Napoli, 20 November, 2018 / 12:15 AM
Ricordare un nome spesso è segno di riconoscenza. Nel vangelo si racconta che di dieci lebbrosi sanati solo uno è tornato indietro a ringraziare il Cristo. E questo è ciò che tutte le volte si è tenuti a fare per ricordare chi ha fatto della sua vita un dono agli altri.
Donare è stato il verbo più coniugato, non con le parole, ma con le opere di un piccolo frate cappuccino nato in Romania: il beato Geremia da Valacchia.
Nato in questa splendida terra il 29 giugno 1556 all'età di 18 anni lasciò il mondo (come si diceva un tempo) per entrare nell'Ordine cappuccino, raggiungendo il Regno di Napoli. Qui accolto nella famiglia serafica vi compì l'austero anno di noviziato imparando l'arte della rinuncia e del sorriso, la gioia della preghiera nell'essenzialità della Regola.
Professo dal 8 maggio 1585 fra Geremia scelse di essere un semplice fratello laico. Senza titoli, senza originalità, se non quell'amore unico ed umile che lo faceva restare la notte in silenziosa ed adorante preghiera e di giorno in attivo e solerte servizio per i confratelli infermi del convento di Sant'Eframo.
Chi lo ha conosciuto ne ricorda alcuni tratti tipici: l'allegrezza e la giocondità del carattere, oltre ad un'intensa vita di fede e mortificazione.
La sua preghiera era profonda e fidente: questo lo aveva appreso alla scuola del Cristo e del padre San Francesco. Autentico francescano sapeva gioire ed infondere quel sorriso di cui oggi l'uomo tanto va in cerca.
La sua vita si svolse nel silenzioso servizio, nell'umile preghiera e nella minorità francescana. Contento solo di aver servito il Cristo nei fratelli che incontrava nell'infermeria del convento e sulla strada della vita. Questa attività fu la sua metà ed il suo amore il sigillo per il Regno dei cieli.
A quell'epoca tale incombenza non era facile. Cambiare i malati, lavarli ed accudirli senza alcun aiuto e soprattutto senza i moderni mezzi dell'attuale scienza medica. Inoltre la situazione di questo religioso era ancora più delicata in quanto alcuni fra questi, avendo delle amnesie, alle sue premure rispondevano con male parole. In un primo momento, il religioso, pensò di cambiare apostolato, ma dopo un po' evidenziò che il Signore nella preghiera lo voleva li. E cosi è stato.
Fu infermiere dispensando amore e medicine.
Oltre a ciò si fece questuante per i tanti bisognosi che a lui si rivolgevano per avere un po' di pane. Spesso fra Geremia a loro darà la sua già magra colazione, fatta di pane e verdura, pur di rispondere con amore a questi fratelli nel bisogno.
Pur non avendo studiato era ricercatissimo da teologi e parte della buona società napoletana per aver scoperto in lui non la vana scienza ma la profondità di chi ama Dio. E questa è ben più preziosa perchè chi la dona è un Padre celeste.
La morte lo colse il 5 marzo 1625 a causa di una malattia contratta per aver visitato un malato a Torre del Greco.
Al suo funerale dovette intervenire l'esercito per calmare la folla che voleva avere del beato un ricordo. Si racconta che la sua salma fu rivestita del saio per ben sei volte, tanta era la solerzia della gente per aver una reliquia del beato. Riposa nella chiesa dell'Immacolata concezione a Napoli.
Il beato Geremia nell'offerta generosa della sua vita ci ha lasciato la testimonianza coerente e fresca di come si vive ma di più di come si ama. E questa è un arte che si apprende ai piedi della croce.
E questo Geremia lo ha vissuto ed incarnato tante volte, ai bordi di un letto, nell'operoso lavoro.
Anche San Luigi Gonzaga, gesuita, morì per aver portato sulle spalle un malato all'ospedale di Santa Maria della Consolazione a Roma. Per il beato cappuccino ed il santo gesuita, il servizio era la prima regola dell'amore. Quello vero che avevano letto nella vita di un uomo che scelse la croce ed il silenzio per un amore più grande: quello per l'umanità.
Giovanni Paolo II lo beatificò il 30 ottobre 1983.
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