Città del Vaticano , 10 October, 2018 / 9:00 AM
Si è parlato anche di giovani migranti, durante la prima settimana di discussione del Sinodo sui giovani. E a mettere sul tavolo la questione è stato padre Michael Czerny, gesuita, sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per la Promozione per lo Sviluppo Umano Integrale.
Il tema è di grande attualità, e se è vero che il prossimo messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace dovrebbe essere dedicato a giovani, elezioni e populismo, l’ultimo messaggio del Papa è stato dedicato a “Migranti, uomini e donne in cerca di pace”.
Padre Czerny ha consegnato un intervento più ampio di quello presentato in assemblea sinodale, che era limitato a soli cinque minuti. E nell’intervento più ampio erano inclusi anche numeri che aiutano ad in quadrare il fenomeno migratorio.
Ci sono 740 milioni di migranti interni, 258 milioni di migranti internazionali e di questi approssimativamente 105 milioni sotto i 35 anni di età. Ci sono 68,5 milioni di persone che sono state costrette a lasciare le loro case, 40 milioni di persone sfollate a causa di conflitti armati, violenza generalizzata e violazione dei diritti umani, 25,4 milioni di rifugiati riconosciuti dalla legge internazionale e circa 3,1 milioni di richiedenti asilo”.
Padre Czerny ha parlato delle difficoltà degli “adulti vulnerabili in movimento”, specialmente quando questi transitano in maniera irregolari, sebbene non siano criminali, ma semplicemente forzati a stare al di fuori dalla regolamentazione migratoria a causa di pressanti esigenti. “Ci vuole almeno un anno perché questi migranti arrivino dall’Africa Sub-Sahariana all’Europa Occidentale”.
Al di là delle cause delle migrazioni, si deve anche considerare – nota il sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati – che “i molti giovani che partono impoveriscono la loro nazione di origine, mentre la società e la Chiesa nella loro terra sarà certamente arricchita”.
Molti di questi migranti devono terminare l’educazione, e si muovono magari proprio per avere una migliore educazione. Ma c’è da considerare anche i migranti di seconda generazione, che “sebbene siano nati nella loro nuova terra e generalmente ottengono la cittadinanza”, vengono esclusi “culturalmente, socialmente ed economicamente”, e soffrono di una cultura dello scarto, che ne rende facile la radicalizzazione.
In queste situazioni, “la fede è l’unico appiglio che hanno questi adulti vulnerabili”, e che per loro sentirsi “accettati e supportati dalle comunità ecclesiali può aiutare la loro esperienza dell’amore di Dio”.
Certo è che la fede è parte del background di molti questi giovani in movimento, ma che risulta per loro estremamente difficile adattarsi a nuove realtà.
Padre Czerny chiede infine quale sia “la relazione che abbiamo con i migranti che lasciano le nostre diocesi o che sono di passaggio”, se questi sono “accolti, protetti, promossi e integrati” come chiede Papa Francesco in maniera “compassionevole e appassionata dalle Chiese”, cosa che renderebbe più probabile vedere la Chiesa attraverso il prisma pratico delle “opere di misericordia”.
In questo modo, e grazie a questo servizio – nota padre Czerny – i giovani “saranno capaci di discernere cosa sia il servizio cristiano”, perché lo avranno sperimentato in maniera profonda, e dunque saranno capaci anche di “sentire la chiamata di Dio a fare lo stesso”, facendo di questo servizio anche “una speciale fonte di vocazioni, che servirà il popolo di Dio ovunque”.
Insomma, “affrontare le molte sfide che i giovani vulnerabili vivono è una opportunità pastorale per la Chiesa”, ed è anche – secondo padre Czerny – un percorso che a doppio binario: da una parte, “la Chiesa deve essere loro di aiuto”, dall’altro la Chiesa trova aiuto “a meglio comprendere le insicurezze e le aspirazioni dei giovani”, facendo di questo ministero “un laboratorio privilegiato in cui l’intera Chiesa impara ad accompagnare il popolo di Dio che sta vivendo rapide trasformazioni oggi e ne vivrà ancora di più in futuro”.
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