Monaco, 08 March, 2019 / 9:00 AM
“In Iraq aspettiamo Papa Francesco. Abbiamo bisogno della sua forza profetica”. Dalla cinquantacinquesima Conferenza di sicurezza, svoltati in Germania, a Monaco di Baviera, dal 15 al 17 febbraio scorsi, il patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Louis Raphael Sako I., ha spedito un invito al Santo Padre per una prossima visita ad una delle culle del Cristianesimo, l´Iraq.
La “culla” corre tuttavia il rischio di non avere un futuro. Ed ecco il motivo della partecipazione del cardinale Sako alla ", dove presso il lussuoso hotel Bayerischer Hof, a pochi passi dalla famosa Marienplatz, 600 partecipanti (tra cui una trentina di capi di Stato e una novantina di Ministri come la cancelliera tedesca Angela Merkel, il vicepresidente Usa Mike Pence e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov) hanno discusso del futuro dell´Europa, di Patto Atlantico, dei compiti della Nato, della fine del patto di disarmo, di Cina, Iran, Medio Oriente e Afghanistan.
"Circa un milione di cristiani hanno lasciato l´Iraq negli ultimi anni. Per loro non c´era sicurezza e, da non-musulmani, erano sottoposti ad una continua pressione. Sono stati alzati muri tra religioni ed etnie: tra iracheni curdi, arabi, di origine turca e così via".
Decisiva naturalmente la crisi dell´agosto 2014, quando l´invasione della Piana di Ninive da parte del sedicente Stato islamico costrinse ad un tragico esodo notturno circa centomila cristiani iracheni, rinversatisi stremati, dopo ore di cammino sotto le altissime temperature dell´agosto iracheno, in città della regione autonoma del Kurdistan come Erbil e Dohuk. "Nel frattempo, circa 16.000 famiglie sono tornate nei loro villaggi e città di origine, soprattutto cristiani iracheni che erano rimasti nel Paese. Molti altri cristiani tentennano ancora a tornare. La ricostruzione degli edifici distrutti va avanti, ma la vita è molto difficile.
La situazione politica è piuttosto confusa. I cristiani in Iraq non hanno una visione chiara del loro futuro. Il governo sembra non avere nessuna strategia. I politici non sono sufficientemente preparati a questo compito. La mentalità tribale è molto forte e la divisione si moltiplica per motivi politici e religiosi. Le persone non sono abbastanza unite per costruire un vero Stato di diritto. La Piana di Ninive ora è al sicuro, ma lo Stato islamico, pur militarmente sconfitto, rimane ben vivo come ideologia, ed è ancora forte!".
Ma non ci sono solo i cristiani della Piana di Ninive. Il Cardinale Sako è il patriarca di oltre mezzo milione di Caldei, sparsi in Iraq e nel mondo. "Anche nelle altre zone dell´Iraq i cristiani subiscono la pressione da parte della maggioranza musulmana e un´intolleranza profonda. L´Islam dovrebbe rinnovarsi radicalmente. Dovrebbe riconoscere la molteplicità religiosa e accettare i diritti delle minoranze. I diritti civili dovrebbero essere alla base dello Stato e non l´appartenenza religiosa. La religione è una cosa tra me e Dio, che non ha nessun ruolo nei miei diritti e doveri di cittadino. I regimi teocratici devono finire. Non dovrebbe esserci più uno Stato islamico come ai tempi dell´espansione del VII secolo".
Il porporato spera nelle forze più progressiste dell´Islam. "Anche noi cristiani durante il Medioevo abbiamo pensato in termini di potere politico, ma abbiamo poi attraversato una trasformazione. Ai miei interlocutori islamici dico sempre: “Dovreste imparare dall´esperienza cristiana”".
Non c´è solo l´Islam a rendere difficile la vita dei cristiani in Iraq. "La Turchia vuole avere naturalmente la sua influenza nel Paese. E ovviamente lo vogliono anche Usa, Iran, Arabia Saudita ed altri paesi. Si tratta di una guerra economica per l´accesso alle fonti petrolifere. Dall´altro lato, c´è poi il conflitto tra musulmani sciiti e sunniti. Entrambe queste direzioni vorrebbero imporre la propria linea politica senza riguardi ai diritti umani e alla sovranità nazionale".
Nella complessità di questa situazione il cardinale Sako non crede nelle soluzioni facili, come la stessa Conferenza di sicurezza. "Qui [a Monaco di Baviera] si incontra una piccola élite. Ma il dialogo sulla sicurezza e la pace dovrebbe essere condotto nei rispettivi paesi, non qui. Se la comunità internazionale vuole aiutare il Medio Oriente, si deve impegnare localmente. Le persone in Iraq, in Siria e in Jemen hanno bisogno in primo luogo di una buona formazione, per essere educati nei valori della pacifica convivenza. Solo così ci si può aspettare un cambio di mentalità".
Agli inizi di febbraio si è svolto lo storico viaggio apostolico di Papa Francesco negli Emirati Arabi e il patriarca dei Caldei attende con speranza delle positive ripercussioni anche nei rapporti tra cristiani e musulmani in Iraq. "Il viaggio del Papa negli Emirati Arabi è stato un gesto forte. Violenza ed estremismo devono finire e dobbiamo impegnarci insieme per la pace e la libertà. Ma pian piano qualcosa si muove anche nell´Islam.
I gesti del Papa aiutano questo processo che è iniziato già con la sua visita in Egitto [nell´aprile del 2017, ndr]. Il Papa sta contribuendo ad un cambio di mentalità. Per questo speriamo ancor di più che possa venirci presto a trovare in Iraq. Abbiamo bisogno di lui e della sua forza profetica. Ad Abu Dhabi milioni di musulmani hanno seguito la messa di Papa Francesco. Per la prima volta hanno visto come pregano i cristiani e hanno ascoltato per la prima volta leggere la Bibbia. Questo può contribuire a far cambiare loro atteggiamento verso i cristiani».
A loro volta, i cristiani europei possono imparare molto dai cristiani iracheni. "Gli oltre centomila cristiani che nell´agosto del 2014 lasciarono le loro case nella Piana di Ninive, fuggivano dallo Stato islamico, solo
Cardinale Sako: «I cristiani in Irak aspettano Papa Francesco»
perché cristiani. Molti sono stati uccisi, vescovi, sacerdoti, giovani. Eppure – conclude il patriarca Sako - nemmeno l´1% di loro si è convertito all´Islam".
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