Città del Vaticano , 08 June, 2019 / 4:00 PM
La notizia della visita del presidente Putin a Papa Francesco ha monopolizzato l’attenzione diplomatica. Intanto, dall’8 al 10 giugno (non il 14, come avevamo dato notizia) il Cardinale Pietro Parolin sarà in Kosovo per una visita con significati importanti, considerando che da poco il Papa ha elevato Pristina ad diocesi.
Il presidente Putin da Papa Francesco
Il presidente russo Vladimir Putin sarà in udienza da Papa Francesco il prossimo 4 luglio. La notizia è stata confermata da Alessandro Gisotti, direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Putin è già stato due volte in udienza da Papa Francesco, il 25 novembre 2013 e il 10 giugno 2015.
Sono passati dunque quattro anni dal loro ultimo incontro. Nel mezzo, c’è stata una visita del Cardinale Pietro Parolin in Russia a fine agosto 2017, una diplomazia della reliquie che ha avvicinato anche Patriarcato di Mosca e Santa Sede e un dialogo continuo, che tradisce anche un po’ il sogno di Papa Francesco di essere il primo Papa ad andare a Mosca.
Nei due incontri precedenti, i colloqui si erano concentrati sulla situazione geopolitica e in particolare su Medio Oriente, Siria e la questione Ucraina. Questo prossimo incontro avverrà alla vigilia dell’incontro tra il Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina e Papa Francesco, che si terrà il 5 e il 6 luglio.
Putin incontrerà Papa Francesco mentre ci si prepara a festeggiare il decimo anniversario dello stabilimento dei pieni rapporti diplomatici tra Santa Sede e Federazione Russa. Questi furono annunciati il 3 dicembre 2009, dopo l’incontro tra l’allora presidente Dimitri Medvedev e Benedetto XVI.
Punto di svolta delle relazioni tra Russia e Santa Sede fu l’incontro tra l’allora presidente sovietico Mikhail Gorbaciov e Giovanni Paolo II l’1 dicembre 1989, tre settimane dopo la caduta del Muro di Berlino: i due parlarono anche dei passi da fare per cominciare a stabilire relazioni diplomatiche.
Le relazioni tra Santa Sede e Russia hanno comunque radici antiche, e risalgono almeno al XIV secolo, quando la Rus’ moscovita e la Santa Sede cominciarono a interloquire. Nel 1472, Papa Paolo II benedisse il matrimonio tra il Gran Principe di Mosca Ivan III e la principessa bizantina Sofia, Pio IV e Gregorio XIII inviarono continuamente ambasciatori a Mosca.
La Santa Sede fu anche mediatrice della guerra di Livonia del 1558-1583, che coinvolse Russia, Polonia e Svezia.
Russia e Santa Sede stabilirono per la prima volta piene relazioni nel 1816, sebbene la Santa Sede non inviò rappresentanti residenti a San Pietroburgo. Le relazioni diplomatiche si chiusure nel 1866 a seguito della rivoluzione polacca, furono riaperte solo nel 1894, e interrotte definitivamente nel 1917 dopo la rivoluzione sovietica.
I contatti ripresero solo negli anni Sessanta: nel 1967 si decise di portare i contatti a “un livello di lavoro stabile”, tanto che il ministro degli esteri sovietico Andrej Gromykosi incontrò più volte con Paolo VI e Giovanni Paolo II. Nel febbraio 1971, per l'ingresso formale del Vaticano nell'Accordo di non propagazione delle armi nucleari, giunse a Mosca l'arcivescovo Agostino Casaroli, segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, l'architetto della Ostpolitik, la politica diplomatica della Santa Sede con i Paesi oltre la Cortina di Ferro.
Il disgelo avviene nel periodo della Perestroijka, e poi dal 1990 la Santa Sede invia rappresentanti permanenti a Mosca.
Attuale nunzio della Santa Sede a Mosca è l’arcivescovo Celestino Migliore. Fu lui anche ad organizzare la visita del Cardinale Parolin a Mosca, sulle orme del Cardinale Casaroli.
Qualche risultato la visita lo ebbe: due settimane dopo il ritorno del Cardinale Parolin in Vaticano, un tribunale russo ordinò la restituzione alla Chiesa cattolica di un edificio che era stato sequestrato alla Chiesa dal governo sovietico. Non si trattava di una decisione definitiva, ma era comunque un primo passo.
Il Cardinale Parolin in Kosovo
Come annunciato la scorsa settimana, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, sarà in Kosovo. Saranno due giorni pieni di incontri, dal 9 al 10 giugno, con arrivo previsto l’8 giugno nella tarda serata.
L’agenda della visita è stata appena svelata: il segretario di Stato vaticano dirà messa nella Cattedrale di Santa Madre Teresa a Pristina alle 11, riceverà il benvenuto ufficiale al centro culturale BogdaniPolis, e quindi, nel primo pomeriggio, il Cardinale andrà a Prizren, dove celebrerà messa nella Cattedrale dedicata alla Madonna del Perpetuo soccorso.
Il lunedì sarà invece dedicato agli incontri bilaterali. Dalle 9 alle 10,30 del 10 giugno, il Cardinale incontrerà il presidente del Kosovo Hashim Thaci, che ha già incontrato il Cardinale Parolin in Vaticano nel 2016 e nel 2017. A seguito dell’incontro con il presidente, ci sarà un incontro con il primo ministro Ramush Hardinaj.
Ultimo incontro prima della partenza, quello con il clero, le religiose e i religiosi, i catechisti e i laici.
Il Kosovo ha proclamato la sua autonomia nel 2008, ma la Santa Sede ancora non lo ha riconosciuto come Stato sovrano e indipendente. La Santa Sede però non ha ancora visto l’opportunità di fare un passo del genere, anche considerando i rapporti con la Chiesa Ortodossa Serba, che ritiene il Kosovo come suo territorio sorgivo.
La Santa Sede ha deciso per ora di non riconoscere lo Stato, pur mantenendo cordiali rapporti. Lo farà quando ci sarà un quadro di rapporti internazionali migliorata e un reale vantaggio per le persone.
In Kosovo, i cattolici sono il 3 per cento. Lo scorso 5 settembre, Papa Francesco ha elevato l’amministrazione apostolica di Pristina a diocesi, direttamente soggetta alla Santa Sede. La diocesi è parte della Conferenza Episcopale dei Santi Cirillo e Metodio. Il 10 febbraio 2010, la Santa Sede aveva nominato delegato apostolico in Kosovo l’arcivescovo Juliusz Janusz, un incarico collegato a quello di nunzio in Slovenia. “La nomina di un delegato apostolico – spiegava la Santa Sede – “rientra tra le funzioni di organizzazione della struttura della Chiesa Cattolica e pertanto assume carattere prettamente intra-ecclesiale”.
Una riunione dei nunzi pontifici
Papa Francesco celebrerà Messa con loro a Santa Marta la mattina del 15 giugno, ma gli “ambasciatori del Papa” si riuniranno in Vaticano per tre giorni. Si tratta della riunione dei rappresentanti pontifici operanti nel mondo (sono 108), che si è svolta l’ultima volta nel 2016, durante il Giubileo della Misericordia, ma che in generale si svolge ogni tre anni (una riunione simile ebbe luogo nel 2013). È, in pratica, la formazione permanente dei nunzi. Un programma ancora non è stato reso pubblico, ma ci saranno conferenze di aggiornamento e incontri di lavoro con il personale della Segreteria di Stato.
(La storia continua sotto)
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Polonia, una celebrazione per Achille Ratti, futuro Papa Pio XI
Quando la Polonia si ricostituì come Stato cento anni fa e stabilì relazioni diplomatiche con la Santa Sede, fu Achille Ratti il diplomatico designato ad essere il primo nunzio. Cento anni dopo, la nunziatura apostolica a Varsavia lo ha voluto ricordare con una statua e un mosaico intitolato “Crocifissione e gloria dei santi” nella cappella. All’inaugurazione era presente l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato vaticana.
L’arcivescovo Pena Parra ha sottolineato l’importanza di Achille Ratti, che fu nominato visitatore apostolico per la Polonia ed ebbe la possibilità di “conoscere da vicino il drammatico scenario dell’Europa Orientale, ancora devastata dalla Prima Guerra Mondiale”, percependo “la grande sete di libertà e l’impegno del popolo polacco” basato su valori spirituali “tramandati di generazione in generazione insieme alla tradizione religiosa cristiana”.
Fu Ratti – ha ricordato ancora Pena Parra, che accelerò il processo di riconoscimento formale della seconda Repubblica Polacca. E lui poteva muoversi in Polonia perché godeva di stima universale, “malgrado diverse difficoltà legate alla complessa situazione politica, le divisioni ideologiche e sociali, le tendenze anticlericali del governo socialista”.
Il sostituto della Segreteria di Stato ha ricordato anche come fu Pio XI che volle che a Castel Gandolfo ci fossero due affreschi di Jan Rosen che rappresentavano la difesa di Jasna Gora e il miracolo sulla Vistola.
Il mosaico “Crocifissione e gloria dei santi”, invece, “indica anche il senso più profondo del servizio diplomatico dei rappresentanti della Santa Sede in un Paese cristiano: testimoniare Cristo con l’impegno e la santità”.
A che punto è l’iniziativa “Porte aperte”?
Il 31 maggio, l’Ambasciata di Italia presso la Santa Sede ha ospitato un incontro durante il quale si è parlato dell’iniziativa “Ospedali Aperti”. Nata da una idea del Cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, sviluppata dall’allora Pontificio Consiglio Cor Unm e messa in pratica dall’AVSI, il progetto “Ospedali aperti” ha permesso a 23 mila persone d fruire dei servizi di tre ospedali (l’ospedale italiano e francese di Damasco e l’ospedale St. Louis di Aleppo).
Pietro Sebastiani, ambasciatore di Italia presso la Santa Sede e già direttore della cooperazione internazionale, ha rimarcato che la Siria è una culla di civiltà, e messo in luce anche il grande aiuto portato dall’Italia.
Il Cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della CEI, ha chiesto di non spegnere i riflettori sulla tragedia siriana. Giampaolo Silvestri, segretario generale del’AVSI, ha ricordato l’origine e lo sviluppo del progetto, che ha un budget di 16 milioni di euro, dei quali se ne sono raccolti circa 11 milioni.
Il Cardinale Zenari ha sottolineato che “tutta la Siria sanguina, assalita dai ladroni, lasciata mezza morta sul ciglio della strada e soccorso dai buoni samaritana, un certo numero dei quali aggrediti e uccisi dagli stessi ladroni”. Il Cardinale ha poi anche pregato che “alla Siria non capiti una disgrazia peggiore di quanto fin qui ha sopportato: quella di essere dimenticata dal mondo”.
L’ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede, Eduard Habsburg, ha sottolineato l’impegno che l’Ungheria fa per i cristiani perseguitati: in alcuni casi ha concesso cittadinanza agevolata, in altre ha concesso l’asilo ai rifugiati secondo norme di diritto internazionale, e porta avanti poi un programma di sensibilizzazione sui cristiani perseguitati presso tutti i governi occidentali: l’Ungheria è l’unico Paese al mondo che ha un segretariato speciale per i cristiani perseguitati. L’Ungheria ha donato al progetto “Ospedali Aperti” 1,5 milioni di euro.
Paolo VI e la FAO
Sempre presso l’Ambasciata di Italia presso la Santa Sede si è tenuta, lo scorso 4 giugno, la presentazione del libro “La carità, motore di tutto il progresso sociale – Paolo VI, la Popolorum Progressio e la FAO” di Patrizia Moretti (Studium Edizioni).
Paolo VI fu vicino alle istanze della FAO fin dai primi sviluppi e fu il primo Papa a visitare la nuova sede di Roma della FAO, che ha visto la visita di tutti i successori di Paolo VI (Papa Francesco ci è stato già tre volte).
Dopo i saluti di Pietro Sebastiani, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, alla presentazione, oltre alla curatrice, sono intervenuti Daniel Gustafson, vice direttore generale della FAO; Vincenzo Buonomo, rettore della Pontificia Università Lateranense; Gabriele Di Giovanni, visitatore provinciale d’Italia dei FSC.
Monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso la FAO, ha ricordato che Paolo VI, nell’enciclica Populorum Progressio, identificava come “compito principale della Chiesa” di fornire “una visione globale dell’umanità”.
Vincenzo Buonomo, rettore della Pontificia Università Lateranense, ha ricordato alla presentazione la “visione dinamica dello sviluppo” di Paolo VI e ha ricordato del ruolo di monsignor Giovambattista Montini come sostituto della Segreteria di Stato nei temi della cooperazione internazionale, in particolare spingendo perché la Santa Sede partecipasse alla FAO non come membro, ma come osservatore, ruolo “non previsto nella costituzione della Fao ma frutto di una delibera della Fao stessa, in ragione della particolare natura della Santa Sede”.
Buonomo ha poi ricordato che tra i compiti assegnati da Montini alla Santa Sede attraverso la Fao c’era “la possibilità di destinare aiuti fin nelle zone più remote di ogni Paese, dove gli stessi governi non potevano arrivare: la ‘stazione missionaria’ era il livello più basso, che poi arrivava fino alle parrocchie e alle diocesi”.
Daniel Gustafson, vice direttore generale della Fao, ha sottolineato che Paolo VI “era convinto che lo sviluppo tecnologico non fosse mai la soluzione completa al problema ambientale”.
Ambasciatori che vanno e che vengono
Il nuovo ambasciatore di Francia presso la Santa Sede ha presentato le lettere credenziali il 7 giugno a Papa Francesco. Il 10 giugno, sarà la volta della presentazione delle lettere credenziali per il nuovo ambasciatore di Malesia presso la Santa Sede.
Elisabeth Beton-Delegue è stata nominata ambasciatore di Francia presso la Santa Sede lo scorso 10 aprile. Cattolica, 64 anni, la diplomatica è stata dal 2015 al 2018 ambasciatore di Francia ad Haiti, dal 2012 al 2014 ambasciatore di Francia in Messico, dal 2005 al 2008 ambasciatore di Francia in Cile. Dal 2008 al 2012 è stata direttore delle Americhe e dei Caraibi presso il ministero degli affari esteri. Tra i suoi incarichi, anche quelli nelle ambasciate di Iraq e Turchia.
Il posto di ambasciatore di Francia della Santa Sede era vacante da nove mesi, dopo il congedo dell’ambasciatore Philippe Zeller a luglio. Questi era rimasto in carica un solo anno. In questo interregno, è stato l’incaricato di affari Yves Teyssier d’Orfeuil a fare le veci dell’ambasciatore.
Il 7 giugno è stato anche il giorno della visita di congedo di Alexandros Couyou, ambasciatore di Grecia presso la Santa Sede, incarico che ricopriva dal 2015.
Molti gli incarichi di una carriera diplomatica cominciata nel 1980. Tra questi, il ruolo dis Capo della Delegazione Greca che ha concluso il Protocollo Greco-Turco sulla riammissione degli immigrati irregolari (2000); Ministro Consigliere e Vice Capo Missione di Ambasciata a Mosca (Federazione Russa) (2002-2005); Ministro e Capo Missione di Ambasciata ad Ankara (2005-2008); Ambasciatore in Danimarca (2009-2013); Direttore per la Turchia presso il Ministero degli Affari Esteri (2013-2015).
Il 10 giugno, sarà Westmoreland Edward Palon a presentare le lettere credenziali. È il nuovo ambasciatore di Malesia presso la Santa Sede. Ha cominciato la sua carriera diplomatica nel 1996 come ufficiale amministrativo e diplomatico al Ministero degli Affari Esteri, e poi ha servito dal 2015 ad oggi console generale al consolato generale di Malesia in Australia.
Precedentemente, ha anche servito come primo segretario della Missione Permanente di Malesia alle Nazioni Unite di New York. Dal 2013 al 2015 è stato direttore del segretariato nazionale di Malesia presso l’ASEAN.
L’ambasciatore ha già cominciato la sua missione. Lo scorso 30 aprile, Westmoreland ha presentato una copia della sue lettere credenziali all’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato. Sempre nella stessa giornata, l’ambasciatore ha incontrato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati.
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