Roma, 26 March, 2020 / 9:00 AM
“Epidemie, guerre, carestie, terremoti, fame e quant’altro sono momenti in cui la tentazione della disperazione è ancora più forte. Si giunge come i discepoli di Emmaus a coniugare al passato il verbo ‘sperare’ che dovrebbe invece aprire al futuro: ‘Speravamo’ (Lc 24,13-53).
Questo è accaduto spesso nella storia; proprio in quei periodi così bui c’è l’esigenza di profeti che come san Paolo insegnino a sperare contro ogni speranza (Rm 4,18) perché lo smarrimento non prenda il sopravvento e lo scoraggiamento non diventi asfissiante. Tali persone capaci di vedere e credere, ossia vedere più profondamente, vanno cercate soprattutto tra i santi; e così non meraviglia che lungo i secoli san Francesco d’Assisi sia stato riconosciuto un profeta capace di annunciare che dopo la notte c'è l'aurora e quindi il ritorno della luce. Ciò è avvenuto in momenti sociali particolarmente difficili quali lotte intestine tra papato e impero, periodi ecclesiali convulsi, il raffreddarsi della fede dilagando l'eterodossia e così via”.
Tutto questo è ora possibile conoscerlo grazie al libro di padre Pietro Messa, ‘Francesco profeta. La costruzione di un carisma’, che è definito nella prefazione dal prof. Andrè Vauchez come una pista pressoché inedita di conoscenza e approfondimento dell’esperienza cristiana del santo d'Assisi.
Infatti nel tempo Francesco d’Assisi fu riconosciuto come profeta, ossia persona dotata di doni profetici. Così, ad esempio, alcune fonti, dopo aver dimostrato che l’Assisiate fu apostolo, avendo imitato la vita di Cristo, ed evangelista, a causa della predicazione, affermano che il santo fu reso dal Signore profeta luminoso e straordinario.
Questo studio, che apre una nuovo filone di ricerca, mostra quanto il carisma profetico sia strettamente connesso con quello della speranza, e quindi del significato della storia e dell’azione in essa dello Spirito Santo. Fu proprio grazie alla forza propulsiva delle profezie dell’Assisiate che molti frati si incamminarono vero le terre più lontane a predicare il Vangelo, spesso con la consapevolezza che ciò avrebbe comportato dare la vita come accadde nel 1220 ai cinque frati Minori uccisi in Marocco e che sono venerati quali Protomartiri francescani.
All’autore del libro, padre Piero Messa, professore di Storia del francescanesimo alla Pontificia Università ‘Antonianum’ di Roma, abbiamo chiesto il motivo di un libro incentrato su san Francesco profeta: “Come scritto nella introduzione il libro ha richiesto 20 anni di studio avendo avuto inizio la ricerca nel 1998.
Ci si accorse che nelle fonti inerenti san Francesco d’Assisi vi erano molteplici profezie attribuite a lui: il futuro dell’ordine dei frati Minori, la crisi della Chiesa, la lotta con l’imperatore, un papa non eletto canonicamente, l’apparizione di gruppi ereticali e così via. Man mano che l’approfondimento proseguiva si è constatato che tutto ciò assumeva significati diversi e che risvegliava in chi le leggeva una forza carismatica non indifferente capace ad esempio di mobilitare molti frati a lasciare l’Europa per recarsi o nella terra di Cina o nell'America per annunciare il Vangelo.
A volte persino il tema della povertà è connesso con tali profezie: infatti solo coloro che vivono secondo la forma del Vangelo mediante una rigorosa povertà possono vincere la battaglia contro il Maligno e diventare pacificatori sulla terra”.
Quale fu il carisma profetico di san Francesco?
“Nel Testamento composto pochi mesi prima di morire l’Assisiate afferma di essere depositario di due rivelazioni ricevute dal Signore, ossia di vivere secondo la forma del santo Vangelo e di trasmettere a tutti il saluto ‘il Signore ti dia pace’. Dopo la canonizzazione, ossia il riconoscimento canonico della sua santità nel 1228, coloro che ne scrissero la Vita lo definirono profeta in quanto capace di comprendere il senso profondo di quanto il Signore dice attraverso la creazione, la storia e soprattutto la Scrittura. Questo aspetto della profezia fu evidenziato in particolar modo da Bonaventura il quale aggiunge che mediante la predicazione san Francesco comunicava a tutti il messaggio di salvezza conosciuto nella preghiera.
Lungo i secoli tale carisma profetico fu visto secondo angolature diverse e nell’attuale pontificato la prospettiva è quella del dialogo interreligioso e l’ecologia integrale. Questo non deve meravigliare perché come ha scritto recentemente mons. Massimo Camisasca ‘nel corso della sua storia [...] la dottrina sociale della Chiesa ha privilegiato, a seconda dei vari periodi storici, alcune tematiche, che venivano segnalate come il punto centrale di interesse per illustrare l'insegnamento del Vangelo nella sua dimensione più prettamente umanistica. [...]
Certamente, con il passare del tempo, tutte queste riflessioni si sono approfondite e ampliate. Ma è necessario ribadire che i temi della dottrina sociale sono sempre gli stessi, in quanto provengono sempre dalla medesima fonte: il Vangelo. L’annuncio di Cristo in contesti storici diversi ha imposto una riflessione rinnovata intorno alle grandi questioni umanitarie che interpellano la vita della Chiesa e del mondo intero’”.
Quale rapporto ha san Francesco con la malattia?
“Nato all’incirca nel 1182 e morto sabato 3 ottobre 1226 dopo il tramonto (e quindi liturgicamente già nella domenica che in quell’anno ricorreva il 4 ottobre) frate Francesco compì la sua Pasqua a 44 anni. Certamente non era anziano, ma per i tempi neppure molto giovane. Da anni soffriva di diverse malattie come quella agli occhi contratta quando nel 1219 si recò in Egitto e che lo condusse gradualmente alla cecità.
Frate Elia, ossia colui che si prendeva cura di lui e a cui l’Assisiate si affidò nell’infermità, lo condusse dai migliori medici del tempo che erano quelli della Curia papale in quel tempo stanziata a Rieti. Tentarono varie terapie ma inutilmente, anzi accrescendo le sue sofferenze.
Leggendo i vari episodi di questo periodo si coglie come Francesco ebbe come ogni uomo momenti di smarrimento e desolazione, ma che visse tutto ciò fidandosi di Colui che solo è buono, avendo una tenerezza verso le persone con cui entrava in contatto e nella speranza certa che la parola finale è la forza vittoriosa dell’amore del Signore”.
Quindi dopo la notte c’è l’aurora: quale speranza racconta il santo assisiate all’uomo?
“Il Cantico di frate sole, noto anche come Cantico delle creature, fu composto presso la chiesa di san Damiano fuori Assisi al termine di una notte insonne. Il fisico era fragile, la salute compromessa, gli occhi spenti; e certamente non vi era l’assistenza medica di oggi. Al termine di un durissimo conflitto esteriore e interiore ricevette l’assicurazione della salvezza eterna; ciò risvegliò in lui una letizia perfetta espressa nel Cantico che può essere definito un inno pasquale in cui tutte le creature sono chiamate a lodare il Signore.
Una volta vidi un filmato in cui la proclamazione del Cantico di frate sole, contrariamente a quanto avviene solitamente, era accompagnato non da idilliache immagini della natura ma per ogni elemento da fotografie catastrofiche. Così per il sole la carestia dovuta alla siccità, per l’acqua le alluvioni, per il vento le trombe d’aria, per il fuoco gli incendi dei boschi, e così via. Fu un vero e proprio pugno nello stomaco, ma quella è la rappresentazione più aderente alle fonti ed efficacemente mostra la forza pasquale di tale composizione. La letizia francescana è la consapevolezza della presenza discreta ma efficace del Risorto che fa nuove tutte le cose”.
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