Napoli, 01 August, 2019 / 4:00 PM
Sant'Alfonso Maria de Liguori (1696-1787) è conosciuto come un grande santo, ma nella Chiesa è ricordato come fondatore della Congregazione del SS.mo Redentore.
Su di lui è stato scritto molto e prima di scegliere lo stato ecclesiastico è stato un avvocato. Professione singolare tanto che, ad un certo punto, del suo cammino decise di lasciarla per darsi alla predicazione ed alla cura di anime. Quando svolgeva tale attività, fissò su una carta i 12 punti dell'avvocato. Questi ancora attuali rappresentano ciò che il Consiglio Nazionale Forense ha voluto contenere nel Codice deontologico per la professione forense, ma anticipando i tempi. Probità, onestà ed un innato richiamo al bene rappresentano quei principi che danno lustro a questa professione. Al giovane Alfonso non interessa far ben risarcire il prossimo ma difendere la verità ed in questo la giustizia ma quella con la G maiuscola. A quanto risulta dagli atti in possesso degli storici, non si ha molto dell'attività giuridica del santo. Alfonso, durante questi anni (circa 12)nei quali si dedicò alla professione legale, si occupò di questioni legate al diritto feudale ed in buona sostanza al diritto civile.
Siamo introno, al 1723 e nel foro della città di Napoli si discuteva l'importante questione del ducato di Amatrice. Due i contendenti: gli Orsini da una parte ed il Granduca di Toscana dall'altra.
Il giudice dell'illustre collegio era il Caravita. Alfonso difese il diritto, rappresentò la verità in una questione legata alla successione del feudo ma a quanto pare, gli interessi regnarono sulla legge. Fu un duro colpo per il grande avvocato che non perdeva una causa. Mondo ti ho conosciuto addio!!!Con tali parola lasciò il foro.
Il padre e la madre speravamo di riportarlo alla vita di Corte o almeno alla vita di relazione, ma il santo fu risoluto. Si chiuse nell'ospedale degli Incurabili, nel quale assisteva gratuitamente i malati e dove ebbe la triplice intuizione o voce interiore di darsi a Dio. Ordinato sacerdote il 21 dicembre 1726 non si occupò più di legge e cavilli ma solo di anime e di Dio. Aveva 30 anni di età.
Non si ripiegò su se stesso. Non rimpianse la precedente esperienza professionale ma portò qui principi ed il vangelo nel mondo, servendo la Chiesa come semplice sacerdote e solamente, in un secondo momento dopo differenti rifiuti, accettando di diventare vescovo della diocesi di Sant'Agata dei Goti. Siamo nel 1762.
Questo santo, ancora oggi, ha molto da insegnare, con il suo messaggio, alla nostra realtà. Anche se il mondo e la società sono notevolmente cambiati di lui rimangono gli insegnamenti morali, espressi nel suo apostolato, nelle sue opere (circa 111) e nella sua grande Teologia Morale (1747). In questa la coscienza ha il primato sulla legge e la verità sull'arido precetto.
Sant'Alfonso da sacerdote, predicatore e teologo aveva interesse che la coscienza fosse formata al bene e quindi educata alla scelta . Un'opzione libera, sincera e responsabile.
Non ci può essere responsabilità senza morale e morale senza libertà. Questo lo si legge nella sua opera, in favore degli ultimi, nella difesa degli emarginati e nella pratica del sacramento della confessione. Di questo sacramento ne ebbe sempre somma cura, scrivendo anche La pratica del confessore (1771). In questo scritto ciò che conta è l'equilibrio nel giudizio e l'amorevolezza nel consiglio. Alfonso, in tutta la sua vasta esperienza, ha un anima delicata e vuole insegnare ad amare Dio, partendo dai doni del Padre sul mondo. Ecco perché vuole anime pronte ad una scelta consapevole, in quanto solo la consapevolezza dei propri atti, conduce al vero bene delle anime e non altro.
Il santo partenopeo che, come disse di lui don Giuseppe de Luca ammirandolo, fu il più santo dei napoletani ed il più napoletano dei santi ci insegna che per ben vivere bisogna ben scegliere e per fare questo ci vuole una coscienza, netta e sincera, in quanto solo con tali presupposti è possibile costruire una società migliore e che davvero rechi bene a tutta la collettività.
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