Ginevra, 07 March, 2020 / 4:00 PM
La Santa Sede non ci sta: di fronte a un rapporto sulla libertà religiosa che addirittura arriva a proporre che le autorità internazionali spingano per un cambio di dottrina della fedi in favore dei diritti LGBT, risponde con una nota dura, pesata parola per parola, in cui si fa notare che più che una difesa della libertà religiosa, il rapporto si configura come “un attacco alla libertà religiosa”.
È successo lo scorso 2 marzo, al Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra. Il controverso rapporto arrivava quasi a teorizzare una libertà “dalla religione”, stigmatizzando anche il lavoro fatto in tre nazioni per arrivare alla definizione del matrimonio come “tra uomo e donna” come frutto delle pressioni di una maggioranza conservatrice religiosa, e attaccando tutte le fedi per non arrendersi ai nuovi diritti.
La reazione della Santa Sede al rapporto è la nota più importante di una settimana diplomatica scarsa di eventi particolarmente importanti. D’altronde, non c’è stato nessun incontro in Vaticano, per via degli esercizi spirituali della Curia, e molti eventi sono stati annullati a causa dell’emergenza coronavirus.
MULTILATERALE
Santa Sede a Ginevra, il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite
Proseguono le riunioni della 43esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra. Lo scorso 2 marzo, si è parlato della Libertà di Religione e di Credo, analizzato un rapporto annuale.
Un rapporto che la Santa Sede ha accolto con “sconcerto”, sottolineando che “sono particolarmente inaccettabili e offensivi i numerosi riferimenti che raccomandano che la libertà di religione o credo e l’obiezione di coscienza debba essere sottomessa alla promozione di altri cosiddetti diritti umani”.
Questi diritti umani, nota la Santa Sede, non hanno avuto consenso, e sono piuttosto una sorta di “colonizzazione ideologica” da parte di “alcuni Stati e istituzioni internazionali”.
L’arcivescovo Jurkovic, osservatore della Santa Sede a Ginevra, nota così che “il rapporto, almeno in parte, è in realtà un attacco alla libertà di religione e di credo, così come alla libertà di coscienza”.
L’arcivescovo Jurkovic afferma che “pesa ripetere che la Santa Sede ha sempre considerato la parola “gender” e i termini ad esso correlati “solo secondo l’uso ordinario e generalmente accettato della parola”, vale a dire basato sulla identità biologica maschile o femminile. La Santa Sede – ricorda l’osservatore – lo aveva già detto alla conclusione della conferenza sulle donne di Pechino del 15 settembre 1995.
La Santa Sede lamenta che il rapporto “sembri focalizzarsi meno sulla persecuzione di uomini donne, di ogni fede o credo personale, che sono perseguitati e discriminati”, mentre si concentra più “sullo spingere una visione della società umana che non è condivisa da tutti e che non riflette la realtà sociale, culturale e religiosa di molte persona”.
Secondo l’arcivescovo Jurkovic è persino “ironico” che ad un anno dalla Dichiarazione sulla Fraternità Umana firmata da Papa Francesco e dal Grande Imam di al Azhar il 4 febbraio 2019, “il rapporto non fa alcuna menzione degli sforzi fatti dai leaders religiosi di intervenire appena possibile per fermare la diffusione di sangue innocente e porre fine alle guerre”.
In maniera dura, l’arcivescovo Jurkovic nota che è “piuttosto spiacevole, sebbene sempre meno sorprendente data la frequenza in cui accade, che un rapporto delle Nazioni Unite, che dovrebbe difendere il diritto umano universale della libertà di religione e di credo come il diritto all’obiezione di coscienza, stia ora attaccando la stessa realtà che sta cercando di difendere”.
La Santa Sede al Consiglio dei Diritti Umani, la promozione dei diritti umani
Il 28 febbraio, il Consiglio dei Diritti Umani si è occupato dalla Promozione e Protezione di tutti i diritti umani, e in particolare dei diritti delle persone con disabilità.
Su questo tema, c’è stato un rapporto, che la Santa Sede ha letto con attenzione, affermando con molta preoccupazione che “nonostante significativi avanzamenti nel riconoscimento dei diritti di queste persone”, resta uno stigma negativo nella società.
L’arcivescovo Jurkovic nota che il Rapporto Speciale porta attenzione a una relazione “vicina ma conflittuale” tra le prospettive della bioetica e la promozione dei diritti delle persone con disabilità, e nota che entrambi i campi hanno bisogno di essere “costantemente fondati nel riconoscimento e nel rispetto della dignità inerente della persona umana”.
La delegazione della Santa Sede si dice preoccupata dalle moderne pratiche dello screening prenatale e delle diagnosi, evidenziate nel rapporto, perché queste “possono rinforzare e validare socialmente il messaggio che le persone con disabilità non avrebbero mai dovuto essere nate” e questo porta a misure di aborto forzato su bambini non nati solo potenzialmente affette da condizioni di disabilità”.
A questo proposito – afferma l’arcivescovo Jurkovic – la Santa Sede desidera stabilire inequivocabilmente che considera l’accesso alla salute riproduttiva come “un concetto olistico che non considera l’aborto o l’accesso all’aborto come parte di una dimensione di questi termini”.
Il rapporto ha notato anche la crescente vulnerabilità delle persone disabili per implementare le legislazioni sull’eutanasia e sul suicidio assistito. A questo riguardo, la Santa Sede cita la Carta delle Religioni Monoteistiche Abramiche su Questioni riguardanti la fine della vita, che sottolinea come “l’Eutanasia e il suicidio assistito sono inerentemente e consequenzialmente moralmente e religiosamente sbagliati, e dovrebbero essere proibiti senza alcuna eccezione. Qualunque pressione sui pazienti che muoiono perché terminino la loro vita con azioni attive e deliberate è categoricamente rifiutata”.
Santa Sede a New York, il segretario generale Guterres ospite d’onore al gala Path to Peace
Il gala Path to Peace è uno degli appuntamenti più attesi dell’anno, per la Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Quest’anno, ospite d’onore del gala, che si terrà il prossimo 20 maggio, sarà il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Gueterres”.
L’arcivescovo Giordano Caccia, osservatore permanetne della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha sottolineato che il gala in realtà onorerà “il lavoro delle Nazioni Unite in favore della pace negli ultimi 75 anni”.
In particolare, ha aggiunto, saranno onorati i “particolari contributi del segretario generale Guterres per i suoi molti anni di servizio alla causa della pace, ora come nono segretario generale, e precedentemente come Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Primo Ministro del Portogallo e in molti altri ruoli nel corso degli anni”.
(La storia continua sotto)
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Lo scorso 20 dicembre, Papa Francesco ha ricevuto il segretario generale Guterres e con lui ha filmato un appello congiunto per la pace nel mondo.
La Fondazione Path to Peace è stata fondata nel 1991 per supportare la Missione della Santa Sede e diffondere il messaggio di pace della Chiesa cattolica.
FOCUS EUROPA
Verso una rappresentanza pontificia in Armenia
La nunziatura di Armenia è storicamente legata con la nunziatura in Georgia, il nunzio risiede a Tbilisi. Ci potrebbe, però, essere presto una sede della nunziatura anche a Erevan, retta da un incaricato di affari che si dedichi esclusivamente ai rapporti della Santa Sede nella prima nazione cristiana.
Lo scorso 4 marzo, l’arcivescovo José Avelino Bettencourt, nunzio apostolico in Gerogia e Armenia, ha incontrato a Erevan il primo ministro armeno Tigran Avinyan.
Secondo un comunicato dell’ufficio del vicepremier, Avinyan ha detto che la stretta collaborazione tra Armenia e Santa Sede è basata non solo sui valori cristiani, ma anche sulla comune eredità storica e gli stessi approcci nell’affrontare varie sfide del mondo contemporaneo.
Entrambe le parti hanno espresso confidenza che, con sforzi comune, sarà possibile sviluppare ulteriormente e rafforzare le relazioni bilaterali, e hanno anche discusso la possibilità di aprire una residenza della nunziatura apostolica in Armenia.
L’intervento dell’arcivescovo Auza alla Conferenza Episcopale Spagnola
Durante l’assemblea plenaria della Conferenza Episcopale Spagnola, che ha eletto come presidente il Cardinale Omella Omella, arcivescovo di Barcellona, è intervenuto anche l’arcivescovo Bernardito Auza, nunzio apostolico della Santa Sede in Spagna.
Nel suo intervento, l’arcivescovo si è in particolare soffermato sul lavoro fatto per preparare i nuovi statuti della conferenza episcopale, che – ha detto- “godono già del riconoscimento della Santa Sede con data 3 dicembre 2019”.
In più, il nunzio si è congratulato per il successo del recente congresso dei Laici, cui Papa Francesco ha inviato un messaggio. “Questa sinodalità – ha detto l’arcivescovo Auza - si prepara partendo dalle istanze della vostra collegialità. Essa deve essere vissuta da ciò che il Papa chiama la ‘mistica’ di vivere insieme”.
Citando Evangelii Gaudium, il nunzio ha sottolineato che da quella sinodalità “si può valutare l’esercizio congiunto del ministero episcopale in relazione a quei problemi che, concernendo tutte le comunità diocesane, devono essere affrontati con criteri e iniziative comuni”.
FOCUS AMERICA LATINA
L’ausiliare di Belo Horizonte parla alle Nazioni Unite
Lo scorso 2 marzo, il vescovo Vicente de Paula Ferreira, ausiliare di Belo Horizonte, ha preso la parola al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite per discutere della difficile situazione che si vive in Brasile.
Il vescovo di Belo Horizonte si è in particolare soffermato sugli effetti delle attività delle imprese minerarie, in particolare per i disastri nelle miniere, come l’ultimo episodio di Brumadinho, del 25 gennaio 2019, che ha causato 272 tra moriti e disperis.
Il vescovo è vicepresidente della Commissione Episcopale per l’Ecologia integrale e le miniere della Conferenza Episcopale Brasiliana. Il vescovo de Paula Ferrerira ha denunciato che “sebbene il brasile sia stato considerato come un esempio di buone pratiche, la realtà differisce dalla legislazione del Paese, per questo il vescovo ha chiesto che “il governo del Brasile ratifichi l’accordo di Escazù”. Approvato da 24 Paesi nel marzo 2018, l’accordo di Escazù è il primo trattato ambientale di diritti umani in America Latina e Caribi, e ha come obiettivo di garantire l’accesso all’informazione della partecipazione dei cittadini e all’accesso alla giustizia negli affari ambienti. Anche il Brasile ha firmato l’accordo, ma non lo ha ratificato.
Il vescovo de Paula Ferreira ha ricordato che è già passato un anno dalla strage di Brumadinho e cinque anni da quella di Mariana, disastri che hanno provocato la continuazione “degli effetti nocivi sulle comunità locali e sull’ambiente”, mentre ci sono “40 mila imprese a rischio di collasso o a rischio di danni nello stato di Minas Gerais, la cui capitale è appunto Belo Horizonte.
Papa Francesco, in particolare, aveva preso a cuore la strage di Brugadinho, e nel maggio 2019 inviò in Brasile monsignor Bruno-Marie Duffé, segretario del dicastero per lo Sviluppo del Servizio Umano Integrale. Non solo: ad un anno dalla tragedia, Papa Francesco ha registrato un video in cui si chiedeva ai fedeli che offrissero “solidarietà alle famiglie delle vittime, un appoggio all’arcidiocesi e a tutte le persone che stanno soffrendo e che necessitano del nostro aiuto”.
Il vescovo ausiliare di Belo Horizonte ha infine sottolineato che “non sarà possibile realizzare progressivamente il diritto ad un ambiente sicuro, limpido salutare e sostenibile in Brasile se il governo non assume i suoi obblighi internazionali, inclusa la prevenzione e la garanzia che le imprese siano responsabilizzate e combattano l’impunità come un impedimento per evitare che disastri criminosi accadano ancora una seconda volta”.
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