Città del Vaticano , 05 June, 2020 / 9:00 AM
Sembrava fosse l’anno dei viaggi ecumenici, per Papa Francesco. Si diceva che sarebbe stato in Grecia, sulle orme di San Paolo, insieme al Patriarca Bartolomeo I, e in Sud Sudan, per dare aiuto ad una nazione martoriata, insieme al Primate Anglicano Justin Welby. Ed avevano avuto sapore ecumenico anche i viaggi in Bulgaria, Macedonia del Nord e Romania dello scorso anno, e prima ancora in Armenia e Georgia. Ma questa spinta ecumenica non si è fermata, nonostante il coronavirus. E prosegue, portata avanti dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che oggi compie 60 anni.
Era Pentecoste, il 5 giugno 1960. E fu in quell’occasione che Giovanni XXIII pubblicò il motu proprio “Superno dei Nutu”, che istituita il Segretariato per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che era il primo passo ufficiale della Chiesa Cattolica nel movimento ecumenico.
Le celebrazioni di quest’anno saranno caratterizzate da un vademecum ecumenico per i vescovi, pubblicato nel prossimo autunno, e il lancio della rivista Acta Oecumenica. E questa mattina il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio, presiede una Messa di ringraziamento nella cappella “Santa Maria Regina della Famiglia”, del Governatorato dello Stato di Città del Vaticano.
I sessanta anni della nascita del dicastero sono l’occasione per guardare indietro al Concilio Vaticano II. Giovanni XXIII era stato in Bulgaria e Turchia, aveva sposato la causa ecumenica, conosceva anche la situazione delle Chiese cattoliche di rito orientale. Per lui era ovvio che il Concilio dovesse essere ecumenico. E così lo pensò.
Ma l’istituzione di una Segreteria per l’Unità dei Cristiani non fu un salto nel buio, né una rottura con la tradizioni.
Già un secolo fa, in Scozia, ad Edimburgo, si tenne la prima Conferenza Mondiale sulla Missione che aveva lo scopo di prendere coscienza dello scandalo che varie chiese e comunità cristiane si facevano concorrenza nella missione. Fu lì che missione ed ecumenismo cominciarono a rimanere indissolubilmente unite.
Nel 1921 e il 1926, si tennero le Conversazioni di Malines tra Chiesa Cattolica e Comunione Anglicana, e già Leone XIII e Benedetto XV avevano incoraggiato con forza la Preghiera per l’Unità dei Cristiani, “l’anima di tutto il movimento ecumenico” secondo il decreto conciliare Unitatis Redintegratio.
Pio XII, poi aveva dato un ulteriore slancio all’impegno ecumenico con l’istruzione del Sant’Uffizio Ecclesia Catholica del 1950, in cui il movimento ecumenico veniva fortemente elogiato.
Nel 1952, poi, il prelato olandese Johannes Willebrands fondò la Conferenza Cattolica per le questioni ecumeniche che organizzava ogni anno incontri con i più importanti centri ecumenici cattolici. La Conferenza non ebbe mai una approvazione ufficiale da parte di Roma, ma teneva costantemente aggiornato il Cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto della Congregazione del Sant’Uffizio.
Sono tutti momenti preliminari che – ha spiegato il Cardinale Koch nel volume “Unità dei Cristiani: dovere e speranza” – mostra come “il Concilio Vaticano II, pur segnando una svolta ecumenica del tutto innovativa, si pone pur sempre nella continuità con la tradizione e non ne comporta una rottura. L’intento del Concilio non è infatti fondare una nuova Chiesa, ma rinnovare la Chiesa una, come è stato sottolineato dal duplice obiettivo presentato al Concilio da Papa Giovanni XXIII: il rinnovamento interno della Chiesa cattolica e la ricomposizione dell’unità ecumenica della Chiesa”.
Come si arriva all’istituzione del Segretariato? Per via del cosiddetto incidente di Rodi. Nel 1959, si teneva a Rodi, in Grecia, la riunione del Comitato Centrale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, e monsignor Willebrands e padre Jean-Crhistophe Dumont vi partecipavamo, come giornalisti, perché quella era l’unica forma concessa.
Padre Dumont cercò, nell’occasione, di incontrare privatamente alcuni teologi ortodossi, ma questo fu interpretato come un tentativo ufficiale di creare un ponte tra cattolici e ortodossi e allontanare questi ultimi dalla partecipazione al Consiglio Ecumenico delle Chiese. Questo si risentì, e disdisse un incontro previsto ad Assisi per l’ottobre 1959 tra i rappresentanti del Consiglio Ecumenico e la Chiesa Cattolica. Fu anche annullato un colloquio teologico misto tra cattolici e ortodossi programmato per il 1960 a Venezia.
Fu una reazione a catena che fece sentire la mancanza di un organismo cattolico che potesse sanare i malintesi, e fu fatta arrivare una proposta al Papa, per tramite del Cardinale tedesco Agostino Bea. Giovanni XXIII acconsentì a stabilire un organismo, e volle che il Cardinale Bea ne fosse a capo. E il Cardinale mise su una squadra, subito operativa, a partire da monsignor Willebrands.
Questi, nell’estate del 1960, era in Gran Bretagna per partecipare ad una riunione della commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese come osservatore, e si incontrò in segreto con il canonico Johan Saterthwaite, segretario pr le relazioni interecclesiali della Chiesa di Inghilterra. Durante l’incontro, fu comunicata l’intenzione dell’arcivescovo di Canterbury, Geoffrey Fischer, di fare visita a Giovanni XXIII. La notizia venne resa pubblica il 2 novembre. Fu un incontro particolare, perché non ci furono foto, né giornalisti, e ne resta notizia solo nelle scarne cronache dell’Osservatore Romano.
Eppure, da quella visita si apre un mondo nuovo. La comunione anglicana stabilisce un rappresentante permanente a Roma, nella persona del canonico Pawley, e questo esempio viene presto seguito: il Consiglio delle Chiese Evangeliche di Germania manda un rappresentante a Roma dal 1962, e nello stesso anno va a Roma Craig, moderatore della Chiesa Presbiteriana di Scozia, e partecipa all’inaugurazione del Consiglio anche Corson, presidente del Consiglio metodista mondiale.
Ma c’è un altro anniversario che si festeggia: quello di Giovanni XXIII e Jules Isaac, ex professore universitario di storia e alto funzionario dello Stato francese, che chiede di incontrare Giovanni XXIII a seguito della decisione del Papa di eliminare dalle preghiere del Venerdì Santo ogni riferimento ai “perfidi giudei”.
Isaac aveva una storia tragica alle spalle, sua moglie e sua figlia erano state arrestate nel 1943, deportate ad Auschwitz e uccise. Isaac aveva indagato i nessi tra le immagini più negative dell’ebraismo veicolate dai cristiani e l’ostilità nei confronti del popolo ebraico. L’incontro ebbe luogo il 13 giugno, e Isaac propose al Papa di istituire una sottocommissione per il dialogo con l’Ebraismo. Giovanni XXIII accettò la proposta.
La storia dei primi tempi del Segretariato è quasi eroica, tra resistenze e dibattiti al Concilio e l’incessante tela di relazioni messa su da Willebrands, che era stato nominato segretario del dicastero.
Ed è curioso notare come uno degli eventi più iconici in questo percorso non fosse in realtà stato preventivato: Paolo VI aveva intenzione di fare a Gerusalemme una visita pastorale, e fu il Patriarca Athenagoras a esplorare la possibilità, chiedendo subito di convocare in Terrasanta tutti i capi delle Chiese d’Oriente e di Occidente. Era una idea lanciata in un viaggio già definito, e la Santa Sede all’inizio nicchiò. Ma Paolo VI mandò un inviato al Fanar, il progetto fu ridotto nelle sue dimensioni, ma rimase in piedi. E l’incontro di Athenagoras e Paolo VI a Gerusalemme rappresenta forse proprio il punto di svolta. Dimostra che il Pontificio Consiglio è lì per un motivo. Lo stesso motivo da 60 anni.
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