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Storie dei Papi: Il traffico d'opere d'arte ai tempi di Leone XII, vera diplomazia

Il commercio illegale di opere d’arte ha origini antiche, ma spesso se ne sono tratti vantaggi politici e diplomatici. Fu così ai tempi di Leone XII, pontefice marchigiano poco conosciuto ma particolarmente attivo in molti campi compreso quello artistico e diplomatico.

Lo racconta con molti interessanti esempi Chiara Mannoni in un saggio nel volume  Dall'intransigenza alla moderazione Le relazioni internazionali di Leone XII, nella collana dei Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche.

Nel 1827 il duca Giulio Lante della Rovere aveva venduto illegalmente la Madonna Colonna di Raffaello a re Federico Guglielmo III. E Papa Leone XII seppe subito capire che era meglio garantirne l’esportazione all’estero: “Noi rimettiamo che il quadro parta pure per la Prussia, ché c’interessa più assai l’amicizia di un Sovrano, che può fare, e fa bene, a noi Cattolici ne’ sui Stati, che conservare qualunque Capo d’Opera nostro, pe’ posteri”.

Meglio l’intesa politica che la perdita di un’opera d’arte dello Stato insomma.

E del resto non si trattava della prima volta tanto che c’erano un editto e un chirografo in materia che cercavano di regolare quei traffici illeciti che erano nati soprattutto negli anni della Restaurazione post-napoleonica. Dagli archivi emergono addirittura tentativi di distacco di affreschi e la vendita dei marmi dell’altare di Santa Sabina a Roma nel 1820, ma ci sono anche dei “salvataggi” come la sventata cessione di un dipinto del Beato Angelico a Montefalco.

Più difficile seguire le tracce delle opere minori o ritenute poco interessanti. Certo il criterio ottocentesco di valutazione delle opere ha fatto si che perfino quadri di Sassoferrato, Locatelli, Valentin  furono ritenuti di nessun valore.

La Madonna Colonna, firmata da Raffaello non era di certo tra queste opere considerate minori.

La vendita illegittima dell’opera, scoperta e denunciata dal camerlengo Pietro Francesco Galleffi che si richiamava alla severità delle leggi papali che imponevano che i pezzi di pregio anche in mano ai privati fossero vincolati all’interesse dello Stato. Se qualcuno voleva vendere in pratica il Papa aveva diritto di prelazione.

Il Camerlengo non ha a cuore solo l’opera ma il rispetto della legge. E qui si cambia passo. A Galleffi non interessava il rapporto con la Prussia, al Papa si.

Galleffi pensava che far uscire una simile opera da Roma, “per compiacere il desiderio di un sovrano estero, avrebbe originato un precedente, politico, diplomatico, ma anche giuridico, tale da rendere difficile esigere il rispetto delle leggi nello Stato, se lo Stato stesso, per primo, mancava al loro adempimento” spiega Chiara Mannoni.

Leone XII deroga alla salvaguardia del patrimonio, in nome della ragion di Stato.

Del resto succedeva da tempo. Successe anche per la collezione del principe polacco-lituano Stanislaw Poniatowski che portò a Firenze quadri e bozzetti attribuiti a Borgognone, Rubens, Guercino, Palma, Giorgione, Sassoferrato, Carracci, Veronese, Bellini e molti altri.

Re Ludovico I di Baviera,  1819 portò a casa la statua del Fauno Barberini, acquisita per vie non del tutto legali nel 1813 durante l’occupazione francese di Roma e  durante il pontificato di Leone XII otterrà altre regolari licenze di esportazione.

Una differenza sostanziale c’è tra le esportazioni autorizzate per opere ritenute “senza alcun valore” concesse per ragioni politiche e diplomatiche, e quelle attuate per vie illecite. Una distinzione molto netta nel pontificato di Leone XII.

Il Papa cosciente della funzione politica e diplomatica che le opere d’arte potevano avere negli ambienti internazionali. Come Pio VII che restitui a Luigi XVIII nel 1815 248 opere requisite da Napoleone. Un atto “di benevolenza”  per mantenere buoni rapporti tra i due Stati.

“In un fenomeno solo apparentemente contraddittorio- spiega Chiara Mannoni- la consapevolezza circa la valenza diplomatica di scambi e trasferimenti di opere andava di pari passo con l’affermarsi di norme e controlli più rigidi per “l’estrazione” delle stesse ai termini di legge”.

Infatti  il sistema di supervisione di antichità e belle arti fu esteso agli enti territoriali,con un maggior controllo sugli scavi.  Come il  sarcofago con il Mito di Alcesti requisito nel 1827. Ludovico I di Baviera se lo era accaparrato, ma stavolta Papa e camerlengo, intervennero. Truffa troppo sfacciata e contraria ad ogni diplomazia.

Gli esempi sono tanti ma significativa è al conclusione della vicenda della Madonna Colonna di Raffaello. Racconta la Mannoni: “Papa Leone XII si era mostrato irremovibile sulla convenienza del cederne la proprietà a Federico Guglielmo III, tanto da rimproverare, nel suo rescritto, il camerlengo Galleffi per aver “dipinto con colori così oscuri” l’intera vicenda. Tuttavia, mentre egli deliberava di far partire il quadro per la Prussia, raccomandava al camerlengo di procedere contro le

infrazioni di Lante, il quale, in fin dei conti, aveva pur sempre alienato il quadro illegalmente: “egli [il camerlengo] calcoli la mancanza del duca per quello che vale, e lo punisca come merita.” Giulio Lante della Rovere, pertanto, fu imputato “a termini di giustizia” e obbligato a pagare un’ammenda per aver smerciato un’opera protetta dalle norme dello Stato”.

La differenza insomma era chiara per Papa Leone XII. Una cosa era esportare un’opera per vie illecite e un’altra esportare per ragioni politiche e diplomatiche.

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