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Un servizio di EWTN News

Nicaragua, nel cuore della crisi. Baez: “Il governo non agisce contro il coronavirus"

Il vescovo José Silvio Baez, ausiliare di Managua

La Chiesa in Nicaragua è sempre stata vicina alla popolazione, lì dove l’impegno evangelico è anche un impegno per la promozione umana. Ed è per questo che il vescovo Silvio José Baez, ausiliare di Managua, non ha mai avuto paura di dire quello che c’era da dire. Minacciato di morte, richiamato a Roma da Papa Francesco, ha portato avanti il suo lavoro pastorale. Da Miami, dove si trova con la sua famiglia in esilio e dove è rimasto bloccato per l’emergenza coronavirus, ha lanciato una denuncia fortissima contro il governo nicaraguense: invece di prendere misure preventive, sta promuovendo attività con moltitudini di persone che lo favoriscono.

La videoconferenza è stata organizzata da ISCOM, e il vescovo Baez non ha solo fornito una fotografia della situazione attuale. Ha anche spiegato come si è arrivati alla situazione in Nicaragua, tratteggiando la storia di una popolazione sempre in difficoltà e di una Chiesa sempre in prima linea. E ha sottolineato che la scelta di lasciare il Paese non è mai stata sua, perché il suo cuore è “in mezzo alla gente”.

Ma il Papa – ha raccontato – “all’inizio del 2019 mi ha chiesto di venire a Roma, senza alcuna missione particolare. Mi disse: ‘Non vorrei un altro vescovo martire nell’America Centrale’. In accordo con lui sono stato in diversi posti, non solo a Roma”.

Cosa deve fare la Chiesa in Nicaragua? Deve essere – spiega il vescovo Baez – “sacramento di comunione, accompagnando ogni tentativo di dialogo, anche quando sembra difficile. Deve credere in ogni negoziato possibile, senza autocensurarsi. Non deve cedere al silenzio per la paura di essere perseguitata”.

Il vescovo Baez ha anche sottolineato che i vescovi non sono “chiamati a svolgere compiti politici”, ma semplicemente la gente guarda alla Chiesa “in un vuoto di leadership”. Per quello, la sfida del futuro è quella della formazione dei laici, “ci devono essere cristiani che devono diventare politici” e “un programma pastorale a lunga scadenza alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa”.

Certo, per comprendere la situazione della Chiesa in Nicaragua non si può separare l’identità e la missione della Chiesa in quello che è “il secondo Paese più povero del continente, con 6 milioni di abitanti, senza una consolidata comunità democratica e con una Chiesa prevalentemente sacramentale, tradizionale, eppure sempre vicina alla gente”.

Tornando indietro alla storia, il vescovo Baez ha raccontato che “nel 1979 è stata rovesciata l’ultima dittatura del secolo scorso, la dittatura di Somoza, grazie a un movimento nazionale popolare che includeva la Chiesa, e il cui braccio armato era il Frente Sandinista de Liberacion”.

Furono momenti di speranza – ricorda l’ausiliare di Managua – in cui “sembrava che il continente latino americano avesse trovato una terza via e la sinistra comunista”. Si guarda anche alla Chiesa, perché molti dei dirigenti del Frente Sandinista venivano da scuole cattoliche. Ma era anche evidente il legame del Frente Sandinista con la rivoluzione cubana.

Nel 1990, il sistema stava per crollare. Daniel Ortega, che aveva preso il potere nel 1979, accettò di andare “ad elezioni libere democratiche” e per 10 anni ci sono stati “governi democraticamente eletti che non hanno saputo interpretare l’anelito di giustizia e libertà del popolo. Sono stati anni di corruzione e dimenticanza dei diritti dei più poveri. Il malessere è tornato nella società e così nel 2006 Daniel Ortega si è candidato alla presidenza e ha vinto le elezioni in maniera non molto chiara”.

Tornato al potere, Ortega ha cominciato “a smantellare le istituzioni democratiche del Paese – ha detto il vescovo Baez – e così nel 2018 la antica rivoluzione sandinista è diventata una nuova struttura dittatoriale del Paese”.

Si spiegano i fatti del 2018, che nascono come una protesta su una riforma delle pensioni, ma sono in realtà proteste contro un sistema che si è creato, fatto di corruzione, elezioni truccate ma anche distrazione di fondi di aiuti destinati alla popolazione verso la famiglia al governo, persino l’inizio della costruzione del canale intra oceanico avvenuta senza consultare la società, con il rischio di distruggere il lago di Nicaragua che è la risorsa di acqua più ricca del Centro America.

La Chiesa, da parte sua, non ha mai appoggiato il movimento rivoluzionario e si è trovata – ha spiegato il vescovo Baez – “in un equilibrio molto difficile da sostenere: da una parte vicino alla gente, portando avanti il lavoro ordinario di pastorale e promozione umana, e dall’altra ha dovuto manifestarsi profeticamente contro un regime che pian piano si consolidava come una nuova dittatura”.

Nonostante il difficile equilibrio esercitato dalla Chiesa, il governo ha cominciato a guardarla con sospetto, soprattutto a partire dal 2006, quando i sandinisti, da atei che erano, si professano cristiani e cominciano – ha denunciato il vescovo Baez – “una manipolazione della religione, del linguaggio, della teologia e dei dogmi cattolici e anche delle feste patronali nelle città. Il linguaggio del governo è diventato un miscuglio di ideologia, esoterismo ed espressioni della religione cattolica, nel tentativo di rendere il governo affidabile, vicino, amichevole”.

E il regime non ha “ascoltato con rispetto” la reazione della gente alle riforme del 2018, “ha piuttosto operato una repressione violenta, con forze militari o paramilitari, con civili armati per sparare, aggredire e uccidere la popolazione civile. Sono stati mesi di violenza, in cui il popolo disarmato è stato vittima di una aggressione brutale”.

Tuttora – ha detto l’ausiliare di Managua – “non si sa il numero di persone uccise”, mentre il governo ha anche usato la Chiesa come mediatore, salvo poi diventare freddo quando si è reso conto che la Chiesa manteneva una posizione neutrale, e hanno accusato la Chiesa di essere parte di un colpo di Stato.

Il vescovo Baez sottolinea che il Papa “è sempre stato vicino alla Conferenza Episcopale del Nicaragua”, dove dal 2018 non c’è diritto “di manifestare pubblicamente”.

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