Città del Vaticano , 27 November, 2019 / 1:10 PM
Aveva firmato, insieme al governatore della Banca d’Italia Visco, il protocollo di Intesa tra l’Autorità di Informazione Finanziaria e la Banca d’Italia. Ora Carmelo Barbagallo è stato nominato da Papa Francecso presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria della Santa Sede.
“Sono onorato – ha detto Barbagallo ai media vaticani. - dell’incarico ricevuto, di cui sento tutto il peso morale e professionale, e ringrazio il Santo Padre per la fiducia che ha riposto in me”.
Ha quindi aggiunto che “al servizio dell’incarico ricevuto alla guida dell’AIF cercherò di portare tutta l’esperienza accumulata in quarant’anni di lavoro in Banca d’Italia, come ispettore, come capo della vigilanza sul sistema bancario e finanziario italiano e nell’ambito del sistema di supervisione bancaria europea”.
In più, Barbagallo ha aggiunto di essere certo che l’AIF “saprà dare il proprio apporto, nella veste di autorità di controllo, affinché continuino ad essere affermati, e siano riconosciuti, i valori fondamentali della correttezza e della trasparenza di tutti movimenti finanziari in cui è impegnata la Santa Sede”, e ha voluto rassicurare il sistema internazionale di informazione finanziaria che sarà data ogni collaborazione, nell’assoluto rispetto dei migliori standard internazionali. Sarò già da oggi al lavoro per dare continuità all’azione dell’AIF nel perseguimento dei suoi importanti obiettivi istituzionali”.
Chi è il nuovo presidente dell’AIF
Classe 1956, Barbagallo è in Banca d’Italia dal 1980, assegnato all’Ufficio Vigilanza della Filiale di Genova. Nel 1983 viene trasferito presso la Filiale di Milano, dove lavora al Nucleo di Ricerca Economica e all'Ufficio Vigilanza, occupandosi dell'economia reale della Regione Lombardia nonché dell'analisi delle banche di interesse nazionale (Banca Commerciale Italiana e Credito Italiano) e dei fondi comuni di investimento.
Dal 1985 è in Amministrazione Centrale, presso l’Ispettorato Vigilanza. In quegli anni è responsabile di corsi di formazione e collabora a numerosi gruppi di lavoro. Si occupa tra l’altro dei crediti bancari anomali e ristrutturati e partecipa alla redazione della Legge Bancaria. È altresì membro di commissioni per l’assunzione in Banca d'Italia di giovani laureati.
Nel gennaio 2009 è nominato Sostituto del Capo dell’Ispettorato Vigilanza; dal maggio 2011 assume la titolarità del Servizio. Dal febbraio 2013 è Funzionario generale con la qualifica di Direttore Centrale per la Vigilanza bancaria e finanziaria.
Dal 27 gennaio 2014 al 30 giugno 2019 è Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria. Dal 1° luglio 2019 ad oggi, ha assunto l’incarico di alta consulenza al Direttorio della Banca in materia di vigilanza bancaria e finanziaria e nei rapporti con il Single Supervisory Mechanism.
Il nuovo presidente sarà chiamato a dare fiducia ad un Consiglio che ha perso tre dei suoi membri. Non confermato il presidente René Bruelhart, hanno lasciato anche Marc Odendall e Juan Zarate.
Il primo, svizzero, amministrazione di fondazioni e consulente finanziario per il settore filantropico, è nel board, tra l’altro della Fondazione Caritas in Veritate, legata alla missione permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Il secondo Juan C. Zarate, statunitense, senior advisor presso il Centro per Studi strategici e internazionali (CSIS) ha lavorato come vicesegretario al Tesoro per la lotta al finanziamento del terrorismo ed è un esperto di sistemi antiriciclaggio e ha guidato la caccia agli assets di Saddam Hussein, recuperando un valore pari a oltre 3 miliardi di dollari.
Marc Odendall è andato oltre. Annunciando le sue dimissioni, ha affermato che l’Autorità di Informazione Finanziaria rischia di essere “un guscio vuoto”, anche perché è stato sganciato dal circuito di comunicazioni sicure del Gruppo Egmont, che raduna le Unità di Informazione Finanziaria di tutto il mondo.
E così, dieci anni dopo il lavoro di riforma che aveva portato la Santa Sede ad essere soggetto credibile a livello internazionale sul tema della trasparenza finanziaria, ci si trova di fronte a un passo indietro che rischia di riportare la Santa Sede indietro a quando veniva considerato “uno Stato poco affidabile per quanto riguarda la trasparenza finanziaria, come veniva definito da una classifica del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti diffuso nel 2012, ma che si riferiva al 2011. Ovvero a quando in Vaticano c’era ancora il vecchio testo della legge 127 sull’antiriciclaggio. E quando il processo di adeguamento agli standard internazionali non era nemmeno cominciato.
I contorni della vicenda
Tutto ruota intorno alla storia dell’acquisto di un immobile di pregio a Londra da parte della Segreteria di Stato. Si è saputo che l’Autorità di Informazione Finanziaria aveva sconsigliato di procedere all’affare, soprattutto considerando i mediatori. Ma questo episodio sembra abbia fatto partire una involuzione, spinta – sottolinea Massimo Franco sul Corriere della Sera – “dalla persistenza di comitati d’affari che agiscono indisturbati dietro il velo del Papato riformatore”.
Il tutto nell’ambito di una riforma dell’economia vaticana che si è un po’ arenata nel tempo. Sono stati fatti degli aggiustamenti, sempre letti con la logica dello scontro tra fazioni. Non era così. Era necessario mettere a punto il sistema. Così il motu proprio I beni temporali aveva ulteriormente separato vigilanza e gestione dei beni, riportando all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica la gestione degli immobili. In fondo, l’organo vigilante non poteva essere anche l’organo che gestiva i fondi.
Poi, c’era stata la riforma del revisore generale, diventato una sorta di organismo “anti corruzione”, e soprattutto inserito tra gli uffici di Curia, al cui regolamento deve sottostare. Così, il revisore non è più un corpo estraneo, ma un organo di Stato.
Ed andava sempre nella direzione di preservare lo Stato la rinegoziazione del contratto di auditing con Pricewaterhouse Cooper.
Tutte mosse che erano state inquadrate nell’ambito di uno scontro tra Segreteria di Stato e Segreteria per l’Economia. Si trattava, più che altro, di diverse mentalità: la Segreteria di Stato considera la Santa Sede come uno Stato sovrano, e così agisce, consapevole che la sovranità della Santa Sede è fondamentale per la missione; la Segreteria per l’Economia aveva preso una posizione più “aziendale”, che andava però inclusa proprio all’interno di una logica statale.
Nel corso di queste riforme, è caduta la testa di Libero Milone, revisore generale, ancora non sostituito. Mentre è arrivato a scadenza di mandato il Prefetto dell’Economia, il Cardinale George Pell, e Papa Francesco lo ha sostituito solo ora con il gesuita Juan Antonio Guerrero Alves. Soprattutto, nell’ultimo anno sono cambiati i vertici in Segreteria di Stato, con un ricambio generazionale che ha visto l’arrivo a capo dell’amministrazione di Rolandas Mackrickas, monsignore lituano fuori da qualunque circuito precedente.
La decisione del Gruppo Egmont
La decisione del Gruppo Egmont di sospendere la Santa Sede dallo scambio di informazioni era arrivata riservatamente, senza clamori. Semplicemente, che, per il Gruppo Egmont, la giurisdizione della Santa Sede non consente di garantire la sicurezza e la riservatezza della corrispondenza con le Unità di Informazione Finanziaria estere.
La decisione del gruppo Egmont non è punitiva contro l’Autorità di Informazione Finanziaria, ma rappresenta una forte criticità nei riguardi delle indagini vaticane che hanno portato al “raid” nella Autorità di Informazione Finanziaria e alla sospensione del direttore Tommaso Di Ruzza.
D’altronde, già subito dopo le ultime vicende finanziarie vaticane era serpeggiata
(La storia continua sotto)
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una certa preoccupazione da parte delle intelligence finanziarie di vari Paesi che hanno rapporti con la Santa Sede e di vari organismi internazionali. Tra questi, il Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa, del quale è membro la Santa Sede; la stessa Commissione Europea, considerati gli obblighi assunti dalla Santa Sede con la Convenzione monetaria del 2009; e appunto il Gruppo Egmont, che riunisce le Unità di Informazione Finanziaria (cosiddette “UIF”) di oltre 150 Stati, e del quale è membro l’AIF.
L’Autorità di Informazione Finanziaria è entrata nel Gruppo Egmont nel luglio del 2013. L’ingresso nel gruppo era uno dei requisiti richiesti da Moneyval, il Comitato del Consiglio d’Europa che valuta l’aderenza agli standard internazionali su riciclaggio e lotta al finanziamento del terrorismo degli Stati che si “iscrivono” al processo di mutua valutazione del Comitato.
Al punto 30 del rapporto 2012, era specificato che “l’Autorità di Informazione Finanziaria sta seriamente considerando di diventare membro del Gruppo Egmont e ha già fatto i primi passi per iniziare la procedura di ingresso che le renderebbe possibile di cooperare direttamente con altre Unità di Informazione Finanziaria del Gruppo Egmont in accordo con i principi Egmont”.
I principi Egmont riguardano anche una particolare cornice giuridica dello Stato. E in fatti, a dicembre 2012, erano state fatte due modifiche alla normativa antiriciclaggio che davano alla Autorità di Informazione Finanziaria il potere di stipulare dei protocolli di intesa con analoghe autorità di altri Stati senza il nulla osta della Segreteria di Stato. In questo modo erano ulteriormente favoriti la cooperazione e lo scambio internazionale di informazioni, un passo importante che ha favorito l’adesione dell’AIF al gruppo Egmont.
In questi anni, l’Autorità di Informazione Finanziaria ha accresciuto la sua credibilità in ambito internazionale con varie segnalazioni e collaborazioni con le Unità di Informazione Finanziaria di tutto il mondo.
Secondo il rapporto annuale dell’AIF del 2018, l’Autorità vaticana ha scambiato informazioni con UIF estere 473 volte, mentre sono state trasmesse 158 comunicazioni spontanee ad Unità di Informazione Finanziaria estere e ne sono state ricevute 15.
Grazie alle segnalazioni dell’Autorità di Informazione Finanziaria, sono stati avviate in Stati esteri vari procedimenti. Tra questi, il procedimento avviato dalla Procura di Roma nei confronti del banchiere Gianpietro Nattino; il procedimento che ha condotto all’arresto di monsignor Patrizio Benvenuti a Bolzano; l’arresto del consigliere della Corte dei Conti federale del Brasile José Gomes Graciosa, caso segnalato in forma anonima in un box del rapporto AIF 2017.
Verso un nuovo Consiglio Direttivo
La non conferma di René Bruelhart aveva di fatto decapitato l’Autorità di Informazione Finanziaria. Il direttore Di Ruzza era stato sospeso, e con Bruelhart sono andati altri due membri del Consiglio, mentre Egmont prendeva la decisione di staccare la Santa Sede dal circuito interno. C’è da pensare che solo i buoni uffici di Bruelhart, che del gruppo Egmont era stato presidente, avevano portato alla cautela del gruppo di non inviare alcuna comunicazione ufficiale della decisione. Mentre la richiesta al gruppo di essere nuovamente inclusi nelle transazioni va fatta solamente dal direttore, che è quello che ha capacità operativa. Casella per ora assente nell’organigramma.
Così, Papa Francesco non si trova solo a dover nominare un nuovo presidente, ma a cercare un interim per la direzione finché non sarà chiarita la posizione di Di Ruzza. Il quale, tra l’altro, non veniva nemmeno nominato nelle carte dei promotori di giustizia vaticani, che si limitavano a parlare di un ruolo “poco chiaro” dell’AIF. Da qui, la presa di posizione del Consiglio Direttivo dell’Autorità di Informazione Finanziaria, che aveva notato, in un comunicato in cui ribadiva piena fiducia al direttore Di Ruzza, che la ricerca della Gendarmeria che “ha portato al sequestro di determinati documenti e fascicoli", connessa proprio ad attività operative in corso svolte dall’AIF dopo una segnalazione di attività sospetta "che coinvolge diverse giurisdizioni straniere" . Sulla base delle evidenze emerse dopo l’indagine interna, il Consiglio direttivo aveva comunque ribadito “la sua piena fiducia nella competenza professionale e onorabilità del suo Direttore e, inoltre, lo elogia per l’attività operativa svolta nella gestione del caso in questione”.
Lo scenario
Nella vicenda attuale, i cui contorni saranno chiariti dalla magistratura, è successo che a seguito di una segnalazione di attività sospetta, l'AIF ha agito come di norma è chiamata ad agire una Unità di Informazione Finanziaria (UIF), cioè aprendo canali di collaborazione internazionale con le UIF estere interessate e tracciando gli eventuali flussi finanziari prima di chiudere l'operazione di intelligence finanziaria con un rapporto all'autorità giudiziaria.
Logica, dunque, la preoccupazione delle controparti per il fatto che siano stati sequestrati rapporti che dovevano rimanere nell’alveo delle relazioni di intelligence. Il comunicato del Consiglio dell’Autorità di Informazione Finanziaria provava a tranquillizzare le controparti, sottolineando di essere “pienamente cooperativa con le autorità competenti”, mentre "continua a svolgere le sue attività operative “a livello nazionale e internazionale".
Logica anche la richiesta di chiarimenti da parte di Bruelhart, che ha portato poi al non rinnovo dell’incarico. È stato scritto che Bruelhart abbia rassegnato le dimissioni al termine del mandato, attribuendo a lui la dichiarazione. Ma questa è una ricostruzione che non trova conferme nei Sacri Palazzi. Mentre Massimo Franco sul Corriere della Sera arriva a sottolineare che “sembra che a candidarsi come interlocutore delle istituzioni finanziarie sia la magistratura vaticana”. Parole che pesano, se si pensa che il comitato MONEYVAL del Consiglio d’Europa ha segnalato nell’ultimo rapporto sui progressi del 2017 i risultati dell’attività giudiziaria fossero modesti. I magistrati vaticani hanno sempre rigettato le accuse al mittente.
I temi sul tavolo
Il nuovo presidente sarà quindi chiamato a rimettere in piedi un sistema che funzionava, e che è stato improvvisamente decapitato. Eppure, Papa Francesco, nel discorso di auguri di Natale alla Curia del 2018, aveva particolarmente lodato il lavoro dell’Autorità di Informazione Finanziaria per i suoi “lodevoli sforzi”.
La storia dell’Autorità di Informazione Finanziaria va di pari passo con quella della trasparenza finanziaria della Santa Sede.
Sono state tre le stagioni che hanno caratterizzato il lavoro dell’Autorità di Informazione Finanziaria.
La prima stagione era quella dell’assunzione di responsabilità, segnata dalla Convenzione Monetaria siglata con l’Unione Europea nel 2009 e dal successivo Motu Proprio di Benedetto XVI e alla legge CXXVII sull’Antiriciclaggio. Una fase caratterizzata anche da una forte tensione con l’Europa, che fa richieste molto restrittive alla Santa Sede, tanto che l’allora numero 2 del governatorato Carlo Maria Viganò arriva a proporre di sganciare la Santa Sede del sistema euro. Alla firma della convenzione Joaquin Almunia, allora commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari, rifiuta di firmare nella stessa stanza con il rappresentante pontificio, l’arcivescovo André Dupuy Nunzio apostolico presso l’Unione Europea, e dunque ciascuno dei due firma la Convenzione nel proprio ufficio. Si trattava, da parte di Almunia, di un chiaro sgarbo alla Santa Sede.
La “prima stagione” è dunque quella segnata da soluzioni dettate dall’emergenza, dettate dall’urgenza di risolvere problemi concreti (come il sequestro dei fondi in Italia), orientate ad una politica bilaterale (come mostra la scelta di soli italiani nei ruoli chiave dello IOR e nella neo nata Autorità di Informazione Finanziaria), e per così dire carismatica (che si concretizzava nel conferimento di un mandato forte a singole persone ai vertici dello IOR). Questa impostazione non ha prodotto i risultati attesi.
Tutto il lavoro per la trasparenza viene fatto in un clima di generale ostilità, tanto che nel settembre 2010 la procura di Roma ordina il sequestro su un conto dello stesso IOR presso l’allora Credito Artigiano, a seguito di attività sospetta su un trasferimento di fondi dell’Istituto, con l’accusa che lo IOR “schermasse” i titolari effettivi dei fondi eludendo la normativa antiriciclaggio italiana. I fondi ritornano in Vaticano solo nel novembre 2014, sebbene nel giugno 2011, dopo l’adozione della Legge n. CXXVII, nel mese di giugno 2011 la Procura aveva adottato un decreto di revoca del sequestro preventivo, che secondo l’ordinamento penale italiano è adottato quando “risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità”. Nonostante ciò, come precisava il comunicato dello IOR che accompagnava la notizia, “i fondi sono rimasti vincolati a causa di irrisolte questioni connesse all’adeguata verifica”. Dettaglio che lasciava aperta una domanda: essendo la legge antiriciclaggio in vigore in Vaticano dal 2011, come mai questa adeguata verifica non era stata applicata fino ad allora dall’Istituto, considerato anche che, tra il 2013 e il 2014 erano stati coinvolti costosi consulenti esterni?
L’adozione della nuova legge segna l’inizio della “seconda stagione”, caratterizzata da una politica della sostenibilità nel lungo periodo (concretizzata in due riforme della Legge n. CXXVII, la prima nel 2012 e la seconda nel 2013), orientata ad una politica più internazionale (come mostra la richiesta di un programma di verifica da parte del Comitato MONEYVAL del Consiglio d’Europa, e il coinvolgimento di non italiani ai vertici dello IOR e dell’AIF), e istituzionale (come mostra il consolidamento del quadro istituzionale e giuridico). Le successive riforme della legge che hanno ricevuto la valutazione generalmente positiva di MONEYVAL. Quindi, il sistema è stato ulteriormente migliorato, con la nuova legge XVIII nel 2013.
Infine, si è arrivati nel pieno della terza fase, in cui il sistema funziona davvero. L’AIF adotta un nuovo statuto, prevede la presenza di un Consiglio e del presidente esclusivamente laici. Nel 2014 Bruelhart diventa presidente dell’Autorità e Tommaso Di Ruzza vicedirettore, mentre l’AIF adotta il Regolamento n. 1 per la vigilanza prudenziale dello Ior, inizio di un percorso di riconduzione dell’Istituto a standard internazionali anche sul piano dei criteri di organizzazione e gestione, oltre che di precisi criteri di autorizzazione e vigilanza delle attività finanziarie. Nel 2015 Di Ruzza viene nominato direttore. Nel 2016 viene siglato il protocollo d’intesa con la Banca d’Italia, firmato dal governatore Ignazio Visco, dall’allora capo della vigilanza, Carmelo Barbagallo, e da Bruelhart-Di Ruzza. Sono circa 60 le Unità di Informazione Finanziaria con cui l’AIF ha siglato protocolli di intesa. Ed è del 2018 l’ingresso della Santa Sede nell’area del sistema dei pagamenti unici europei (SEPA), che porta alla registrazione di un codice IBAN vaticano e l’ingresso dello IOR negli schemi SEPA.
Il contesto internazionale
Si tratta di sviluppi positivi, che hanno portato il Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa ad apprezzare il lavoro della Santa Sede. a Santa Sede ha aderito nel 2011, e da allora ci sono stati quattro rapporti del Comitato, che hanno certificato i costanti miglioramenti della Santa Sede. Il primo, del 2012, era quello generale sul sistema. Poi un primo rapporto sui progressi del 2013, un secondo rapporto sui progressi nel 2015 e un terzo rapporto sui progressi del 2017.
Il comunicato finale del rapporto sui progressi 2017 ricordava che la Santa Sede era chiamata a presentare le azioni prese per attuare le raccomandazioni del comitato entro dicembre 2019, mentre la valutazione sarebbe stata fissata per il 2020 secondo le procedure ordinarie applicabili agli Stati che non sono sottoposti a monitoraggio rafforzato. Questa valutazione si concentrerà sull’efficacia del sistema antiriciclaggio.
Per questo, Moneyval valueterà l’attività giudiziaria negli ultimi cinque anni, e in particolare il lavoro del Promotore di Giustizia. Nel 2016 è stata creata una sezione speciale contro i crimini economici e finanziari. In 6 anni sono state 27 le segnalazioni dell'AIF al Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano con “ipotesi di violazione dell’art. 421 bis c.p” la norma antiriciclaggio. Nove sono stati archiviati e per 6 si è chiesta l’archiviazione. Segno che qualcosa si è mosso. Dal 2018 al 2019, come afferma lo stesso Promotore di Giustizia, Gian Piero Milano, all’inaugurazione dell’anno giudiziario vaticano, c’è stata una significativa opera dell’ AIF con 6 segnalazioni. Di due precedenti segnalazioni si è arrivati all’archiviazione. Nel periodo precedente al 2016 non risultano invece azioni benché la creazione del sistema antiriciclaggio vaticano risalga al 2011.
Sono statistiche che non favoriscono la Santa Sede. Poi, c’è la sospensione dal Gruppo Egmont. Papa Francesco lo ha definito un “gruppo privato” e ne ha lamentato l’intromissione in affari interni della Santa Sede. In realtà, l’ingresso nel gruppo era, come detto, uno dei requisiti richiesti da Moneyval. Ed Egmont chiede di attenersi ai suoi principi, che riguardano anche le attività di intelligence e lo scambio di informazioni. Questo resta in un corridoio sicuro perché informazioni riservate di vati Stati sovrani. Come avrebbe agito la Santa Sede se a subire il sequestro fosse stata una Unità di Informazione Finanziaria estera che aveva dati sensibili riguardo le operazioni della Santa Sede stessa?
In una situazione internazionale delicata, l’AIF è stata decapitata, la Santa Sede rischia di tornare alla situazione di “paria internazionale” che viveva precedentemente, e si rischia di ritornare ad una logica “bilaterale” e caratterizzata da rapporti privilegiati con alcuni Stati. Curioso, dato che Papa Francesco ha sostenuto l’approccio multilaterale sia nel discorso di inizio anno ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede che in molte altre occasioni, inclusi gli ultimi discorsi in Giappone.
La questione non è, decisamente, solo uno scandalo finanziario. Ci si deve chiedere perché tanti dettagli sulle operazioni emergano solo ora. Ormai lo scenario è mutato.
Si tratta, piuttosto uno scontro istituzionale, che sembra puntare direttamente alla Segreteria di Stato vaticana.
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