della famiglia, una preoccupazione costante di tutti i vescovi. “La croce, che spesso affligge le nostre famiglie, insieme alla croce di Cristo è vincitrice,” conclude il Cardinale Erdo.
E poi la processione, che si dipana per le strade del villaggio. Croci di luce vengono poste sulle porte, e si mette in atto una via Crucis abbreviata. Si arriva ad una scuola, anche questa chiusa, come tutte le scuole cristiane in questi giorni. E il tema della scuola e dei sussidi si sente nei discorsi. Poi viene chiamato il Cardinal Marc Ouellet, prefetto della Congregazione dei Vescovi, a parlare.
“In questi giorni qui vi abbiamo conosciuto meglio. Vi siamo stati vicini. Abbiamo conosciuto anche i vostri problemi di educazione. Vi chiediamo di non scoraggiarvi. Vi siamo vicini,” afferma il Cardinale, in un discorso intenso. E porta loro i saluti e la preoccupazione di Papa Francesco, e chiede, in cambio, preghiere per il Sinodo dei Vescovi. Perché sarà anche quella la croce per molti vescovi che sono qui.
Le Migliori Notizie Cattoliche - direttamente nella vostra casella di posta elettronica
Iscrivetevi alla newsletter gratuita di ACI Stampa.
La nostra missione è la verità. Unisciti a noi!
La vostra donazione mensile aiuterà il nostro team a continuare a riportare la verità, con correttezza, integrità e fedeltà a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
Donazione a CNA