Roma, 28 March, 2019 / 12:00 AM
A pochi giorni dal viaggio del papa in Marocco il vescovo di Tangeri, monsignor Santiago Agrelo Martinez, ha scritto una lettera alla comunità cristiana, in cui ha sottolineato che esso è uno sprone affinché lavorino per la pace: “Per cristiani e musulmani, è la chiamata a lavorare per la pace, ad agire secondo giustizia, a essere solidali gli uni con gli altri, a promuovere la libertà di tutti. Se in passato potevano separarci due certezze, oggi deve unirci un’unica ricerca. Se abbiamo scritto una storia fratricida nel nome di due fedi, è tempo di scriverne un’altra che agli occhi di tutti risulti fraterna, unita da vincoli di clemenza e misericordia”.
Un altro aspetto della visita sottolineato dal vescovo di Tangeri riguarda i migranti: “Abbandonati al loro destino, consegnati nelle mani criminali delle mafie dalle politiche criminali dei governi, impossibilitati ad esercitare i loro diritti fondamentali, trattati come schiavi, portati avanti e indietro come una merce, spinti a negoziare con la morte ciò che dovrebbe offrire loro in giustizia, questi emigranti hanno bisogno che la parola del Papa venga rivolta a loro per confortarli, per mantenere viva la loro fede, per rafforzare la loro speranza”.
Quindi una Chiesa, che seppur conta poco meno di 30.000 fedeli, è attenta alle necessità del popolo attraverso alcuni progetti quale ‘La disperazione degli immigrati’, che si sviluppa a Rabat ed è rivolto a una parte della popolazione che si trova in una posizione di grave svantaggio: gli immigrati provenienti dal Sahara occidentale.
Oppure il progetto mirato per le donne vedove od abbandonate, denominato ‘Achwak, insegnare un mestiere a donne in difficoltà’: in tale progetto i francescani sono a supporto del lavoro di un’associazione, che lavora nel sociale, a livello dei vecchi quartieri della Medina, e con i suoi volontari supporta un gran numero di donne vedove, divorziate o abbandonate dal marito e che si trovano in situazioni economiche difficili.
Da questi esempi di un cristianesimo immerso nelle radici di un popolo, e dal motto, che accompagna il papa nel viaggio apostolico (‘Papa Francesco: servitore di speranza’), abbiamo chiesto a fra Pietro Messa, preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani presso la Pontificia Università ‘Antonianum’ di Roma, e membro del Comité scientifique ‘Sources franciscaines’ di Parigi, di raccontarci quale è la speranza della Chiesa nel Marocco: “La speranza della Chiesa in Marocco è la medesima di tutti i cristiani, ossia la certezza della presenza di Gesù vivo e risorto in mezzo a noi. Tale presenza tanto è discreta quanto efficace, proprio il contrario di quella mondana che è roboante ma senza cambiare nulla”.
800 anni fa san Francesco ha incontrato il sultano: con quale spirito oggi i cristiani vivono in Marocco?
“L’incontro tra san Francesco e il sultano ha assurto nei secoli significati diversi e oggi è immagine dell'incontro e del dialogo che, come si vide nel viaggio in Marocco di san Giovanni Paolo II nel 1985 e ora con papa Francesco, richiede un’identità chiara. Infatti il messaggio è tenere uniti dialogo e identità senza scadere nelle estremizzazioni per cui in nome dell’incontro si dimentica la propria appartenenza e viceversa per paura di perdere la propria identità si nega la libertà”.
Quest’anno ricorre anche l’anno giubilare della presenza francescana in Marocco: quale è la testimonianza dei protomartiri ai cristiani di oggi?
“Come anche oggi, nel secolo XIII l’Islam non era una realtà uniforme e monolitica. Mentre il sultano al-Malik al-Kamil che incontrò Francesco d’Assisi era appassionato di conoscere le altre culture, tanto che girava la fake news che avesse studiato a Parigi, lo stesso non era altrove. Il martirio, ossia la testimonianza, ricorda che la bellezza che salva è l’amore espresso in un sacrificio e il sacrificio mosso dall’amore”.
Il dialogo islamo-cristiano può essere una visione strategica per l’umanità?
“Il dialogo più che una strategia è la condizione vitale per l’essere umano; come ricordava già papa Benedetto XVI il diá-logos , ossia la comunicazione è il luogo in cui l’uomo e la donna nascono, crescono e vivono. Chi rifiuta ciò chiudendosi in se stesso nega la vocazione primaria insita fin dall'essere creati a immagine e somiglianza della Trinità”.
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