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Il Cardinale Parolin e quella lezione che nasce dalla genesi dell’Humanae Vitae

La copertina dell'Osservatore Romano in lingua inglese che nel 1968 annunciava la pubblicazione dell'enciclica Humanae Vitae

Una preoccupazione pastorale, ma legata anche alla necessità di dare un indirizzo chiaro sui temi di dottrina, con l’esatta percezione che “la regolazione delle nascite non era un tema che riguardava solo le coppie cristiane”, ma era piuttosto un tema universale: il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, descrive in questo modo le preoccupazioni di Paolo VI nel dare forma all’enciclica Humanae Vitae, presentando il libro La nascita di una enciclica” del professor Gilfredo Marengo lo scorso 18 ottobre.

Pubblicata cinquanta anni fa, l’Humanae Vitae è conosciuta soprattutto come “l’enciclica del no alla contraccezione”, sebbene il testo andasse molto oltre le questioni della contraccezione, e proponeva piuttosto una visione integrale dell’uomo e della procreazione.

Questo pregiudizio ha in qualche modo influenzato il dibattito, fino a descrivere un Paolo VI che volle agire da solo, contro le opinioni della maggioranza dei teologi. Paolo VI, infatti, aveva stabilito una commissione per discutere il problema della regolazione delle nascite, che era nata già sotto Giovanni XXIII e che fu successivamente allargata.

Il libro di Gilfredo Marengo, professore di Antropologia Teologica al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II mostra documenti di archivio fino a questo momento non consultati, e ricostruisce la storia di come Paolo VI arrivò persino a cestinare un testo già pronto, intitolato De Nascendi Prolis, per cercare un punto di vista più pastorale.

La conclusione del professor Marengo è definitiva: “Lo slogan secondo il quale Paolo VI decise da solo appartiene alla categoria del mito. Altra questione è un certo isolamento nel quale egli si trovò, dovendo registrare che il giudizio maturato sul problema della regolazione delle nascite era condiviso dai più”.

Sono tutti temi che si ritrovano nella presentazione del libro fatta dal Cardinale Parolin.

“Il Papa – ha detto il Cardinale Parolin il 18 ottobre – era consapevole di quanto la regolazione delle nascite fosse una questione che non toccava semplicemente l’agire morale delle coppie cristiane. Si trattava di dare un giudizio di orientamento”.

Quello di San Paolo VI verso la stesura dell’enciclica è stato un percorso sofferto, come lo fu il percorso dell’Humanae Vitae stessa.

Cominciò nel 1963, quando Giovanni XXIII aveva stabilito una commissione per lo studio dei temi del matrimonio, la famiglia e la regolazione delle nascite.

Poco dopo, Giovanni XXIII morì. Paolo VI, il successore, allargò la commissione da 6 a 12 persone, e nel 1965 la aumentò ulteriormente a 75 membri, sotto la presidenza del Cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio – l’attuale Congregazione per la Dottrina della Fede.

“Paolo VI – ha spiegato il Cardinale Parolin – guardò a Humanae Vitae come un immediato sviluppo delle parole nuove e autorevoli che il Concilio Vaticano II ha saputo dire sul matrimonio e la famiglia, e aveva riconosciuto che queste realtà erano il primo dei problemi più urgenti della presenza della Chiesa nel mondo del suo tempo”.

Era un giudizio che “è rimasto vivo in questi decenni – nota il Segretario di Stato vaticano – considerando che “Giovanni Paolo II volle essere ricordato come il Papa della famiglia”, Benedetto XVI ha continuato su questo percorso, declinandolo dal punto di vista della carità sia nella Deus Caritas Est e nella Caritas in Veritate e Papa Francesco ha voluto mettere la famiglia al centro della Chiesa con ben due sinodi dedicati al tema.

Come si è sviluppato l’approccio al tema del controllo delle nascite? Spiega il Cardinale Pietro Parolin che “all’inizio il catalizzatore fu la preoccupazione per la diffusione delle politiche anti-nataliste”, quindi “il centro dell’attenzione fu calamitato da problematiche di tipo storico morale, e si ritenne che l’obbligatorietà di seguire i principi morali fosse l’unica via percorribile affinché la Chiesa potesse esprimersi in maniera convincente nel mondo”.Due prospettive che . nota il Cardinale Parolin - “non si devono contrapporre in maniera astratta. C’è bisogno di una sapienza ecclesiale pastorale che non si trova in molti protagonisti di quegli anni”.

Il riferimento indiretto è proprio alle polemiche che precedettero la pubblicazione dell’enciclica.

Il tema del controllo delle nascite era entrato di prepotenza nella discussione sulla Gaudium et Spes, la Costituzione Conciliare che riguardava l’impegno della vita nel mondo contemporaneo.

Paolo VI però decise di avocare la questione a sé, chiedendo tra l’altro di inserire nella Gaudium et Spes corpose sezioni in cui si ribadiva l’insegnamento della Chiesa sui temi del matrimonio e la famiglia, con riferimenti alla Casti Connubii di Pio XI e ai discorsi di Pio XII alle ostetriche, nonché alla necessità di una condanna dei metodi anticoncezionali e l’esigenza di una esplicita considerazione della castità coniugale, perché “per il Papa quel capitolo poteva suscitare equivoci”.

Il primo risultato delle commissioni fu quello di una istruzione pastorale temporanea, una – sottolinea il professor Marengo – “soluzione provvisoria di fronte all’impossibilità di giungere ad un convincente pronunciamento dottrinale”, un testo proposto dal teologo Carlo Colombo in cui si dichiarava che “non sempre le pratiche contraccettive dovevano essere considerato colpa grave”, un modo per non distaccarsi troppo dagli insegnamenti di Pio XI e Pio XII, ma allo stesso tempo “stemperare gli eventuali conflitti di coscienza tra i coniugi”, nota Marengo.

Ma questo non piaceva a Paolo VI, che invece era preoccupato “di evitare che la Chiesa, in specie il Magistero, si mostrasse incapace di dire una parola chiara su un tema così dibattuto nell’opinione pubblica”.

In più – scrive ancora il professor Marengo – per il Papa era inaccettabile “favorire un mutamento di indirizzo del magistero, per di più giustificato non da ragioni forte e condivise, ma dall’incapacità di giungere a sciogliere tutti i nodi ancora sul tappeto”.

Paolo VI cerca piuttosto un equilibrio tra pastorale e dottrina, sintesi difficile, perché – scrive ancora Marengo - “in quella stagione un certo appello alla pastoralità era stato usato per mettere in discussione tratti non secondari della dottrina ecclesiale: fu questo uno dei fattori più evidenti di disagio e incertezza nel corpo ecclesiale”.

È il 1967, si inaugura un nuovo percorso di studio e cominciano le pressioni internazionali, Il rapporto cosiddetto di maggioranza della commissione, favorevole all’uso della pillola a certe condizioni, fu fatto filtrare alla stampa (ai giornali Le Monde, The Tablet e National Catholic Register), creando per l’enciclica una aspettativa che poi si risolve in una grande delusione.

Ma era tutto il dibattito ad essere deviato. Il Cardinale Karol Wojtyla, membro della commissione, coinvolse l’episcopato polacco nella discussione, inviò un memoriale chiedendo di non cambiare l’insegnamento morale della Chiesa, e addirittura dopo la pubblicazione chiese al Papa un documento per riaffermare che quella contenuta nella Humanae Vitae era dottrina magisteriale.

In questo dibattito si staglia la figura di San Paolo VI. “I testi pubblicati e commentati nel libro del professor Marengo – ha sottolineato il Cardinale Parolin – chiariscono che il Papa non aveva dubbi sul contenuto dottrinale che l’enciclica avrebbe dovuto avere, e smentiscono il mito di un Paolo VI incerto, titubante e amletico”.

Quella di Paolo VI era piuttosto la preoccupazione di “trovare modi adeguati” per presentare l’insegnamento della Chiesa, e per questo Paolo VI “pazientò cinque anni prima di pubblicare l’enciclica”.

(La storia continua sotto)

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Paolo VI ebbe anche il coraggio di stravolgere l’enciclica già pronta, De Nascendi Prolis, su suggerimento di Paul Poupard e Jacques Martin, traduttori per il francese e l’inglese ed entrambi futuri cardinali, che fecero anche una proposta di testo, cambiando la prospettiva: se il documento De Nascende Prolis era una spiegazione corretta e precisa dei principi morali, la bozza Poupard – Martin spostava il documento dalla parte dei coniugi, con punto di vista quello dei fedeli che attendono dalla Chiesa, alla quale questa rivelazione è stata affidata, l’interpretazione della legge morale.

Scrivendo ad ACI Stampa, il Cardinale Poupard ha motivato così la sua proposta: “Incaricato con il compianto Mons. futuro Card. Martin, della Sezione francese della Segreteria di Stato, di tradurre il testo dell'enciclica, abbiamo fatto presente ai superiori che, nel clima dominante del cosiddetto maggio '68, cioè di contestazione generale di ogni autorità, compreso il magistero della Chiesa, la ricezione positiva dell'insegnamento del papa sarebbe resa più facile da una presentazione pastorale per le coppie secondo l'insegnamento del Concilio Vaticano II”.

Un approccio, ha proseguito il Cardinale Poupard, che Paolo VI ha accolto e fatto suo nel suo grande discorso in francese alle due mille coppie delle Equipes Notre Dame del compianto Padre Caffarel, dopo la Messa che mi fece presiedere nella Basilica San Pietro il 4 maggio 1970. A 50 anni di distanza, l'insegnamento di Paolo VI attirando l'attenzione sulle gravi conseguenze della dissociazione tra le due finalità dell'atto sessuale, amore e procreazione, è più attuale che mai”.

Anche il Cardinale Parolin ha riaffermato dunque la necessità di guardare ad Humanae Vitae come ad una testimonianza sulla volontà della Chiesa che può gustare promesse di bene senza riconoscere l’unità originaria tra l’amore coniugale e la generazione della vita”.

Il Cardinale Parolin ha spiegato che la questione è molto più ampia di come viene delineata.

“Se l’amore degli sposi è il luogo in cui il Creatore genera nuove vite, come sui tanti, molti momenti in cui il figlio viene considerato come un oggetto che si desidera a tutti i costi. I genitori sono provocati a riconoscere che maternità e paternità vanno abbracciati secondo il principio che la realtà è superiore all’idea”.

Alla fine, Humanae Vitae ha il suo carico di profezia, perché “50 anni fa si cominciavano a intravedere processi che hanno esso in crisi la famiglia tradizionale”, e per questo non si comprendere “la mens di Humanae Vitae se non si capisce il modo in cui si fece carico delle situazioni emergenti”.

Nella enciclica – ha notato infine il Cardinale Parolin – vanno letti con attenzione “gli accenni alla valorizzazione della donna e a difesa della sua dignità”, perché “una donna maltrattata e fragile è sminuita dalla sua naturale missione pedagogica”.

Ha concluso il Segretario di Stato vaticano: “Senza la famiglia non ci sarebbe la Chiesa e nemmeno la società umana, le famiglie si trovano oggi davanti a enormi sfide, la Chiesa da sempre offre ad esse il proprio aiuto pastorale facendo bene per gli altri”.

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