Strasburgo, 11 January, 2020 / 4:00 PM
I cinquanta anni della Santa Sede al Consiglio d’Europa sono stati celebrati con tre giorni di dialogo all’Università di Strasburgo, durante i quali l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “Ministro degli Esteri” della Santa Sede, è intervenuto proponendo una visione di Europa cristiana, ancorata ai diritti umani, legata alle radici.
Nella settimana segnata anche dal discorso di Papa Francesco al corpo diplomatico, è da segnalare anche l’ennesimo intervento del Cardinale Joseph Zen Zekiun, vescovo emerito di Hong Kong, sulla questione Cina. Il Papa non ha menzionato la Cina nel suo discorso al corpo diplomatico, e il suo atteggiamento sulla situazione di Hong Kong di ritorno dal Giappone aveva portato all’apprezzamento del ministero degli Esteri cinese. Il Cardinale Zen ha molte riserve sul rapporto con Pechino, specialmente sull’accordo confidenziale sulla nomina dei vescovi e sugli orientamenti pastorali che vi sono succeduti, sui quali ha già diffuso dei dubia sui temi dell’accordo.
L’arcivescovo Gallagher al Consiglio d’Europa
Parlando della sua visione di Europa, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, ha ricordato che, nell’anno in cui la Santa Sede festeggia 50 anni di partecipazione al Consiglio d’Europa, si celebrano anche i 70 anni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale “costituisce una vera pietra d’angolo per la protezione delle persone da ogni violazione dei diritti umani”, ed è anche “un punto di riferimento per le attività del Consiglio d’Europa”.
Consapevole che non c’è una visione univoca dell’Europa, l’arcivescovo Gallagher ha messo in luce alcune idee di un progetto di costruzione europea che partono prima di tutto dal “rispetto dei diritti umani e della dignità della persona umana”.
Centro delle attività diplomatiche della Santa Sede, “i diritti umani costituiscono un patrimonio fondamentale, di cui ogni persona è dotata”, a prescindere da “razza, etnia, sesso, opinione, nazionalità o religione”, ed è un tema cruciale per la Santa Sede che “con la sua presenza attiva in seno alla comunità internazionale ha contribuito e contribuisce ancora alla formazione del corpus giuridico internazionale che protegge e garantisce ogni diritto fondamentale della persona umana attraverso norme particolari”, nonché allo sviluppo e alla riflessione sui diritti umani.
Tra il modo in cui la Santa Sede contribuisce alla difesa dei diritti umani, c’è l’adesione a Convenzioni, che sono anche occasioni per un intervento anche “quando formulazioni o idee avanzate si rivelano contraddittorie rispetto alla sua natura particolare e i suoi fini religiosi specifici, oppure quando contrastano con una visione antropologica rispettosa della dignità della persona umana e dei suoi diritti inscritti nella natura”.
L’arcivescovo Gallagher ricorda che la riflessione dottrinale della santa Sede sui diritti umani si è sviluppata molto nel secolo scorso, partendo dal principio cardine che la persona umana è creata ad immagine di Dio e salvata da Cristo, e che dunque la Chiesa è chiamata a “proteggere l’uomo nella sua inviolabile dignità”.
Per l’arcivescovo Gallagher, “la missione cristiana autentica sarà sempre quella che testimonierà la dignità umana.
Oltre ad essere fondata sui diritti umani, l’Europa deve essere fondata sull’approccio educativo, simboleggiato dal Patto Educativo globale convocato da Papa Francesco a Roma il prossimo 14 maggio.
Quindi, l’approccio migratorio, anche questo centrale nel magistero di Papa Francesco, che va affrontato con chiarezza ed evitando i malintesi di “una assimilazione intesa come rinuncia alla proprio identità per assumere l’identità del popolo nel quale ci si stabilisce e nel quale si vive”, e quello di “una chiusura dei migranti in se stessi e nella propria identità”, nonché quello di “rinunciare alla propria identità per rispetto verso le altre identità”.
Quest’ultimo malinteso è “un rischio in ogni convivenza civile”, perché “laddove l’uomo non riesce ad esprimersi liberamente, per timore di offendere la sensibilità dell’altro, si assiste a un fenomeno di allineamento sul minimo comune denominatore e si finisce per creare una società amorfa, priva di ideali, che può facilmente ritrovarsi alle prese con le passioni del momento.
L’arcivescovo Gallagher quindi denuncia il rischio “molto concreto” che il fenomeno migratorio “si svolga in modo selvaggio e divenga terreno fertile per il traffico di esseri umani”, notando come “il rischio di una migrazione senza umanità resta molto elevato”.
Per il “ministro degli Esteri” vaticano, l’Europa deve essere costruita anche sull’approccio interreligioso, rimanendo “sempre attenti a questi tentativi di utilizzare la religione come un pensiero ideologico unico”, perché “ne conseguirebbe facilmente una strumentalizzazione della religione stessa”, come succede con il terrorismo in nome di Dio.
Quindi, c’è necessità di un approccio interculturale, perché “le culture sono la vera ricchezza dell’umanità, ma hanno sempre bisogno di essere purificate dalle distorsioni che di tanto in tanto le minacciano”, considerando che “oggi la cultura dell’effimero e di morte si impone con forza”.
Da qui, la necessità di un approccio etico, perché questa si trova spesso ridotta a un semplice consenso, “prescindendo dall’indispensabile legame con la natura umana”, e “in tale contesto, i cristiani hanno un ruolo particolarmente importante da svolgere in Europa”, con la loro “testimonianza in seno alla società” chiamato a mettere in luce che “il fondamento etico sia ancorato all’oggettività della natura, piuttosto che nella soggettività della volontà del legislatore, o peggio ancora nella corrente dominante”.
Ultimo, ma non in ordine di importanza, l’approccio politico, che deve partire dall’evitare che “l’autorità sia vissuta solo come la ricerca di vittorie e consensi”.
Per ricostruire l’Europa, conclude Gallagher, c’è “bisogno di unità”, e in particolare “l’unità tra la persona umana e l’etica, tra la persona umana e la politica, tra la persona umana e il lavoro, tra la persona umana e ogni altra attività che svolge sotto il sole”, dato che “spesso trascuriamo il fatto che la persona umana è al tempo stesso anima, spirito e corpo. Come il corpo vive e si evolve, lo stesso vale per lo spirito e l’attività dell’anima. La persona umana oggi, in questa Europa, ma anche, più in generale, in questo mondo, è chiamata a riflettere la bellezza di questa evoluzione unitaria”.
Durante la sua permanenza a Bruxelles, l’arcivescovo Gallagher ha anche avuto modo di incontrare Marija Pejcinovic Buric, segretario generale del Consiglio d’Europa. Il segretario generale partecipava al convegno, e ha sottolineato l’impegno di lunga data della Santa Sede nell’organizzazione e la collaborazione portata avanti sul campo dell’eredità culturale e altre aree.
La Santa Sede coopera con il Consiglio d’Europa dal 1962, e dal 7 marzo 1970 diventato Stato Osservatore. Al 2014, la Santa Sede aveva ratificato 6 convenzioni del Consiglio d’Europa e partecipato a diversi accordi parziali, sia come Stato membro che come Stato Osservatore.
La missione della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo ha lo scopo di intrattenere un dialogo costruttivo con i 47 Paesi membri del Consiglio e i 5 Paesi osservatori, appoggiando tutte le iniziative che puntino a costruire una società democratica fondata sul rispetto della dignità dell’essere umano.
QUESTIONE CINA
Cardinale Zen, ancora dubia sulla Cina
È stata diffusa, attraverso il blog di Marco Tosatti, una lettera che il Cardinale Joseph Zen Zekiun ha inviato ai suoi confratelli cardinali, datata 27 settembre 2019. La lettera presenta una dura critica degli “Orientamenti pastorali circa la registrazione civile del clero in Cina”. Il documento era una risposta della Santa Sede alla situazione che si era creata dopo l’accordo confidenziale sulla nomina dei vescovi. A seguito dell’accordo, le autorità cinesi avevano fatto pressioni a quanti non si erano registrati con l’Associazione Patriottica, ovvero l’associazione di Stato cinese.
(La storia continua sotto)
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Gli orientamenti sottolineavano che non c’è un obbligo dei fedeli a registrarsi civilmente e che, se proprio devono farlo, è meglio che lo facciano in presenza di testimoni, per rendere chiaro che la registrazione civile non va a toccare i principi della sua fede cattolica, ovvero il fatto che sugli affari della fede non ci si separa mai dall’obbedienza al Papa.
Già in passato il cardinale Zen aveva espresso i suoi dubia sugli orientamenti pastorali, arrivando a luglio a Roma per cercare anche un incontro con Papa Francesco e con il Cardinale Pietro Parolin.
Nella missiva, il Cardinale Zen sottolinea che il problema “non riguarda solo la Chiesa in Cina, ma tutta la Chiesa”.
Il Cardinale sottolinea che gli orientamenti chiaramente “incoraggiano i fedeli in Cina a entrare in una Chiesa scismatica (indipendente dal Papa e agli ordini del Partito Comunista).
Il Cardinale Zen sottolinea che “il Cardinale Parolin dice che quando oggi si parla della Chiesa indipendente non si deve più intendere questa indipendenza come assoluta, perché nell’accordo si riconosce il ruolo del papa nella Chiesa Cattolica”.
Secondo il Cardinale Zen “non riesce a credere che ci sia tale affermazione dell’accordo”, e comunque “tutta la realtà dopo la firma dell’accordo dimostra che niente è stato cambiato, anzi”.
Il Cardinale Zen denuncia anche la “manipolazione” del pensiero di Benedetto XVI nella lettera ai cattolici cinesi del 2007, e afferma con durezza che gli fa “ribrezzo anche che sovente dichiarano che ciò che stanno facendo è in continuità con il pensiero del papa precedente, mentre l’opposto è vero. Ho fondamento per credere (e spero un giorno di poter dimostrare con documenti di archivio) che l’accordo firmato è lo stesso che Papa Benedetto aveva, a suo tempo, rifiutato di firmare”.
La lettera andava con due allegati, che sono appunto i dubia sugli orientamenti pastorali.
In particolare, nota che negli Orientamenti ci sono due problemi e due soluzioni.
Il primo è “è che il governo rinnega le sue promesse di rispettare la dottrina cattolica e nella registrazione civile del clero richiede quasi sempre di accettare il principio di indipendenza, autonomia, autoamministrazione della Chiesa in Cina”. E di fronte a una situazione complessa, sempre diversa, la Santa Sede “da una parte non intende forzare le coscienze, e perciò chiede (omettendo di dire esplicitamente ‘al governo’) che si rispetti la coscienza cattolica” e dall’altra “pone come principio generale che ‘la clandestinità non rientra nella normalità della vita della Chiesa’. (lettera papa Bendetto 8.10), cioè è normale che ne esca”.
Il Cardinale Zen ripropone l’intero paragrafo della lettera di Benedetto XVI, diviso in quattro parti.
a) “Alcuni di essi (vescovi) non volendo sottostare a un indebito controllo, esercitato sulla vita della Chiesa, e desiderosi di mantenere una piena fedeltà al Successore di Pietro e alla dottrina cattolica, si sono visti costretti a farsi consacrare clandestinamente.”
(b) “La clandestinità non rientra nella normalità della vita della Chiesa,”
(c) “e la storia mostra che Pastori e fedeli vi fanno ricorso soltanto nel sofferto desiderio di mantenere integra la propria fede,”
(d) “e di non accettare ingerenze di organismi statali in ciò che tocca l’intimo della vita della Chiesa.”
Ma, aggiunge, “padre Jeroom Heyndrickx e il cardinale Parolin amano citare solo la parte (b); papa Francesco (nel suo messaggio 26 Sett. 2018) aggiunge anche la parte (c); ma a me sembra che siano importanti anche la parte (a) e (d)”.
È, insomma, la situazione che è anormale. La domanda del Cardinale Zen è dura: “C’è qualcosa di logico nei sistemi totalitari? Unica logica è che, al dire di Deng Xiaoping, ‘un gatto bianco è uguale a un gatto nero’, purché serva agli scopi del Partito”.
Ma “nell’immediato dopo-Accordo niente è stato cambiato nella politica religiosa del partito, tutto è stato ufficialmente riaffermato e i fatti lo comprovano”.
Il cardinale Zen va più a fondo nel documento, e accusa che è vero che tutti i vescovi sono legittimati, e questo prova “solo l’infinita generosità del Papa o forse l’onnipotente pressione del governo”, ma non c’è alcun cambiamento nei “perdonati e premiati”.
Il Cardinale contesta anche l’idea di una “formula” che si sta cercando di concordare con il governo, perché “quel che il governo chiede non è una dichiarazione di una teoria”, ma è piuttosto “tutto un sistema, in cui non ci sarà più la libertà pastorale”.
Il vescovo emerito di Hong Kong attacca la possibilità di firmare l’ingresso nell’associazione patriottica, perché “si firma un testo contro la fede e si dichiara che l’intenzione è favorire il bene della comunità”, ma “questa norma generale è ovviamente contro ogni principio di moralità. Se accettata, giustificherebbe l’apostasia”.
In conclusione, il Cardinale Zen lamenta che gli orientamenti pastorali hanno “rovesciato in modo radicale ciò che è normale e ciò che è anormale, ciò che è doveroso e ciò che è da tollerare”, e arriva ad accusare che la speranza di chi ha redatto il documento è “forse che la minoranza compatita morirà di morte naturale”, non solo i sacerdoti clandestini, ma anche “molti fratelli nella comunità ufficiale che con grande tenacia hanno lavorato per un cambiamento, sperando di essere sostenuti dalla Santa Sede, ma vengono invece incoraggiati ad accettare la sottomissione al governo, derisi dagli opportunisti vincitori”.
FOCUS AFRICA
Camerun, il problema della questione anglofona
Il Cardinale Christian Wiygham Tumi, 89 anni, arcivescovo emerito di Douala, ha parlato della crisi anglofona nel suo Paese, il Camerun, in una lunga intervista da lui rilasciata a fine anno alla tv camerunense Equinoxe Tv.
Negli ultimi anni, il Camerun è stato travolto dalla cosiddetta “crisi anglofona”: insegnanti e avvocati anglo parlanti hanno organizzato uno sciopero, che si è poi trasformato in una rivolta contro l’emarginazione delle regioni di lingua inglese del Paese, con un dibattito che ha assunto toni fortissimi e vere e proprie spinte secessioniste. La Chiesa Cattolica ha lavorato come fonte di mediazione, e il Cardinale Tumi è stato in prima linea.
Nell’intervista, il Cardinale ha fatto una autocritica, sottolineando che “siamo intervenuti tardi, non quando era necessario farlo. Il problema è cominciato praticamente nel 1972, quando il nome del Paese cambiò: non più ‘repubblica federale’, ma ‘repubblica unita’.”
La crisi anglofona ha causato negli ultimi tre anni non meno di 3 mila morti, centinaia di migliaia di sfollati interni e 40 mila rifugiati, e gli indipendentisti hanno anche parlato di voler costituire una Repubblica autonoma dell’Ambazonia, dal nome di un fiume locale.
Il Cardinale Tumi viene dalla regione del Nord Ovest, regione interessata dal conflitto, e come promotore del grande dialogo nazionale che si è svolto ad inizio ottobre ha messo su un gruppo di lavoro che ha condotto un’indagine sul sentire delle popolazioni coinvolte, da cui è scaturito un rapporto di ben 400 pagine.
Secondo il porporato, le cause della crisi vanno fatte risalire alla cattiva governance, e al fatto che ormai la maggioranza delle persone crede che la secessione sia una soluzione, e che il federalismo è appoggiato da tutti, mentre il governo vuole piuttosto un decentramento.
Il Cardinale ha anche denunciato la repressione manu militari avvenuta in diverse circostanze, e negato di essere secessionista, ma chiede con forza che la voce degli anglofoni venga ascoltata e sia presa in seria considerazione, ricordando che ai tempi della sua giovinezza il Camerun anglofono faceva parte della Nigeria.
Il Camerun francese divenne indipendente l’1 gennaio 1960, e il Southern Cameroon, scorporato dal Camerun britannico, vi si unì l’1 ottobre 1961.
In particolare, il Cardinale Tumi contesta il fatto che non sia stata rispettata la specificità della parte anglofona, abituata ad essere governata con l’indirect rule dai britannici, mentre l’abolizione della Repubblica Federale ha avuto lo scopo di “assimilare gli anglofoni, abolire la loro tradizione”.
Il presidente della Repubblica Democratica del Congo da Papa Francesco
Il prossimo 17 gennaio, il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Félix Antoine Tshisekedi Tshilombo. È la prima visita del nuovo presidente, che scambierà anche gli strumenti di ratifica dell’Accordo Quadro tra la Santa Sede e la Repubblica DEmocratica del Congo.
L’arrivo del nuovo nunzio in Egitto
Lo scorso 5 gennaio, ha fatto il suo ingresso al Cairo l’arcivescovo Nicolas Henry Thevenin, nuovo “ambasciatore del Papa” presso l’Egitto. Al suo arrivo, l’arcivescovo è stato ricevuto da diversi arcivescovi e leader della Chiesa cattolica in Egitto. L’arcivescovo Thevenin era nunzio in Guatemala dal 2013.
Arriva in un Egitto dove i rapporti con la Chiesa cattolica sembrano essersi distesi. È dello scorso 31 dicembre la notizia che il governo di Egitto ha legalizzato la situazione di altre 90 chiese ed edifici ad esse associate, facendo arrivare a 1400 gli edifici che hanno ricevuto il permesso dal 2017. Il primo ministro egiziano, Mostafà Madbuli, ha sottolineato che le autorità stanno lavorando per aggiustare lo stato delle chiese che fino ad ora hanno continuato a portare avanti le loro attività senza permesso.
Costa d’Avorio, il nuovo nunzio presenta le lettere credenziali
Lo scorso 3 gennaio, Alassane Ouattara, presidente della Costa d’Avorio, ha ricevuto le credenziali di tre nuovi ambasciatori accreditati nel Paese, tra cui l’arcivescovo Paolo Borgia.
L’arcivescovo Borgia ha sottolineato le buone relazioni bilaterali tra Santa Sede e Costa d’Avorio, e ha notato che lui entra in carica nel 50esimo anniversario dell’istituzione di relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Costa d’Avorio, del 40esimo anniversario della visita di Giovanni Paolo II in Costa d’Avorio e il 30esimo anniversario della Consacrazione della Basilica di Nostra Signora della Pace a Yamoussoukro e il 125esimo anniversario dell’arrivo dei primi missionari nel Paese.
Il nunzio ha anche chiarito che la vocazione della Chiesa Cattolica è sempre stata il servizio e la promozione umana e spirituale.
Sud Sudan, il governo chiede perdono ai cristiani
Il governo di transizione del Sud Sudan ha chiesto perdono ai cristiani, che sono stati duramente perseguitati per anni fino al rovesciamento del presidente Omar al-Bashir l’11 aprile dell’anno scorso.
Il nuovo governo è composto di 11 persone, e tra questi c’è un copto cristiano, Raja Nicola Issa Abdul-Masseh. Ci sono mezzo milione di cristiani copti in Sudan.
Le scuse alla comunità cristiana sono arrivate nel discorso di Natale del ministro degli Affari Religiosi Nasreadin Mofreh, che ha chiesto perdono alla Chiesa per “l’oppressione e il danno inflitti al tuo corpo, la distruzione dei tuoi templi, il furto della tua proprietà, l’arresto ingiusto e la persecuzione dei tuoi servitori e la confisca dei tuoi edifici.
Papa Francesco ha ribadito la sua intenzione di visitare il Sud Sudan nel corso dell’anno nel suo discorso di inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Il cardinale Zenari parla della situazione Siria
Non è il momento peggiore in Siria, per il Cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico ad Damasco. Ma certo la situazione è difficile. Il nunzio la ha raccontata a Verona, la sua città, dove ha celebrato la Messa dell’Epifania.
"Da aprile scorso ad oggi –ha raccontato il cardinale Zenari - nella zona nord occidentale della Siria ci sono settecentomila nuovi profughi. Alcuni trovano riparo nelle moschee, in abitazioni private, altri dormono fuori, con temperature che vanno sotto lo zero. Dormono per strada con i piedi nel fango. Ma sembra che ormai non interessi più, se ne parla sempre meno".
Papa Francesco ha esplicitamente menzionato la Siria nel suo discorso di inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
Iraq, il Cardinale Sako spiega che è tempo per un gruppo politico cristiano in Iraq
Il Cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, ha spiegato nel suo messaggio di Natale che è tempo per un solo gruppo politico cristiano nel Paese.
Nel messaggio, il Cardinale ha scritto che “i cittadini cristiani sono conosciuti per la loro capacità di integrarsi completamente nella storia”, e sono considerati “la più antica civiltà cristiana nel mondo”, ma “tristemente, dal 2003, l’Iraq ha vissuto molti cambiamenti, e i cristiani di Iraq hanno perso molte grandi opportunità di goderle”.
La sfida è ora come mantenere i cristiani in Iraq, specie in vista delle elezioni. Il Cardinale Sako ha chiesto “ai nostri cristiani, e specialmente alle élite di loro, che è tempo di pensare, discernere e prendersi le responsabilità di una riunificazione, mentre affrontano una serie di sfide come l’emigrazione, la marginalizzazione occupazionale e la debole rappresentanza politica, mentre i partiti caldeo, siriaco e assiro si sono dispersi.
In più, è cambiata la demografia della loro storica regione, c’è una “ingiusta legislazione contro di loro”.
Ma il cardinale Sako mette anche in guardia dal fatto che un partito cattolico resta alla mercé dei partiti più grandi. Ma “più di un osservatore crede che c’è una eccellente opportunità per i cristiani di formare una singola alleanza politica che include tutti i partiti, le élite intellettuali e i giovani”.
Forse – aggiunge il Cardinale – “è ora necessario, prima che sia troppo tardi, di pensare un piano e una strategia cristiana unificata”, e quindi ha annunciato che sarà prodotto un documento cui le parti aderiranno, chiamato “Il Gruppo dei Partiti Cristiani”, mettendo insieme “i più diversi partiti, alleati nelle sfide sotto nomi comuni”.
Ci vuole un nome cristiano, ha aggiunto il Cardinale, perché “tutti tentativi di unire i cristiani nel designare un singolo nazionalismo accettabile per tutti sono falliti”.
NUNZI
Papa Francesco ha nominato l'arcivescovo Celestino Migliore come nunzio in Francia. Succede all'arcivescovo Luigi Ventura, che si era ritirato al 75esimo anno di età coinvolto anche in una serie di accuse per molestie.
Il prossimo 16 gennaio, invece, l'arcivescovo Bernardito Auza presenterà al re di Spagna le sue lettere credenziali. La presentazione delle credenziali avviene nel Palazzo Reale, con una cerimonia che risale al XVIII secolo, cui assiste il ministro degli Esteri. Si potrebbe trattare, dunque, di uno dei primi atti pubblici di Arancha Sanchez come ministro degli Esteri. Il re, dopo aver ricevuto le carte, ha un breve incontro privato con ognuno degli ambasciatori.
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