Città del Vaticano , 20 January, 2020 / 9:00 AM
È una Europa che deve respirare con due polmoni, che è chiamata a mettere in atto un “ecumenismo della riconciliazione” insieme ad un “ecumenismo della vita”, che sono pre-condizioni essenziali per arrivare alla piena unità. E mai come quest’anno la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani ha un senso profondamente europeo.
Prima di tutto, per il tema: “Ci trattarono con gentilezza”. È un passo degli Atti degli Apostoli, si riferisce al naufragio di Paolo a Malta (oggetto tra l’altro di una delle catechesi di Papa Francesco dedicate agli atti degli Apostoli) e il sussidio è stato studiato proprio nell’isola, centro del Mediterraneo e centro di passaggio dei migranti.
Quindi, perché questa settimana arriva al termine di un anno caratterizzato da una particolare attenzione per le nazioni ortodosse, dato che Papa Francesco ha viaggiato prima in Bulgaria e Macedonia del Nord e poi in Romania – viaggi tra l’altro ricordati all’incontro di inizio anno con il corpo diplomatico.
Quello dei viaggi ecumenici è un trend che dovrebbe continuare quest’anno – anche se niente è ancora ufficiale – con i viaggi che sono allo studio a Cipro, dove c’è l’ultimo muro d’Europa, in Montenegro, dove tra l’altro c’è una querelle intraortodossa difficile da sbrogliare, e in Grecia, sulle orme dell’apostolo Paolo, tra Filippi e Salonicco, insieme al Patriarca ecumenico Bartolomeo. Senza contare che il Papa desidera andare in Sud Sudan insieme al primate anglicano, l’arcivescovo Justin Welby.
Infine, c’è il rapporto con il mondo protestante, cruciale per l’Unione Europea, che fu fondata proprio da cattolici e protestanti, mentre l’altra parte della Cortina di Ferro era ortodossa e nelle catacombe.
Le Chiese ortodosse in Europa
Di questa particolare situazione europea ha parlato padre Hyacinthe Destivelle, officiale del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, intervenendo a Strasburgo all’incontro che ha celebrato i cinquanta anni della partecipazione della Santa Sede al Consiglio d’Europa. L’incontro ha avuto luogo tra il 7 gennaio e ha visto anche la partecipazione dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher.
Padre Destivelle è andato ad analizzare soprattutto l’apporto delle Chiese ortodosse in Europa, diventato cruciale dopo la caduta della Cortina di Ferro. “Basta ricordare – ha detto – che dopo il 1989 dieci paesi maggioranza ortodossa hanno aderito al Consiglio d’Europa: la Bulgaria, la Romania, l’Ucraina, la Moldavia, la Macedonia del Nord, la Russia, la Georgia, l’Armenia, la Serbia e il Montenegro”. Queste si sono aggiunte a Grecia e Cipro, che erano fino ad allora le due sole Chiese ortodosse membro di quell’istituzione.
Insomma, la caduta della Cortina di Ferro ha “permesso di prendere una rinnovata coscienza che l’ortodossia è una realtà essenzialmente europea”. Sebbene l’ortodossia non rappresenti che l’8 per cento dei cittadini Europea, la pratica religiosa è molto elevata, testimoniata anche dal “rinnovamento spettacolare ma fragile delle Chiese ortodosse in Europa”.
Un rinnovamento che si è rispecchiato – nota padre Destivelle – in un forte nazionalismo da parte di quelle Chiese in nazioni sotto l’Unione Sovietica (l’85 per cento degli ortodossi del mondo, in periodo di Cortina di Ferro, era nel blocco sovietico), e questo ha portato alla costruzione di grandi cattedrali ortodosse ovunque: quella di Cristo Salvatore a Mosca nel 2000, quella della Santa Trinità a Tbilisi nel 2004, quella della Resurrezione di Cristo a Podgorica nel 2013, quella della Resurrezione di Cristo a Tirana nel 2014, quella di San Sava a Belgrado nel 2019 e quella della Redenzione Nazionale a Bucarest nel 2018, la più grande al mondo, la cui costruzione è cominciata grazie a una donazione di Giovanni Paolo II.
Non solo. Dopo la caduta del Muro di Berlino, le Chiese ortodosse sono cresciute. Padre Destivelle ha messo in luce, numeri alla Mano, che la Russia ha più che triplicato il numero di diocesi, quintuplicato quelle delle parrocchie, moltiplicato a dismisura ai monasteri, mentre trend di crescita considerevoli si sono visti anche in Georgia, favoriti dal fatto che la Chiesa ortodossa è considerata Chiesa nazionale, ma anche in Albania, dove il regime ateo aveva messo da parte ogni religiosità.
Con la spinta nazionalista, sono nate anche le spinte per altre Chiese autocefale, di cui la questione ucraina è solo l’ultimo caso. Ci sono state spinte per Chiese autocefale in Estonia, Lettonia, Moldavia, nell’esarcato di Bielorussia, e oggi in Montenegro, che la Serbia considera sua territorio canonico.
Sono tensioni all’interno dell’ortodossia, cui poi si sono aggiunte le tensioni tra le Chiese ortodosse e quelle cattoliche di rito bizantino, anch’esse uscite dalle catacombe, che hanno rivendicato la restituzione di beni e parrocchie che erano state incamerate dalle Chiese ortodosse. È successo in Russia, dove il Patriarcato di Mosca ha persino accusato i cattolici di proselitismo, ma anche in Romania.
Sono tensioni che si sono poi riversate anche in una crisi ecumenica, perché a seguito di queste alcune chiese ortodosse dell’Est hanno lasciato i tavoli di confronto ecumenico: la Chiesa ortodossa di Georgia ha lasciato nel 1997 il Consiglio Ecumenico delle Chiese e la Conferenza delle Chiese Europee, e lo stesso ha fatto la Chiesa ortodossa bulgara nel 1998 e nel 1999, mentre sono stati fondati consigli ecumenici in Repubblica Ceca e Slovacchia nel 1993, in Slovenia nel 1995, mentre in Russia fu messo in atto un “Comitato consultivo interconfessionale cristiano dei Paesi della Comunità di Stati indipendenti”. Nel 1997, fu istituito in Bosnia un Consiglio interreligioso, nel 2005 un Consiglio delle Religioni presso il Mediatore Civile di Georgia.
Tensioni che fanno concludere a padre Destivelle che “il lavoro più urgente concerne la purificazione della memoria”. E dunque non si possono che vedere con favore la riconciliazione tra Patriarcato di Mosca e Chiesa di Polonia portata avanti nel 2012, ma anche – sottolinea l’officiale del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani – la commissione mista ortodossa cattolica sulla figura del Beato Aloizije Stepinac.
Altro tema, quello dell’ecumenismo pratico, dato, appunto, anche dall’accoglienza. È successo tra le Chiese di Albania nel 1999-2001 durante la guerra in Kosovo per dare accoglienza ai rifugiati, succede anche oggi in Ucraina con una onlus che mette insieme tutte le Chiese cristiane e le altre confessioni religiose per aiutare le vittime della guerra, non menzionato da padre Destivelle.
Ma sono anche molti altri i campi delle collaborazioni pratiche, anche quella della difesa dei valori cristiani di fronte alle colonizzazioni ideologiche – come le chiamerebbe Papa Francesco – dell’Europa. Un esempio è “la decisione del 2012 della Commissione Europea di obbligare la Slovacchia a rimuovere l’aureola dei Santi Cirillo e Metodio sulle monete da 2 euro, coniate in occasione del 1150 anniversario dell’arrivo dei due missionari, “ha creato indignazione nei Paesi in cui coscienza e pratica cristiana restano forti”. È questo il tema dell’ecumenismo dei valori, un altro campo di collaborazione nel campo ecumenico, conclude padre Destivelle.
Il dialogo con le Chiese cristiane sulla ecclesiologia
Fin qui, padre Destivelle. Ma quali sono le attività ecumeniche dell’anno? Il tema dell’ecclesiologia è stato particolarmente importante. Quest’anno, è stato pubblicato il commento documento “La Chiesa: verso una visione comune”, pubblicato nel 2013 dalla Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Don Andrzej Chormanski, officiale del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha spiegato che il documento non riguarda una nuova “ecclesiologia ecumenica” che punta a sostituire le “ecclesiologie confessionali esistente”, e che per questo si è redatta una risposta cattolica, in quindici punti, discussa anche nelle riunioni della commissione, l’ultima delle quali si è tenuta a Bossey, in Svizzera, dall’8 all’11 gennaio 2020.
Il documento “La Chiesa: verso una visione comune. Una risposta cattolica” conta 77 anni, è stato preparato a lungo, e punta a mostrare i punti di contato, più che di divisione.
Don Choromanskij nota che “un’importante convergenza è stata raggiunta per quanto riguarda la relazione tra Chiesa e mondo” e che il documento in discussione “sviluppa il carattere missionario della Chiesa, che anima l’intero documento”, insistendo sul fatto “che l’evangelizzazione, l’incontro interreligioso e il dialogo con le persone che non professano alcuna fede sono aspetti essenziali dell’attività missionaria della Chiesa”. Temi accolti favorevolmente dalla risposta cattolica.
Per quanto riguarda il tema dell’unità, la “Risposta” “afferma che può essere scoperto un profondo riavvicinamento con il pensiero ecclesiologico cattolico su questo punto”.
Molto ben accolto anche il passaggio che sottolinea come “i tre elementi essenziali della comunione riguardano la fede, il culto e il ministero o servizio”.
(La storia continua sotto)
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In particolare, la risposta nota che “l’unità fa parte di quelli che sono definiti “elementi essenziali”, mentre la diversità è consentita in tutti gli altri aspetti della vita della Chiesa, come la liturgia, le usanze e il diritto, la spiritualità e la teologia”, e che però “la diversità non è illimitata. Questo è il motivo per cui la risposta esprime un particolare apprezzamento nei confronti dell’affermazione esplicita di La Chiesa: verso una visione comune secondo cui la diversità, quando supera i limiti accettabili, può distruggere l’unità”.
Particolarmente interessante il tema del “ministero della supervisione”, cosa che nella risposta cattolica viene portata al punto di sottolineare che “può essere applicata non solo a coloro che esercitano l’episkopé a livello locale, ma anche al Vescovo di Roma, che, come Pontefice universale, esercita il ministero della supervisione in tutta la Chiesa. Non va trascurato il fatto che la missione del Papa consiste nel preservare non solo l’unità della Chiesa, ma anche la sua legittima diversità, come esplicitamente affermato dal Vaticano II”. Sarebbe un tema che potrebbe aiutare nel dialogo ecumenico.
Si tratta, comunque, di un testo che non va considerato un traguardo, sottolinea don Choromansky, e in fondo sono necessari ulteriori studi su “il rapporto tra diversità e separazione, la questione di un ministero universale del primato al servizio dell’unità dei cristiani, il sacramento e la sacramentalità della Chiesa, la tradizione apostolica, l’autorità nella Chiesa, l’antropologia, il significato ecclesiologico delle cosiddette “nuove Chiese” e “Chiese emergenti”, i carismi e la dimensione carismatica della Chiesa, la secolarizzazione come sfida per le Chiese e la spiritualità ecumenica”.
Il tema dell’accoglienza
Tra le sfide dell’ecumenismo pratico, di certo c’è quella dell’accoglienza. Come detto, il sussidio di preghiera è stato preparato a Malta, dove Paolo naufragò.
La Conferenza episcopale maltese ha assegnato a monsignor Hector Scerri la formazione di un gruppo ecumenico locale che redigesse il testo.
La narrazione del sussidio inizia con Paolo condotto prigioniero a Roma, in una barca con altri 276 passeggeri che rischiano il naufragio e che invece vengono salvate dalla provvidenza di Dio.
Si legge nel sussidio che oggi “molte persone affrontino gli stessi pericoli nello stesso mare”, e che “l’indifferenza umana assume varie forme: l’indifferenza di coloro che vendono a persone disperate posti in imbarcazioni non sicure per la navigazione; l’indifferenza di persone che decidono di non inviare gommoni di salvataggio; l’indifferenza di coloro che respingono i barconi di migranti”. È un racconto, si legge nel sussidio, che “ci interpella come cristiani”.
Un martirologio comune
Questo è l’ecumenismo pratico, dunque. Ma c’è anche il tema dell’ecumenismo del sangue, molto importante per Papa Francesco, che lo ha ribadito anche durante il suo viaggio in Armenia nel 2016 nonché nei recenti viaggi nei Balcani.
In realtà, il tema era stato già sviluppato 25 anni fa da San Giovanni Paolo II nella sua enciclica Ut Unum Sint.
In un articolo sull’Osservatore Romano del 17 gennaio scorso, il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani ha messo in luce come Giovanni Paolo II abbia “messo in luce il doloroso fatto che alla fine del secondo millennio e all’inizio del terzo la cristianità è tornata a essere una Chiesa di martiri, in una misura senza precedenti. I martiri di oggi sono infatti più numerosi rispetto a quelli che hanno subito le persecuzioni contro i cristiani nei primi secoli. L’ottanta per cento di coloro che vengono perseguitati a causa della loro fede oggi sono cristiani. La fede cristiana è la religione più perseguitata nel mondo odierno”.
Si tratta di un fenomeno che ricorda che “la Chiesa cristiana è sempre una Chiesa del martirio”. E così, “nell’ecumenismo dei martiri Papa Giovanni Paolo II ravvisa già un’unità fondamentale tra noi cristiani e nutre la speranza che i martiri dal cielo ci aiutino a ritrovare la piena unità”, dato che “mentre noi cristiani e noi Chiese su questa terra siamo ancora in una comunione imperfetta, i martiri nella gloria celeste vivono già in una comunione piena e compiuta. Il sangue che i martiri hanno versato per Cristo non ci separa, ma ci unisce”.
Il Cardinale Koch ha poi menzionato particolarmente “quei martiri cristiani che hanno consapevolmente dato la vita per la sacra causa dell’unità dei cristiani”, e in particolare “Max Metzger sacerdote incardinato nell’arcidiocesi di Friburgo, che si impegnò a favore del movimento ecumenico già molto tempo prima del suo arresto da parte dei nazisti” e che “comprese la sua imminente esecuzione come offerta espiatoria resa al Signore per la pace del mondo e per l’unità della Chiesa, due cause che aveva particolarmente a cuore”.
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