Città del Vaticano , 18 October, 2019 / 7:00 PM
Una “Chiesa dal volto amazzonico”, ma anche dal “volto femminile”, di certo sinodale e in dialogo, che permetta nuove forme di ministeri perché il sacerdote ha più dimensioni, e che includa sacerdoti sposati ma anche diaconi donne, secondo quello che chiedono i vescovi del continente, o che punti a una maggiore formazione dei laici, secondo quello che richiedono i vescovi anglo-francofoni. È “l’eccezione amazzonica”, che in un caso si definisce anche con la richiesta di un particolare rito per la regione, ma che più spesso si include nella volontà di avere “statuti speciali” per alcune regioni.
Questo è quello che emerge dalle relazioni del Circolo minore di lingua inglese e francese e di tre circoli minori di lingua portoghese (A, B e C). Si rispecchia, un po’, l’andamento del dibattito, ma anche le preoccupazioni. Il circolo di lingua inglese e francese è composto da molti vescovi europei o africani, il moderatore è il neo cardinale Jean Claude Hollerich, e si nota dalla preoccupazione di distaccarsi dall’idea di una Chiesa come una “Ong”. Al contrario, i circoli di lingua portoghese sono perlopiù composti da vescovi brasiliani, che sentono forse la pressione delle sette pentecostali che “mangiano” fedeli, e dunque è a quello che guardano, anche chiedendo un comune cammino teologico.
L’idea che il Sinodo sia regionale, ma anche “universale”, si trova nella relazione del circolo di lingua inglese e francese. È universale non tanto per le soluzioni proposte o i temi affrontati, ma perché “quello che sta succedendo in Amazzonia sta succedendo anche nella conca del Congo, in India, nell’estremo oriente dell’Asia, in tutto il mondo”.
Secondo i vescovi anglo-francofoni, è importante rispondere al grido dei popoli della terra amerindia, che “a volte hanno cattivi ricordi della evangelizzazione del passato”, ma che ora sono arrivati a comprendere che “oggi la Chiesa cattolica può essere uno dei migliori alleati nella loro lotta per i diritti e la giustizia”.
Il popolo, proseguono i vescovi, chiede un “ministero di presenza, non un ministero di chierici”, un ministero battesimale che guarda anche all’esempio evangelico, dove si discute la parola di Dio, mentre nelle Chiese ci si riduce ad ascoltare i preti, dove “si parla di come Gesù abbia trasformato la vita”, mentre nella Chiesa cattolica “si enfatizza la nostra peccaminosità a discapito della salvezza di Gesù”.
Per i vescovi anglo-francofoni, non ha senso parlare di “scarsità di sacerdoti” in Amazzonia, perché quella è piuttosto una espressione di luoghi dove i sacerdoti ci sono sempre stati.
Il gruppo di vescovi parlano della “violenza devastatrice” che colpisce la gente e la terra dell’Amazzonia, sostengono che la Chiesa è chiamata a portare ai governi la sofferenza dei popoli indigeni, ma allo stesso tempo sottolineano che i vescovi “non sono Greenpeace”, e che dunque l’obiettivo finale è portare Gesù spirituale alla gente, ricordando che è importante avere una “dimensione spirituale” anche dell’ecologia integrale, come spiega il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo che si sofferma sulla dimensione eucaristica dell’ecologia.
Il gruppo A di vescovi di lingua lusitana chiede di creare un organismo episcopale per le Chiese dell’Amazzonia sulla scorta della Conferenza Episcopale Latino Americana (CELAM) e poi sottolinea la necessità “urgente” di avere ministeri ordinati che possano portare l’Eucarestia, e per questo chiedono formalmente al Papa “di ammettere per la regione pan-amazzonica uomini al ministero presbiteriale e donne al diaconato” che siano “di preferenza indigeni, rispettati e riconosciuti nella loro comunità”, anche con “una famiglia costituita e stabile”, al fine di “assicurare i sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana della comunità”.
I vescovi chiedono anche una formazione che sia “ecologica, biblica, comunitaria, ecclesiale”, portata avanti da equipe di formatori che “includano donne”. Si insiste anche sulla “dimensione missionaria delle comunità”, che vanno articolate come “agenzie internazionali” in modo da combattere “il traffico di esseri umani e di droga”, proponendo magari la creazione di “un osservatorio per i Diritti Umani nel territorio pan-amazzonico”, o una commissione “Giustizia e Pace” e comitati diocesani di diritti umani”.
I vescovi chiedono anche di stabilire dei colloqui tra teologi cattolici e quelli del RELEP (la rete latino-americana di studi pentecostali”. Non manca una menzione alla necessità di enfatizzare la pietà popolare, chiedendo anche “un rito amazzonico con il patrimonio teologico, disciplinare e spirituale che esprima al tempo stesso l’universalità e la cattolicità della Chiesa in Amazzonia”.
Il gruppo B di vescovi di lingua portoghese si focalizza sulla formazione, e in particolare sulla formazione della coscienza ecologica, con la proposta di istituire un ministero per la cura della casa comune nelle comunità amazzoni.
Le richieste, poi, sono le solite: un piano di formazione presbiteriale che includa sacerdoti celibi e viri probati; una solida formazione umana nei seminari, con alternanza tra accademia e pastorale; l’apertura dei seminari al dialogo con i giovani, ma anche alla cultura della ecologia integrale e alla eco teologia.
L’ordinazione dei viri probati è considerata “come necessaria per la Panamazzonia”, e si propone di delegare le decisioni sul ministero dei sacerdoti sposati alle conferenze episcopali. Si chiede anche il diaconato per le donne. Ma si fanno anche proposte pratiche, come lo stabilimento di diocesi o prelature più piccole, la creazione di un Fondo Amazzonico per la Sostenibilità dell’Evangelizzazione. In più, c’è anche l’idea della promozione di una pastorale specifica per i popoli indigeni che vivono in città.
Il gruppo C di lingua portoghese ribadisce le richieste su viri probati e diagonato femminile, e pone l’accento sulla “lettura in preghiera della Bibbia, con sussidi semplice e in linguaggio dell’Amazzonia”, perché la dimensione culturale va coltivata attraverso l’inculturazione.
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