Città del Vaticano , 25 December, 2018 / 12:15 AM
Dalla Siria all’Ucraina, dallo Yemen alla penisola coreana, dai cristiani perseguitati ai bambini e agli indifesi, il tradizionale messaggio urbi et orbi di Natale di Papa Francesco è, come tradizione, una panoramica delle zone del mondo considerate più in difficoltà. L’appello del Papa non è semplicemente per la pace. Il suo augurio di buon Natale è “un augurio di fraternità”, perché “quel Bambino nato dalla Vergine Maria” ci dice “che Dio è padre buono e che noi siamo tutti fratelli”, ed è “questa verità che sta alla base della visione cristiana dell’umanità”.
Sono in migliaia le persone che affollano piazza San Pietro per la benedizione del Papa dalla loggia centrale della Basilica Vaticana. A fianco al Papa nel momento della benedizione, c’è il Cardinale Renato Raffaele Martino, cardinale protodiacono (sarebbe lui a dover annunciare il nuovo Papa al termine di un eventuale conclave), che è stato per sette anni presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e presidente ad interim del Pontificio Consiglio dei Migranti dal 2006 al 2009. Dall’altro lato, il Cardinale Kevin J. Farrell, prefetto del Dicastero Laici, Famiglia e Vita.
Due scelte che rappresentano un segnale. Da una parte, il tema dell’accoglienza, delle migrazioni, che ha caratterizzato l’anno della Santa Sede verso il Global Compact. Dall’altro, la famiglia, altro tema portante del pontificato di Papa Francesco, e particolarmente calzante per il messaggio di Papa Francesco, tutto impostato sulla “fraternità”.
Perché – sottolinea Papa Francesco – “senza la fraternità che Gesù ci ha donato, i nostri sforzi per un mondo più giusto hanno il fiato corto, e anche i migliori progetti rischiano di diventare senza anima”.
Papa Francesco lo dice chiaro: ci vuole “fraternità tra persone di ogni nazione e cultura”, tra “persone di idee diverse, ma capaci di rispettarsi e ascoltare l’altro”, tra “persone di diverse religioni”, perché “Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio a tutti coloro che lo cercano”, in un volto “umano concreto”, non in un angelo.
Con la sua incarnazione, prosegue Papa Francesco, “il Figlio di Dio ci indica che la salvezza passa attraverso l’amore, l’accoglienza, il rispetto per questa nostra povera umanità che tutti condividiamo in una grande varietà di etnie, di lingue di culture”.
Siamo “tutti fratelli in umanità”, e allora – sottolinea Papa Francesco – “le nostre differenze non sono un danno o un pericolo”, ma “una ricchezza”, perché come in un mosaico “è meglio avere a disposizione tessere di molti colori, piuttosto che di pochi”, e questo si nota nell’esperienza della famiglia, perché “tra fratelli e sorelle siamo diversi l’uno dall’altro, e non sempre andiamo d’accordo, ma c’è un legame indissolubile che ci lega e l’amore dei genitori ci aiuta volerci bene”.
È lo stesso, afferma Papa Francesco, nella famiglia umana in cui “Dio è il genitore, il fondamento e la forza della nostra fraternità”.
Papa Francesco auspica dunque che il Natale faccia “riscoprire i legami di fraternità che ci uniscono come esseri umani e legano tutti i popoli”.
Papa Francesco prega per la ripresa del dialogo tra israeliani e palestinesi, per “porre fine ad un conflitto che da più di settanta anni lacera la terra scelta dal Signore per mostrare il suo volto d’amore”, e per “l’amata e martoriata Siria” affinché “ritrovi la fraternità dopo questi lunghi anni di guerra”, chiedendo alla comunità internazionale di adoperarsi per “una soluzione politica che accantoni le divisioni e gli interessi di parte”, in modo anche che quanti hanno dovuto lasciare le proprie terre “possano tornare a vivere in pace nella propria patria”.
Lo sguardo di Papa Francesco va poi allo Yemen, anche quella nazione martoriata da anni da un conflitto che ha colpito anche la Chiesa (si pensi al rapimento di padre Tom Uzunnhalil nel marzo 2016 e al martirio delle suore che erano con lui), dove è stata stipulata una fragile tregua che il Papa spera porti “sollievo ai tanti bambini e alla popolazioni stremate dalla guerra e dalla carestia”.
Papa Francesco poi rivolge un pensiero all’Africa, senza concentrarsi su nazioni particolari, perché in fondo molti sono i conflitti in corso lì. Il Papa sottolinea che in Africa ci sono “milioni di persone rifugiate e sfollate e necessitano di assistenza umanitaria di sicurezza alimentare”, e prega che “il Divino Bambino faccia tacere le armi e sorgere un’alba nuova di fraternità in tutto il continente, benedicendo gli sforzi di quanti si adoperano per favorire percorsi di riconciliazione a livello politico e sociale”.
Quindi, la preghiera per il percorso di pace nella penisola coreana, che la Santa Sede segue da vicino, e poi il pensiero per il Venezuela, perché “ritrovi la concordia e a tutte le componenti sociali di lavorare fraternamente per lo sviluppo del Paese”.
Quindi, l’Ucraina, dove Papa Francesco ha inviato degli aiuti per l’emergenza umanitaria di quello che lui stesso ha definito un “conflitto dimenticato”: il Papa ricorda che lì “una pace duratura tarda a venire”, e sottolinea che “solo con la pace, rispettosa dei diritti di ogni nazione, il Paese può riprendersi dalle sofferenze subite e ristabilire condizioni di vita dignitose per i propri cittadini”, e aggiunge una preghiera per la fraternità e l’amicizia delle “comunità cristiane di quella regione” – sullo sfondo, resta la proclamazione della Chiesa Ortodossa Autocefala Ucraina, che il Papa non menziona, ma che ovviamente crea anche dibattito tra le confessioni cristiane.
Papa Francesco ha seguito con attenzione la situazione in Nicaragua, lì dove i vescovi hanno provato una difficile mediazione in un conflitto sociale durissimo, e dove la Chiesa è stata attaccata anche dalla presidenza. Papa Francesco prega perché nel Paese centro americano “non prevalgano le divisioni e le discordie, ma tutti si adoperino per favorire la riconciliazione e costruire insieme il futuro del Paese”.
Infine, Papa Francesco rivolge il proprio sguardo ai popoli che subiscono “colonizzazioni ideologiche, culturali ed economiche”, a quanti “soffrono per la fame e la mancanza di servizi educativi e sanitari”, e infine ai cristiani perseguitati che “festeggiano la natività del Signore in contesti difficili”, magari da minoranza “vulnerabile o non considerata”, perché “il Signore doni loro e a tutte le minoranze di vivere in pace e di veder riconosciuti i propri diritti, soprattutto la libertà religiosa”.
La preghiera conclusiva è, poi, “per tutti i bambini della terra, e per ogni persona fragile, indivisa e scartata”, e perché tutti “possiamo ricevere pace e conforto dalla nascita del Salvatore”.
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